RAVEGNANI, Benintendi
RAVEGNANI, Benintendi. – Figlio di Luca, morto fra il 1342 e il 1344, nacque a Chioggia non prima del 1318, dato che non aveva ancora compiuto i venticinque anni previsti dalle norme allora vigenti quando, il 30 dicembre 1342, fu proclamato notaio veneto dal Maggior Consiglio di Venezia.
Precedentemente, ancor giovanissimo, era diventato notaio imperiale e, non ancora ventenne, era stato assunto nella Cancelleria ducale, al cui servizio appare attestato a partire dal febbraio del 1337 in qualità di scrivano.
I primi anni di attività di Ravegnani nella Cancelleria, che costituiva una componente di fondamentale importanza e stabilità all’interno dell’apparato burocratico-amministrativo del Comune veneziano, sono poco conosciuti. È tuttavia possibile che egli si sia segnalato fin dall’inizio per il suo impegno e per le sue capacità se, nel novembre del 1339, gli veniva riconosciuto un aumento di stipendio da cinquanta a settanta soldi di grossi, pari a tre lire e mezza, e nello stesso mese era affidato a lui l’incarico di presentare a tutti gli ufficiali del Comune una delibera del Maggior Consiglio in materia di notai e scrivani.
Non esistono invece prove certe di un suo impiego fin da allora in missioni diplomatiche al di fuori dei confini veneti. Anzi, la sua giovane età e l’inesperienza porterebbero a rendere poco plausibile questa ipotesi.
Nel marzo del 1342, tuttavia, forse non soddisfatto delle sue prospettive, concorse di fronte al Maggior Consiglio, assieme ad altri sette colleghi, per ottenere la carica di cancelliere di Candia, la capitale dell’isola di Creta, il principale dominio veneziano nel Levante mediterraneo. In quella circostanza nessuno dei candidati ottenne la richiesta maggioranza assoluta dei voti dei consiglieri presenti e quindi l’elezione si risolse in un nulla di fatto.
Nel novembre del 1342 Ravegnani fu però parzialmente ricompensato della mancata nomina con un ulteriore aumento del proprio stipendio, che passò da tre lire e mezza a sei lire di grossi; la motivazione fu la necessità di mantenere i genitori, nonché fratelli e sorelle ancora in tenera età. Alla fine di dicembre di quello stesso anno fu invece nominato notaio veneto, pur non possedendo i requisiti di età previsti dalla legge. I ripetuti aumenti retributivi e la grazia concessagli per l’età, potrebbero far ipotizzare che già allora egli avesse conseguito meriti importanti.
Ben presto al normale lavoro di cancelleria si affiancarono le missioni diplomatiche. Il 5 gennaio 1344 fu inviato al seguito di Andrea Corner e Marino Falier ad Avignone dal pontefice Clemente VI, trattenendosi per alcuni mesi nella residenza dei papi. Rientrato a Venezia, il 29 giugno ripartì nuovamente per Avignone assieme al collega Amedeo Buonguadagni per ricevere le lettere pontificie accordate agli ambasciatori veneti che concedevano la dispensa papale per poter commerciare entro certi limiti con l’Egitto musulmano. A fine agosto, i due notai erano di ritorno a Venezia e il giorno 28 il Senato deliberava di gratificarli con la somma di venticinque ducati ciascuno.
Nella primavera del 1345 si trovava a Ferrara e da lì venne inviato a Genova passando per Firenze. Il 5 luglio fu richiamato in patria poiché i genovesi avevano deciso di mandare un proprio ambasciatore a Venezia. Nel frattempo la città di Zara si era ribellata nuovamente al dominio veneto e Ravegnani nel mese di novembre fu mandato ad Ancona per scongiurare un’eventuale alleanza dei marchigiani con i dalmati. All’inizio del 1346 era rientrato a Venezia e qui il 29 gennaio gli fu riconosciuto, per la diligenza messa in atto negli incarichi assolti fino a quel momento, un ulteriore aumento di stipendio (da sei a otto lire di grossi).
Nel frattempo, continuava la ribellione di Zara, assediata dai veneziani e vanamente soccorsa dal re d’Ungheria Ludovico I. La rivolta ebbe termine con l’atto di sottomissione redatto a Venezia il 15 dicembre 1346 proprio da Ravegnani, a cui, seppure con qualche dubbio, è attribuita anche la composizione di una cronaca degli eventi, nota come Chronica Jadratina, scritta probabilmente mentre l’autore ricopriva, dal gennaio del 1347 all’aprile del 1348 (per designazione del Maggior Consiglio), le funzioni di cancelliere della città dalmata.
Rientrato in patria, fu riammesso nei quadri della Cancelleria ducale, con il grado di anzianità, le condizioni e lo stipendio di quando l’aveva lasciata. Il trattamento economico fu però ancora una volta migliorato (quattordici lire di grossi, 12 gennaio 1349). Il 13 settembre di quello stesso anno, a dimostrazione della considerazione in cui era tenuto, il Maggior Consiglio, a grande maggioranza, lo nominò vicecancellier grande, con l’incarico di affiancare il titolare della cancelleria, il cancellier grande Nicolò Pistorino, impossibilitato per l’età avanzata a svolgere le sue funzioni, ma non revocabile dall’incarico, essendo la carica vitalizia.
Nei tre anni successivi, Ravegnani si trattenne a Venezia, dirigendo, di fatto, la cancelleria al posto di Pistorino ed essendo presente alle principali decisioni assunte in quell’arco di tempo. Finalmente, scomparso il suo predecessore, il 1° luglio 1352 fu nominato cancellier grande con lo stipendio di diciotto lire di grossi.
Nella sua nuova veste, il 4 dicembre dello stesso anno, presentò al Maggior Consiglio, con una sua prefazione, la cronaca di Venezia (la Chronica Extensa) scritta dal doge Andrea Dandolo (1343-1354), alla cui stesura parrebbe aver collaborato attivamente, come pure, negli anni precedenti, fra il 1346 e il 1349, aveva contribuito ad altre iniziative promosse sempre dal medesimo doge, come la redazione di un nuovo libro degli statuti comunali e di alcuni cartulari del Comune (il Liber Albus e il Liber Blancus).
Oltre alla direzione della Cancelleria e all’attività storiografica, l’importanza di Ravegnani è dimostrata dalla sua attiva presenza in ambascerie di notevole delicatezza. In particolare, nel 1355 partecipò alle trattative finali per porre termine (con il trattato concluso a Milano, e mediato da Francesco Petrarca allora al servizio dei Visconti, il 1° giugno) alla guerra veneto-genovese del 1350-55. Al ritorno a Venezia, Ravegnani fu ricompensato per l’abilità dimostrata nelle difficili trattative con la concessione di una rendita annua di sette lire di grossi vita natural durante.
Concluso il conflitto con Genova, ne scoppiò subito dopo un altro con Ludovico I d’Ungheria che nel 1356 invase con le proprie truppe sia la Dalmazia sia l’entroterra veneto. All’inizio del 1357, Ravegnani, assieme ad Andrea Contarini e Michele Falier, fu inviato a Zagabria per negoziare, senza alcun effetto, con il sovrano magiaro. Precipitata l’anno dopo la situazione bellica con la caduta di Zara e la partecipazione al conflitto del signore di Padova, Francesco I da Carrara, a fianco dell’ungherese, il cancellier grande, insieme con Pietro Trevisan e Giovanni Gradenigo, fu spedito nella città dalmata per concludere la pace con il potente nemico, riuscendo nel suo intento il 18 febbraio 1358.
Con questa intesa, Venezia rinunciava al dominio sulla Dalmazia e sulle isole a essa prospicienti in favore del regno d’Ungheria, mentre il sovrano restituiva i territori veneziani occupati in Italia e in Istria.
Le questioni con l’Ungheria e il Carrarese non furono tuttavia definitivamente risolte e negli anni successivi Ravegnani fece più volte parte di ambascerie inviate presso le controparti e si impegnò per appianare le divergenze: così nel novembre del 1360 e ancora nel giugno del 1364 fu inviato a negoziare presso la corte di Buda, mentre nel luglio del 1363 mediò un accordo con Francesco I.
Nel frattempo, continuò la sua attività storiografica e culturale.
Alla mano di Ravegnani si attribuiscono, infatti, anche altre opere storiche tuttora inedite: una Chronica Venetiarum che si rifà largamente all’Extensa di Dandolo e la continuazione della Chonica Brevis del medesimo doge cronista che copre l’arco di tempo compreso fra il 1343 e il 1361, redatta durante gli ultimi anni di vita del cancelliere.
È inoltre da sottolineare il forte legame che unì Ravegnani a Petrarca, conosciuto verosimilmente quando il poeta era al servizio dell’arcivescovo ambrosiano Giovanni Visconti. Nel 1353-55 i due si incontrarono più volte nel corso delle trattative diplomatiche, instaurando un rapporto di amicizia e uno scambio epistolare che durò fino alla morte di Ravegnani. Costui svolse inoltre un ruolo chiave nella donazione della biblioteca di Petrarca al Comune di Venezia, con il proposito di trasformarla in una biblioteca pubblica. Nel settembre del 1362 il Maggior Consiglio approvò il progetto, forse su proposta dello stesso cancelliere, mentre il poeta ottenne in cambio il palazzo da Molin in Riva degli Schiavoni, dove visse tra il 1363 e il 1368. La sua biblioteca non giunse comunque mai a Venezia poiché rimase a Padova soggetta alla signoria carrarese.
Morì nella prima metà del mese di luglio del 1365; risulta sostituito nell’incarico il 15 di quel mese da Rafaino Caresini.
La sua scomparsa, avvenuta quasi contemporaneamente a quella del doge Lorenzo Celsi verificatasi il 14 di quel mese, ha alimentato dubbi e sospetti, non fugati nemmeno ai nostri giorni, sulle cause di entrambi i decessi.
Aveva sposato una Caterina, di cui non si conosce il cognome, che sopravvisse a lungo al marito, facendo redigere il proprio testamento nel 1402. Dal matrimonio, erano nati numerosi figli: Matteo e Pasino, premorti alla madre, nonché Agnesina, Giacomella, Giovannino, Lucia e Maria.
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