Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nei primi decenni dell’Ottocento si afferma in Inghilterra il gruppo dei filosofi radicali, di cui Jeremy Bentham è uno dei principali esponenti. La vasta e poliedrica opera di Bentham ruota intorno al principio di utilità, inteso come principio sia di spiegazione sia di valutazione dei comportamenti. Bentham fornisce la prima costruzione sistematica dell’utilitarismo come corrente di pensiero orientata alla realizzazione della “massima felicità per il maggior numero”.
Utilitarismo filosofico
“Con principio di utilità si intende quel principio che approva o disapprova qualunque azione secondo la tendenza che essa sembra possedere ad aumentare o diminuire la felicità della parte il cui interesse è preso in considerazione, oppure, che è lo stesso in altre parole, a promuovere o ad ostacolare quella felicità” (J. Bentham, An Introduction to the Principles of Morals and Legislation, I, 2, ed. 1982, 11-12). L’utilitarismo è “quella dottrina che accetta come fondamento della morale l’utilità, o il principio della massima felicità, (e che) sostiene che le azioni sono lecite in quanto tendono a promuovere la felicità e illecite se tendono a generare il suo opposto”. (J.S. Mill, L’utilitarismo, ed. 1988, 17)
Trasposte sul piano collettivo queste definizioni conducono all’utilitarismo filosofico come prospettiva etica, cioè a quella prospettiva che si pone come obiettivo la realizzazione dell’utilità generale, intesa come la “massima felicità per il maggior numero di persone”. Utilitariste sono quelle posizioni che riconducono il giusto all’utile e che giustificano scelte individuali e politiche sulla base della loro utilità, cioè della loro capacità di massimizzare la felicità o il benessere, individuale e collettivo.
L’utilitarismo appartiene alle dottrine morali chiamate conseguenzialiste, poiché ritiene che un’azione debba essere giudicata buona o cattiva in base alle sue conseguenze e non alle ragioni per cui è stata decisa, siano esse elementi soggettivi come, ad esempio, la convinzione che sia giusta o regole, come, ad esempio, mantenere la parola data. Nella valutazione dell’utilità di un’azione, l’animus di chi la compie – intenzioni, merito, colpa – è rilevante solo in relazione ai risultati che produce.
L’utilitarismo etico ha un fondamento antropologico razionalista: l’idea che i comportamenti umani siano motivati dall’utilità, o felicità, individuale, intesa come fuga dal dolore e ricerca del piacere. Quest’idea ha avuto varie applicazioni nella teoria economica dell’Ottocento e del Novecento ponendosi come principio per la previsione di comportamenti a quella prospettiva e per analisi costi-benefici, fino ad arrivare alle più recenti elaborazioni delle teorie della decisione razionale.
Nella filosofia politica e morale contemporanea la prospettiva utilitarista assume differenti configurazioni e propone vari modelli che alimentano un ampio dibattito interno (Cfr. N. Bobbio, N. Matteucci, G. Pasquino, “Utilitarismo”, in Dizionario di politica, 2004). Le origini dell’utilitarismo moderno si collocano nel pensiero inglese del Seicento e nell’Illuminismo francese e italiano, in particolare in Helvétius e in Beccaria, la sua enunciazione e costruzione come teoria autonoma avviene ad opera di Jeremy Bentham negli ultimi decenni del XVIII secolo, e sarà poi sviluppata e rielaborata nel XIX secolo da John Stuart Mill e da Henry Sidgwick.
Jeremy Bentham: ponte tra due epoche
Jeremy Bentham è un autore di cerniera tra due secoli: raccoglie lo spirito riformatore e alcune fondamentali idee del Settecento francese e inglese, dando forma compiuta a prospettive teoriche, in particolare utilitarismo filosofico e positivismo giuridico, che diventeranno nell’Ottocento correnti dominanti, intorno alle quali ruota lo sviluppo delle scienze umane. Alcuni elementi centrali nella sua teoria – come l’utilità generale posta a fondamento di un progetto riformista, l’etica trattata come scienza naturale, il primato del legislatore razionale sulla giurisprudenza e sulla consuetudine, la razionalizzazione delle norme giuridiche attraverso la codificazione – si trovano già in autori precedenti, ma Bentham li esplicita, approfondisce, sviluppa nelle loro diverse applicazioni facendone i pilastri di una costruzione sistematica. Anche la sua vasta produzione si estende a cavallo dei due secoli – le prime opere del decennio 1770-80 le ultime del decennio 1820-30 – e intreccia vari ambiti: filosofico, psicologico, politico e soprattutto giuridico, tenuti insieme dai fondamenti utilitaristi esposti nella sua prima opera: An Introduction to the Principles of Morals and Legislation pubblicata a Londra nel 1789, anno della Rivoluzione francese. Le opere successive, in particolare quelle giuridiche, saranno pubblicate inizialmente in francese nei primi decenni dell’Ottocento, a cura del suo allievo Etienne Dumont e solo dopo molto tempo in Gran Bretagna. Nel 1968 si è avviato il Bentham Project con l’obiettivo di pubblicarne l’intera opera, in gran parte inedita, arrivato finora, nel 2012, a 28 volumi (cfr. The Collected Works of Jeremy Bentham).
Bentham non è però soltanto un teorico, la sua vita è caratterizzata da un costante impegno riformista e da ripetuti tentativi di tradurre le sue idee in interventi politici e legislativi. Nei primi decenni dell’Ottocento, Bentham si orienta verso una concezione politica democratica che coincide con l’appartenenza al gruppo dei radicali inglesi, di cui è uno dei principali esponenti. Insieme a James Mill, padre di John Stuart Mill, fonda la “Westminster Review”, organo ufficiale del radicalismo filosofico. Questo movimento di pensiero, che influenza fortemente la politica inglese del XIX secolo, ha come obiettivo riforme appunto radicali, prima di tutte il suffragio universale, ma anche la realizzazione di un sistema sanitario e di istruzione pubblica, l’abolizione della pena di morte, l’estensione dell’eguaglianza giuridica alle donne, la depenalizzazione dell’omosessualità.
Anche grazie all’opera dei suoi discepoli le idee di Bentham hanno molto seguito negli anni successivi e ispirano alcune riforme politiche e legislative. Le sue opere giuridiche influenzano concretamente la trasformazione del diritto in Paesi extraeuropei, ma non realizza mai in patria il suo obiettivo principale: la riforma complessiva del diritto inglese attraverso la codificazione, il Common Law rimane tuttora un diritto in gran parte giurisprudenziale.
L’aritmetica morale: piaceri e dolori, pene e ricompense
Il principio di utilità nella formulazione di Bentham riportata sopra si presenta come un principio prescrittivo, che esprime un giudizio di valore: “approva o disapprova”, ma per Bentham è prima ancora un principio descrittivo che spiega le motivazioni dei comportamenti umani: “la natura ha posto l’umanità sotto il governo di due padroni sovrani, il dolore e il piacere”, che sono al contempo la misura del giusto e dello sbagliato e ciò che ci governa in “tutto ciò che facciamo, diciamo, pensiamo” (An Introduction…I, 2, ed. 1982,11).
Non è possibile comprendere l’interesse di una comunità se non si parte dagli interessi delle singole persone che la compongono. Il sistema utilitarista benthamiano si costruisce a partire dal principio chiamato “edonismo psicologico”, secondo il quale le persone tendono a massimizzare la loro felicità individuale, attraverso la ricerca dei piaceri e la fuga dai dolori. La somma delle utilità individuali determina l’utilità collettiva espressa sinteticamente dalla nota fomula “la massima felicità per il maggior numero”, la cui realizzazione, detta “edonismo etico”, deve costituire l’obiettivo della morale e del diritto.
Bene è dunque ciò che aumenta la felicità collettiva, male ciò che la diminuisce, bene e male sono rilevabili empiricamente: non esistono principi di giustizia superiori e assoluti. Bentham scrive che una comunità è un’entità fittizia, composta da persone singole, dunque l’interesse di una comunità non è altro che la somma degli interessi delle persone che la compongono. L’utilitarismo esclude ogni valore superiore, bene collettivo è semplicemente la felicità generale, intesa come somma delle felicità individuali e fondata sull’eguaglianza naturale degli esseri umani: ognuno conta per uno e solo per uno.
Per determinare l’utilità generale Bentham conia un procedimento che chiama aritmetica morale o “felicific calculus”, elaborato prendendo a modello le scienze matematiche. Anche sotto questo profilo Bentham anticipa una corrente che dominerà nell’Ottocento, il cosiddetto scientismo, inteso come la tendenza a costruire le scienze umane sul modello delle scienze naturali.
Il sistema di regole costruito da Bentham a fondamento del calcolo morale è molto articolato e complesso. Per darne sinteticamente un’idea mi limito a ricordarne i principali passaggi, analiticamente descritti nell’Introduzione ai principi della morale e della legislazione. Bentham individua quattro fonti di piacere e dolore: fisica, politica, morale e religiosa, che danno origine a quattordici tipi di piaceri e dodici tipi di dolori. Queste unità di base di piacere e dolore vanno poi considerate nelle loro relazioni reciproche e analizzate tenendo conto delle circostanze che influenzano la sensibilità di ciascuno, trentadue nella sua tipizzazione, e variabili a seconda dei tempi e dei luoghi, per cui, ad esempio, un indiano non ha la stessa sensibilità di un inglese. Ma bisogna tener conto anche di vari caratteri che determinano l’incidenza di piaceri e dolori: intensità, durata, certezza e distanza nel tempo, fecondità, purezza e infine estensione, cioè il numero di persone che ne sono toccate.
L’aritmetica morale non è dunque composta da operazioni semplici, neppure nella versione di Bentham che pure tiene conto solo degli aspetti quantitativi di piacere e dolore, assumendo che non ci sono piaceri migliori di altri, mentre John Stuart Mill aggiungerà la valutazione della qualità di piaceri e dolori, distinguendo tra piaceri inferiori e superiori.
L’aritmetica morale è anche il fondamento della scienza della legislazione: piaceri e dolori diventano pene e ricompense nelle mani del governo e del legislatore, cioè strumenti per intervenire sugli interessi individuali in modo da ricondurli all’utilità collettiva. Le sanzioni altro non sono che piaceri e dolori, cioè motivazioni che determinano i comportamenti: “Il compito del governo è promuovere la felicità della società, punendo e ricompensando” (An Introduction…VII, 1, ed. 1982, 74)
Diritto come è e diritto come deve essere
Bentham è un autore chiave anche per la teoria del diritto, considerato il fondatore del positivismo giuridico teorico, sua è la prima, chiara distinzione tra diritto come è e diritto come deve essere, tra scienza giuridica descrittiva che formula giudizi di fatto (expository jurisprudence) e prescrittiva che formula giudizi di valore (censorial jurisprudence).
In vari saggi Bentham denuncia come finzioni, artifizi retorici, quelle teorie che presentano come un dato oggettivo ciò che è invece frutto di preferenze soggettive. Tipica finzione, nozione metafisica che confonde essere e dover essere, è il diritto naturale: per Bentham la validità del diritto prescinde dal suo contenuto. Egli si pone così in contrasto con il giusnaturalismo dominante all’epoca, rappresentato in Inghilterra dall’importante giurista William Blackstone, ma anche con i sostenitori dei diritti naturali dell’uomo, la grande innovazione teorica consacrata nelle Dichiarazioni americane e francesi, che Bentham critica radicalmente chiamandoli nonsense upon stilts, “sciocchezze sui trampoli”.
Se anche il cattivo diritto è diritto, esiste comunque la possibilità di un buon diritto, a esso Bentham dedica la vita, ed è quello costruito dal legislatore razionale sulla base dei principi dell’utilitarismo. La scienza della legislazione opera a partire dal calcolo morale e dalla valutazione costi-benefici, tenendo conto che ogni legge – e soprattutto una legge penale – è un male in sé in quanto rappresenta una limitazione della libertà: essa deve dunque essere giustificata da un maggior incremento dell’utilità generale.
Sul piano giuridico una delle conseguenze più rilevanti dell’utilitarismo è l’affermarsi della visione della pena non più come punizione, ma come deterrente, della funzione preventiva e rieducativa al posto di quella retributiva, concezione già sostenuta dalla teoria della pena illuminista, in particolare da Cesare Beccaria, ma sviluppata da Bentham in modo sistematico con proposte complessive di riforma dell’intero diritto penale e del sistema carcerario britannico.
Armonia naturale e armonia artificiale
Il Panopticon è una delle opere più note di Bentham, anche grazie alla sua assunzione a tipo ideale di potere disciplinare, compiuta da Michel Foucault (Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, 1976, cap.III). Si tratta del minuzioso progetto di un carcere ideale all’interno del quale la visibilità e il controllo dei detenuti è costante, ma anche il sorvegliante è sorvegliato e l’ultimo controllo spetta all’opinione pubblica.
L’idea di massimizzare il potere e l’efficienza delle istituzioni attraverso il controllo, la disciplina e sistemi calibrati di pene e ricompense accompagna Bentham tutta la vita. In nome dell’utilità collettiva, lo Stato si costruisce come un sistema efficiente, raffinato e pervasivo di gestione del potere. “A Bentham importava poco della libertà”, scrive Bertrand Russell (Storia della filosofia occidentale, 1984, 734). La libertà individuale è invece necessaria nelle relazioni economiche dove Bentham, che qui risente dell’influenza di Adam Smith, è convinto che il governo debba limitare il più possibile il suo intervento, che può essere solo dannoso. L’ambito economico si sottrae dunque all’opera di armonizzazione artificiale delle utilità individuali che è compito del legislatore e del governo, in quest’ambito l’utilità generale si raggiunge attraverso la confluenza e l’armonizzazione spontanea delle utilità individuali lasciate libere.
L’idea che il perseguimento dell’utile individuale produca, per una forma di naturale armonizzazione, l’utilità generale è diventata uno dei fondamenti dell’ideologia del libero mercato.
Marx chiama Bentham “oracolo del senso comune borghese”, la straordinaria opera di Bentham va ben al di là di questo severo giudizio, ma è vero che l’utilitarismo benthamiano rappresenterà uno dei più importanti riferimenti nell’affermazione della cultura borghese e nella costruzione dello Stato liberale ottocentesco.