Mussolini, Benito
Uomo politico, nato a Dovia di Predappio nel 1883 e morto a Giulino di Mezzegra, nelle vicinanze del lago di Como, nel 1945. Agitatore politico ed esponente del massimalismo rivoluzionario, diresse l’«Avanti!», il quotidiano del partito socialista italiano, dal 1912 al 1914. Scoppiata la Prima guerra mondiale, dopo un iniziale neutralismo, divenne un fautore della partecipazione italiana allo scontro. Per questa ragione ruppe con il socialismo ufficiale e fondò, nel novembre 1914, un nuovo quotidiano d’ispirazione interventista: «Il Popolo d’Italia». Terminato il conflitto diede vita a Milano, il 23 marzo 1919, ai Fasci italiani di combattimento. Nell’ottobre 1922, grazie alle violenze dello squadrismo e sulla spinta della marcia su Roma, ottenne da re Vittorio Emanuele III l’incarico di formare e presiedere un governo di coalizione. Non avrebbe più lasciato il potere. Nel giro di pochi anni instaurò una dittatura carismatica durata sino al 25 luglio del 1943, quando il regime fascista, indebolito dall’andamento negativo della guerra mondiale scoppiata nel settembre 1939, e nella quale l’Italia era intervenuta nel giugno dell’anno successivo, cadde grazie a un colpo di Stato promosso dai suoi stessi gerarchi d’intesa con la monarchia e le alte sfere militari. Nei successivi due anni fu a capo dell’effimera Repubblica sociale italiana (RSI), insediatasi nella zona d’Italia controllata militarmente dai nazisti. Venne giustiziato (secondo la versione canonica) da alcuni emissari del Comitato di liberazione nazionale (CLN), dopo che i partigiani lo avevano catturato mentre si apprestava a fuggire verso la Svizzera con un gruppo di irriducibili seguaci.
Tra le letture di M. proposte durante gli anni del fascismo, quella mussoliniana risalta per la sua oggettiva rilevanza, trattandosi di un’interpretazione che, rispetto a quelle proposte da studiosi e intellettuali vicini al regime quali Francesco Ercole (→) o Giovanni Gentile (→), presenta il crisma dell’ufficialità ideologica. La sua espressione più articolata fu il Preludio al Machiavelli apparso nell’aprile 1924 sulla rivista «Gerarchia», ma sono molte le citazioni e le suggestioni machiavelliane sparse, dalla giovinezza all’età matura, nella produzione giornalistica di Mussolini e nei suoi discorsi politici: per es., «il diritto, se non è accompagnato alla forza, è una vana parola, e il vostro grande Machiavelli avvertiva che i profeti disarmati perirono», secondo le parole rivolte alle camicie nere fiorentine radunate in Palazzo Vecchio il 17 maggio 1930.
Lo spunto per la stesura del Preludio, propedeutico a un testo più organico che non vide mai la luce, fu il conferimento al duce di una laurea ad honorem in giurisprudenza da parte dell’Università di Bologna, poi non assegnata a causa dei dissidi insorti all’interno del corpo accademico su questa decisione. La mancata lectio magistralis fu così trasformata in un articolo. In esso Mussolini propose una lettura politicamente attualizzante del Fiorentino, del quale venivano enfatizzati il pessimismo antropologico e il giudizio negativo sugli uomini, raffigurati – «senza limitazione di spazio e di tempo» – come interessati solo al proprio tornaconto, inclini a non riconoscersi in alcuna autorità pubblica e dunque incapaci di autogovernarsi. Giocato sul «dissidio tra forza organizzata dello Stato e frammentarismo dei singoli e dei gruppi», lo scritto mussoliniano utilizzava strumentalmente l’autore del Principe per criticare il principio della sovranità popolare e per affermare la sua visione dello Stato come forza (anche armata) che deve imporsi sugli individui allo scopo di frenarne le spinte antisociali, l’egoismo innato e la tendenza a privilegiare l’interesse personale su quello collettivo.
Al di là del valore esegetico piuttosto modesto – ma lo stesso Mussolini aveva avvertito nelle righe iniziali: «Non dirò nulla di nuovo» –, ciò che colpisce di questo scritto (e che gli darà un significato storico particolare) è la congiuntura politica nella quale esso apparve: poco dopo le elezioni del 6 aprile, che avevano consegnato al ‘listone’ fascista una vasta maggioranza parlamentare, e subito prima del rapimento e dell’uccisione (10 giugno) di Giacomo Matteotti, il cui ultimo scritto – apparso postumo in Gran Bretagna nel luglio di quell’anno (Machiavelli, Mussolini and fascism) in risposta alla traduzione in inglese del Preludio mussoliniano (The folly of democracy), pubblicata il mese precedente anch’essa sul mensile londinese «English life» – sarà proprio una confutazione dell’interpretazione assolutista e antidemocratica del Fiorentino proposta dal capo del governo. Lo stesso tipo di confutazione che, sempre a caldo, era stata avanzata da Piero Gobetti sulle pagine di «Rivoluzione liberale», a conferma che l’elaborato di Mussolini, per la parte in cui si definisce il popolo una finzione e si criticano i sistemi politici basati sulla rappresentanza parlamentare, agli occhi degli esponenti più avveduti dell’antifascismo era immediatamente apparso come una giustificazione teorica, all’ombra di M. e del suo pessimismo esistenziale, della dittatura che stava in effetti per instaurarsi.
Lo scritto mussoliniano ebbe negli anni successivi (inevitabilmente, vista la fonte) larga eco, come sobriamente annotato da Federico Chabod nella voce Machiavelli da lui pubblicata nel 1934 nell’Enciclopedia italiana. Fu ristampato in più occasioni come opuscolo e come introduzione a edizioni coeve del Principe, e attirò molta curiosità all’estero. Tuttavia esso diede anche lo spunto per alimentare una leggenda biografica secondo la quale il Segretario fiorentino aveva avuto un ruolo determinante nella formazione di Mussolini sin dalla sua prima giovinezza, dal momento che il padre Alessandro aveva l’abitudine, nelle ore serali, di leggergli lunghe pagine tratte dalle sue opere. Avallata dallo stesso Mussolini nei celebri colloqui con Emil Ludwig del 1932, questa leggenda era stata diffusa per la prima volta da Margherita Sarfatti. Nella sua biografia apologetica del 1926, Dux, quest’ultima aveva infatti descritto la scena dei due uomini, padre e figlio, al cospetto dei quali, nella tenue luce dell’osteria, compare M. per spiegare loro l’arte dello Stato e «la matematica delle leggi che regolarono l’impero di Roma». Scena ovviamente ripresa dal celebre brano della lettera a Francesco Vettori del 10 dicembre 1513 con M. divenuto uno di quegli «antiqui huomini» che «per loro humanità» rispondono a chi li interroga sulla «ragione delle loro azioni».
Ma a dispetto di quest’enfasi sulla passione mussoliniana per M. – simbolicamente attestata dall’esibizione al pubblico, durante la grandiosa mostra per il decennale della rivoluzione fascista, degli appunti autografi del duce redatti in occasione della sua mancata lectio magistralis, come anche dall’omaggio fatto ad Adolf Hitler, durante uno dei loro incontri, di una raccolta delle opere del Fiorentino – quest’ultimo non fece mai organicamente parte delle ‘itale glorie’ utilizzate dal fascismo per comporre il proprio pantheon storico-ideologico. Tra i grandi nomi della storia nazionale, poeti, eroi e navigatori, la gran parte dei quali oggetto di appropriazioni, riletture e celebrazioni durante il Ventennio, M. è uno di quelli per i quali la retorica del regime (e dello stesso Mussolini) si è dovuta accontentare del suo ruolo di ispiratore dell’Unità d’Italia (secondo un cliché storiografico nato peraltro in età risorgimentale) o di una lettura delle sue opere convenzionale e riduttiva che, mentre ne riprendeva il pessimismo esistenziale, l’esaltazione della forza, il volontarismo e la celebrazione del principe-condottiero (sino a farne un Nietzsche ante litteram), non poteva nasconderne al contempo il carattere ideologicamente ambiguo e come tale poco compatibile con la dottrina ufficiale del regime: dall’adesione ai valori popolari e repubblicani largamente attestata dai suoi scritti alla dichiarata mancanza di sentimento religioso o di riguardo nei confronti della Chiesa, da un cinismo corrosivo potenzialmente indirizzabile anche contro i detentori del potere a una lettura della Roma antica che certo non enfatizzava l’età imperiale cara al fascismo.
Bibliografia: Preludio al Machiavelli, in Opera omnia, a cura di E. e D. Susmel, 20° vol., Firenze 1956, pp. 251-54.
Per gli studi critici si vedano: L. Mitarotondo, Il Principe fra il Preludio di Mussolini e le letture del Ventennio, in Machiavelli nella storiografia e nel pensiero politico del XX secolo, Atti del Convegno, Milano 16-17 maggio 2003, a cura di L.M. Bassani, C. Vivanti, Milano 2006, pp. 59-78; X. Tabet, Machiavel et le fascisme italien, in Machiavelli nel XIX e nel XX secolo, Giornate di studio organizzate dal Dipartimento di scienze giuridiche di Trento, l’Université Paris 8, l’ENS-LSH de Lyon, Lione 3-4 giugno 2003, Parigi 5-7 giugno 2004, a cura di P. Carta, X. Tabet, Padova 2007, pp. 215-33; F. Ceccarelli, Mussolini, Craxi, Berlusconi: Il Principe e lo specchio del potere, in Il Principe di Niccolò Machiavelli e il suo tempo. 1513-2013, a cura di A. Campi, catalogo della mostra, Roma, Complesso del Vittoriano, 25 aprile-16 giugno 2013, Roma 2013, pp. 318-30.