FRANKLIN, Benjamin
Tipografo, scrittore, uomo di stato, diplomatico, educatore, inventore, nacque a Boston il 17 gennaio 1706, e morì a Filadelfia il 17 aprile 1790. Suo padre Giosia, prima tintore in seteria, poi fabbricante di sapone e candele, gl'infuse nell'anima il più austero puritanesimo. Povero, assai per tempo F. dovette porsi al lavoro e s'impiegò con un contratto per nove anni nella tipografia di suo fratello Giacomo. Fu il periodo, in cui F. si formò intellettualmente e moralmente: leggeva un po' di tutto: De Foe, Locke, le Provinciali di Pascal, la grammatica di Port Royal, ma ciò che più lo colpì fu la nuova morale illuminista del Collins e dello Shaftesbury, che lo staccò dal puritanesimo e gli fece abbracciare una morale laica, al di là e al disopra di tutte le morali confessionali. Queste letture scossero in lui il principio d'autorità, e, appena diciassettenne, scriveva nella New England Courant articoli anonimi con inesauribile verve umoristica contro i poteri costituiti. Giunto alla piena coscienza di sé, sentì di non poter più sopportare i maltrattamenti del fratello e con un dollaro in tasca s'imbarcò per New York (settembre 1723). Si recò poi a Filadelfia e riuscì a far prosperare, in virtù dei suoi talenti d'organizzatore, una cattiva tipografia e ad entrare nelle grazie del governatore della Pennsylvania. Perfezionatosi nell'arte tipografica a Londra, F. ritornò a Filadelfia e divenne tipografo ufficiale della provincia (1728). Dopo aver assicurato in tal modo la propria indipendenza economica, F., iscrittosi nella massoneria, si dedicò al miglioramento degli altri. Creò un almanacco, quello "del povero Richard Saunders" (1733) e si fece educatore popolare col suo arguto umorismo, bandendo una morale laica, aliena da ogni velleità teologizzante e metafisicheggiante e predicando le virtù borghesi del lavoro, della probità, del risparmio, della preziosità del tempo, dell'indissolubile nesso tra bene e utile. F. fu una specie di Voltaire, ma un Voltaire americano con un suo humour tutto proprio, humour gioviale di borghese anglo-sassone privo dell'aristocratica finezza del Francese. Animatore instancabile, fece di Filadelfia una città moderna e la dotò di giornali, di clubs, di una biblioteca pubblica, di solida pavimentazione. Tante benemerenze si acquistò nei primi posti dell'amministrazione: fece parte dell'assemblea provinciale di Pennsylvania nel 1736 e venne nominato direttore delle poste dalla Corona britannica (1737).
Intanto non dimenticava di arricchire spiritualmente sé stesso con lo studio delle lingue (francese, latino, spagnolo, italiano) e con lo studio delle scienze fisiche e naturali. Verso il 1750 pubblicò una serie di ricerche che culminarono nell'enunciazione della legge di conservazione di elettricità e nella prima teoria dei fenomeni elettrici, fondata sull'ipotesi dei due fluidi. La successiva scoperta sul potere delle punte, combinata con gli esperimenti sul cervo volante elettrico, lo condussero all'invenzione del parafulmine nel 1752. Ma l'eccessivo praticismo, il sovrano disprezzo per ogni teoria, la mancanza d'una mente veramente scientifica, non permisero al F. di divenire un grande scienziato e di fecondare pienamente le sue geniali doti d'intuizione e di osservazione.
Il conflitto fra la Corona e le colonie inglesi portò in primo piano l'attività politica e il F. venne sempre più assorbito da essa. Nemico d'ogni eccesso, onorato dalla Corona e dai suoi concittadini, alieno dalla guerra, il F. dapprima si pose come conciliatore tra le due parti e presentò a tal fine un piano ad Albany nel 1751, ma esso fu rigettato dalle assemblee provinciali e dai comuni. Scoppiata la guerra dei Sette anni, F. arruolò un contingente di 500 uomini e venne inviato dalla Pennsylvania a Londra (1757), per protestare contro i Penn e i proprietarî fondiarî che non volevano adempiere ai doveri pubblici. Anche il Massachusetts, il Connecticut e il Rhode Island affidarono i proprî interessi nella metropoli al F., che si riconfermò versatilissimo in tutti gli affari e rivelò anche felici attitudini alla diplomazia. Le colonie ebbero nel F. il più energico e fine avvocato, che non si lasciava commuovere né dalle lodi e dalle lusinghe né dalle minacce degl'Inglesi. Nel 1764 rimise al governo inglese la protesta per la legge sulla carta da bollo, che fece revocare nel 1766. Al F. toccò anche di appoggiare presso le camere inglesi, la petizione del primo Congresso americano, che venne rigettata. Era la guerra. F. s'imbarcò il 22 marzo 1776, fu ricevuto in trionfo a Filadelfia e partecipò alla dichiarazione d'indipendenza (4 luglio 1776).
Incaricato d'una delicata missione diplomatica, con Deane e Lee, si recò in Francia (1776) e stette a Parigi fino al 1785. A Parigi ebbe accoglienze trionfali: a un mondo invasato delle nuove idee illuministiche, egli apparve come uno dei simboli più completi dell'uomo nuovo. Combattente della libertà, scienziato pratico, deista, massone, moralista laico, borghese nel senso più pieno della parola, F. impersonava in sé anche nell'aspetto esteriore (una bella testa calva invece della parrucca, il bastone invece dello spadino, gli occhiali) l'uomo della nuova società che l'illuminismo vagheggiava. Tutti i salotti aprirono a F. le porte; gli fu coniato il famoso verso Eripuit coelo fulnen sceptrumque tyrannis, e un delirio invase i presenti quando egli si presentò abbracciato con Voltaire all'Accademia delle scienze.
Nonostante questo entusiasmo, la missione del F. non fu facile; il re Luigi XVI era l'unico forse che non sentiva affatto il suo fascino e le finanze non permettevano una guerra all'Inghilterra. Fu soltanto dopo la notizia del grande successo americano a Saratoga (1777), che F. riusci a indurre la Francia a firmare un trattato d'alleanza e di commercio con le Colonie americane (6 febbraio 1778), col quale mentre si assicurava che la Francia non avrebbe ripreso il Canada, non si faceva altro che garantirle il possesso delle Antille. Altri trattati di commercio seguirono con la Svezia e con la Prussia, nei quali F. ottenne ottime condizioni per il suo paese.
Quando John Adams, al congresso per la pace a Parigi, per il suo carattere angoloso la ruppe con Vergennes, ministro degli Affari esteri di Francia, F., più pieghevole, fu chiamato a sostituirlo con l'assistenza di Jay. Certo fu lo Jay, più giovane e attivo, a condurre principalmente le negoziazioni, ma quando si concluse la pace con l'Inghilterra, all'insaputa della Francia (29 novembre 1782), a F. spettò il compito di far ingoiare l'amara pillola al Vergennes.
Tornato a Filadelfia (14 settembre 1785), fu nominato presidente dello stato di Pennsylvania e poi deputato alla convenzione del 1787. Democratico convinto, il F. patrocinò, nelle discussioni sulla costituzione da dare agli Stati Uniti, il sistema della camera unica, ma vistosi in minoranza, piuttosto che elemento dissolvente fu elemento conciliatore tra le varie tendenze costituenti e a tal fine si servì del suo prestigio morale. Tuttavia, nonostante i suoi nobili sforzi, solo 39 dei 55 deputati firmarono la costituzione. Né riuscì a imporre nella politica scolastica americana il sistema della self education, perché prevalse quello dell'istruzione statale, patrocinata dall'Adams. Furono gli ultimi grandi atti politici di F.: tre anni dopo moriva e fu decretato in suo onore un lutto di due mesi in America, di tre giorni in Francia, dove l'Assemblea costituente volle onorare in lui uno dei maestri della nuova coscienza politica.
La fama di F. è andata crescendo nel sec. XIX e ha raggiunto forse il suo culmine ai nostri giorni, grazie al posto sempre più importante che la civiltà americana va occupando nel mondo. F. è per molti l'americano tipico, il borghese moderno tipico, uno dei primi energici rappresentanti dello spirito capitalista o della moderna religione dell'azione. Etica ed economica si fondono in lui in tal modo nel concetto del credito che è difficile definire dove in lui finisca l'onesto uomo e dove cominci l'uomo d'affari che del credito apprezza tutta l'utilità. Il fine dell'uomo è per F. il guadagno per il guadagno, il lavoro per il lavoro, fine completamente spoglio da ogni carattere eudemonistico o edonistico. L'uomo non deve concedersi nessun perditempo, nessuna contemplazione serenante. Manca all'etica del F. la gioia della vita, del godimento, della bellezza del nostro Rinascimento. F. è un asceta dell'azione, è il primo rappresentante di quello spirito del capitalismo, che nell'ascesi ha uno dei suoi caratteri più originali.
Opere: Per i mss. delle opere di F., v. specialmente Calendar of the Papers of B. F., in the Library of the American Philosophical Society, a cura di I. Minis Hays, Filadelfia 1905, 4 volumi (in appendice il Calendar of the Papers of B. F. in the Library of the University of Pennsylvania); W. C. Ford, List of the B. F. Papers in the Library of Congress, Washington 1905.
La prima raccolta di opere complete del F. fu quella, criticamente assai difettosa, del nipote William Temple Franklin, Memoirs of the Life and Writings of B. F. (6 voll., Londra 1817-19; Filadelfia 1818). Seguirono, con materiale sempre nuovo e con criterî più sodi, The Works of B. F. (10 voll., Boston 1836-40), a cura di J. Sparks; The Complete Works of B. F. (New York 1887-1888, 10 voll.), a cura di J. Bigelow; The Writings of B. F. (New York 1905-07, 19 voll.), a cura di Albert Henry Smyth.
In italiano assai per tempo furono noti in traduzioni gli scritti di B. F. Cfr. specialmente Opere filosofiche di B. F., nuovamente raccolte e dall'originale inglese recate in lingua italiana, Padova 1783; Mezzo facile di pagare l'imposizione ossia la scienza di Riccardo Saunders, Torino 1797; La maniera di farsi ricco di B. F., Milano 1814, Roma 1816; La scuola della economia e della morale, Pavia 1825; La scienza del bonomo Riccardo o le vie della fortuna, aggiuntevi la verace gallina nera o le cognizioni dei tesori, Roma 1830; Saggi di morale e d'economia, Pisa 1830, Volterra 1834; Raccolta di scritti morali, politici ed economici, ed. De Bonis, Firenze 1855; Vita di B. Franklin, scritta da sé medesimo, trad. P. Rotondi, Firenze 1869, 1ª ristampa, Firenze 1924; Autobiografia, trad. G. Fornelli, Firenze 1925; Scritti minori, ed. P. Rotondi, Firenze 1870; Opere morali di B. F., Milano 1882; Pagine morali, ed. A. Biancotti, Torino 1924.
Bibl.: P. L. Ford, Franklin Bibliography, Brooklyn 1889; Condorcet, Eloge de B. F., in Œuvres, III, Parigi 1847; C. Fauchet, Éloge civique de B. F., Parigi 1790; P.-J. Cabanis, Notice sur F., in Œuvres, V, Parigi 1823-25 (notevole documento dell'influsso di F. sul pensiero rivoluzionario francese); M. Mignet, Vie de F., Parigi 1848; J. Parton, Life and Times of B. F., 2 voll., New York 1864; J. B. Mac Master, B. F. as a man of Letters, Boston 1887; E. E. Hale, B. F. in France, 2 voll., Boston 1887-88; J. T. Morse, B. F., Boston 1889; A. W. Wetael, B. F. as an Economist, in Johns Hopkins University Studies, XIII (1895); S. G. Fisher, The true B. F., Filadelfia 1899; P. E. More, B. F., Boston 1900; C. W. Eliot, Four American Leaders, Boston 1906; L. Swift, B. F., Boston 1910; E. L. Dudey, B. F., New York 1915; J. M. Stifler, The Religion of B. F., 1925; W. Sombart, Le bourgeois, trad. francese, Parigi 1926; Malcolm R. Eiselen, Franklin's Political Theory, 1928; B. Fay, B. F., bourgeois d'Amérique, Parigi 1930-31; Max Weber, L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, trad. it. in Nuovi Studi di Econ. e Diritto, 1931; pp. 198 e segg. (orig. tedesco 1904-05). In ital. non vi sono studî serî sul F.: v'è un saggio di C. Arici in Vite e ritratti di venticinque uomini illustri, Padova 1822, e uno di C. Cantù in Vite prallele di Mirabeau e Washington, Milano 1867.