BENTIVOGLIO D'ARAGONA, Marco Cornelio
Nacque a Ferrara il 27 marzo 1668 da Ippolito e Lucrezia di Ascanio Pio di Savoia. Era nipote del cardinale Guido Bentivoglio, che fu un punto di riferimento costante per le sue ambizioni politiche e letterarie. Ebbe l'educazione umanistica che conveniva ad una famiglia dalle illustri tradizioni rinascimentali ottenendo presto un suo posto di rilievo nel piccolo mondo letterario ferrarese: giovanissimo, fece parte dell'Accademia degli Intrepidi e successivamente ospitò e protesse l'Accademia della Selva; addottoratosi in diritto civile e canonico, fu eletto nel 1689 riformatore dello Studio cittadino, nella quale carica succedeva al fratello Luigi, che l'aveva tenuta dal 1685, nel 1692 pubblicò in Ferrara La vita trionfante della morte nella Resurrettione di nostro Signor Giesù Christo, un mediocre oratorio che non si discosta dai moduli consueti alla poesia religiosa secentesca, notevole però per l'uso già sapiente dei metri più vari e per lo stile magniloquente e sonoro, caratteristiche queste che furono poi della più tarda produzione del B. ed in modo particolare delle sue traduzioni. Accanto a questa poesia religiosa, ancora tutta nella tradizione del gusto barocco, egli venne però elaborando, già nel suo periodo giovanile, un esangue mondo di amori pastorali, di idilli pallidamente riecheggianti cadenze e motivi cinquecenteschi nel gusto tipico dell'Arcadia: all'accademia romana, infatti, il B. aderì con il nome di Entello Epiano e la carica di vice custode della colonia ferrarese.
Questa produzione del B., che trovò la sua sistemazione soprattutto nella misura del sonetto, incontrò tra i contemporanei un largo consenso, anche se non sempre meritato: numerosi suoi sonetti furono, infatti, inseriti nelle antologie del tempo, comprese quelle famose dei Muratori e del Ceva. Ma la poesia arcadica del B. non dispiacque neanche al Foscolo, il quale pure pubblicò un sonetto del poeta ferrarese nella raccolta Vestigi della storia del sonetto italiano dall'anno MDCC al MDCCC (in Opere edite e postume, a cura di P. S. Orlandini e E. Mayer, I, Firenze 1882, pp. 428 s.), giustificando la scelta "sì per la novità, per l'ingenuità, l'invenzione e il sentimento ilare e patetico; sì per la disposizione, per la scena e freschezza campestre del quadro e pel movimento degli attori".
Ma l'attività letteraria era destinata a rimanere del tutto secondaria rispetto alle preoccupazioni politiche del Bentivoglio. Recatosi una prima volta a Roma nel 1694 per rendere omaggio in nome della sua città ad Innocenzo XII, egli fu invitato dal pontefice ad intraprendere la carriera ecclesiastica e ne ottenne quattro anni dopo la carica di governatore di Montalto. Nuovamente venne inviato a Roma come ambasciatore di Ferrara nel 1700, in occasione dell'elezione al pontificato di Clemente XI: questi lo convinse a prestare i suoi servizi in Curia e l'anno successivo lo nominò referendario delle due segnature, nel 1706 chierico della Camera apostolica e nel 1707 commissario delle Armi per lo Stato pontificio. Del brillante avvenire che gli riservarono la vivace intelligenza, le illustri tradizioni della famiglia e i "grandi appoggi nella Corte" poteva scrivere al proprio governo sin dal 10 dic. 1 706 l'ambasciatore veneto Giovanni Francesco Morosini, il quale prevedeva per il B. "presta e felice carriera" (Relazionedi ambasciatori sabaudi, genovesi e veneti durante il periodo della grande alleanza e della successione di Spagna, a cura di C. Morandi, Bologna 1935, p. 218).
Le previsioni del Morosini ottennero ben presto conferma: nell'ottobre del 1711 Clemente XI affidò al B. Pìncombenza diplomatica più delicata del momento, nominandolo nunzio alla corte di Francia; da Roma il B. partì però soltanto nel maggio dell'anno successivo, dopo essere stato consacrato arcivescovo di Cartagine il 3 aprile. Ricevuto in visita privata da Luigi XIV al suo arrivo nella capitale francese, fece in questa il suo ingresso ufficiale il 23 ottobre seguente.
La nunziatura del B. corrisponde ad uno dei momenti di maggior tensione tra la Santa Sede ed il clero francese: la condanna romana delle Réflexions morales del Quesnel, avvenuta il 13 luglio 1708, era stata di fatto ignorata dalla maggior parte del clerogallicano e giansenista che faceva capo all'arcivescovo di Parigi cardinale Noailles, sostenuto a sua volta dal parlamento parigino e da Luigi XIV, che avevano impedito la pubblicazione in Francia del breve di condanna. Negli ultimi anni l'atteggiamento del re era però sostanzialmente mutato: l'influenza del confessore, il gesuita Le Tellier, e di M.me de Maintenon alimentavano senza tregua gli scrupoli religiosi dei monarca, che la età avanzata largamente favoriva, provocandone il riavvicinamento alla Santa Sede ed un completo cambiamento di posizioni nei riguardi dei due partiti in cui si divideva il clero francese, a tutto beneficio degli ultramontani. Questi avevano tratto vantaggio anche dalle più recenti nomine di vescovi, avvenute sotto l'influenza del Le Tellier, sicché ormai soltanto una piccola parte dell'episcopato francese si stringeva intorno all'arcivescovo di Parigi. Giansenisti e gallicani continuavano però ad avere l'appoggio della maggioranza del parlamento e godevano largamente dei favore popolare.
Per sanare questa situazione di inconciliabili contrasti, che aveva ampie ripercussioni sul piano politico, Luigi XIV si rivolse a Clemente XI per concordare una azione capace di ricostituire l'unità dottrinale e disciplinare della Chiesa di Francia: la nomina del B. alla nunziatura di Parigi e la pubblicazione della costituzione Unigenitus furono i due momenti in cui si articolò questa azione. La scelta, avvenuta per suggerimento del cardinale Agostino Fabroni, teneva soprattutto conto delle qualità mondane del giovane prelato, del suo nome illustre, della sua raffinata cultura e forse proprio della sua scettica indifferenza per le contese teologiche che travagliavano il mondo cattolico: era, insomma, un omaggio alla splendida corte del Re Sole e, nello stesso tempo, esprimeva la volontà della Curia di ridurre la controversia ad una dimensione meramente disciplinare e politica, anche se al B. fu affiancato il minimo veneziano padre Sbrendoli, ufficialmente come segretario, in effetti con compiti di consulente teologico. La pubblicazione, nel settembre del 1713, della bolla Unigenitus, che una apposita congregazione di teologi aveva cominciato ad elaborare contemporaneamente alla designazione del B., aprì la nuova, decisiva fase della controversia. Ma se la Curia aveva contato sul rapido successo di una azione di forza, basata sulla perfetta intesa del nunzio con il confessore di Luigi XIV, gli avvenimenti delusero presto questo calcolo e dimostrarono errati sia la valutazione romana delle capacità di resistenza del clero ribelle, sia i criteri che avevano portato alla scelta del B. per il difficile incarico.
Certamente nell'episcopato francese la difesa delle antiche libertà aveva perduto negli ultimi anni molti dei suoi migliori campioni e, dopo l'Unigenitus, la decisa sconfessione delle formulazioni teologiche del Quesnel aveva ridotto ad un brevissimo margine la possibilità di continuare a considerare legittime per i cattolici le posizioni gianseniste: tuttavia, proprio la sensazione di essere arrivati alla fase decisiva dello scontro irrigidì il giansenismo francese in una resistenza tanto più tenace quanto più chiaramente senza speranze, che andò ben oltre il tempo della nunziatura del Bentivoglio. Senza dubbio a quest'ultimo non si possono rimproverare gravi errori politici: egli fu un diligente esecutore delle istruzioni romane; il suo accordo con Le Tellier non venne mai meno ed assicurò alla Santa Sede il controllo costante degli orientamenti della corte; conseguì anche vistosi successi, come l'imposizione ai vescovi, attraverso un decreto reale, della pubblicazione dell'Unigenitus, interventograve, ma assai utile, del potere civile in questioni di fede; distribuì accortamente ai vescovi promesse e minacce, così da ottenere che la maggioranza dei clero accettasse la bolla pontificia. Ma il limite dell'azione del B. fu proprio quello di non aver saputo andare oltre una valutazione politica del contrasto, di non aver compreso le esigenze religiose e morali che animavano i contendenti e che quindi non si poteva contare su una pacificazione duratura ottenuta con l'intrigo e l'intimidazione. "Giansenista, quesnellista e noaiglista, che è tutto lo stesso - scriveva il B. nel suo Breve compendio del1718 - è quello che dice che il giansenismo è un fantasma e che non vi sono giansenisti, che giura d'insegnare quello che non insegna e di credere quello che non crede, che non ha scrupolo di mentire ed imporre per avanzare gli interessi dei partito suo, che predica il rigore agli altri e a se stesso è indulgente, che piglia le ragioni per ingiurie e dà le ingiurie come ragioni. In una parola giansenista è un uomo, e il giansenismo è una setta, che non vorrebbe riconoscere né papa né re; che cominciano dallo scuotere l'ubbidienza del papa, come dal più facile, per poi arrivare a rendersi indipendenti dal re e che aspirano ad introdurre in Francia il governo d'Olanda e d'Inghilterra".
Si comprende bene che con una simile totale incompresione delle ragioni degli avversari il B. non riuscisse ad impostare la propria azione che in termini di sopraffazione, cioè in termini tali che il successo poteva essere ottenuto soltanto attraverso l'incondizionato appoggio del potere civile. Ma se già l'energia spiegata da Luigi XIV in appoggio al nunzio non era riuscita a vincere l'opposizione all'Unigenitus delNoailles e del piccolo gruppo di vescovi rimasti fedeli all'arcivescovo di Parigi, disposti a qualsiasi sacrificio piuttosto che accettare proposizioni di fede che urtavano profondamente la loro coscienza, la situazione peggiorò ancora dopo la morte del sovrano.
Con la reggenza di Filippo d'Orléans, infatti, la posizione della corte nella controversia religiosa fu completamente rovesciata, al punto che uno dei primi atti di governo del reggente fu quello di affidare al Noailles la presidenza del "consiglio di coscienza", con funzioni consultive in ogni questione religiosa. Si vide allora come fosse effimera la vittoria ottenuta dal nunzio sui suoi avversari: il movimento giansenista, incoraggiato dalla politica tollerante della reggenza, rivelò la sua massiccia presenza in quasi ogni diocesi, riacquistò la supremazia alla Sorbona, riuscì ad ottenere che molti capitoli ed istituti teologici ritornassero sulla primitiva accettazione della bolla e a Parigi e in altri importanti vescovati impedì ai gesuiti di confessare e predicare; riuscì infine a darsi una duratura organizzazione con la raccolta delle firme degli "appellanti" contro l'Unigenitus e contro la bolla Pastoralis officii, emanata da Clemente XI nell'agosto dei 1718 per condannare esplicitamente il clero dissidente francese.
In questa situazione i tentativi del B. per organizzare la resistenza del clero fedele al papa non ebbero alcun successo, anche perché egli incontrò in ogni sua iniziativa la costante ostilità del reggente. Anche in Curia la sua difficile posizione non incontrò troppa comprensione, giacché gli si rimproverava di non aver saputo profittare a sufficienza negli anni precedenti del favore di Luigi XIV, ottenendo la completa sottomissione del clero francese. Nel tentativo di respingere queste accuse il B. scrisse nel 1718 un Breve compendio di quanto è succeduto di più ragguardevole nell'affare della costituzione Unigenitus nel tempo della nunziatura di Mgr. Cornelio Bentivoglio (ora nella Biblioteca Nazionale di Palermo, ms. XD11).
Ad una storia della sua nunziatura il B. pensava già da molto tempo, l'occhio fisso probabilmente alle opere dello zio Guido, ed era andato raccogliendo ogni sorta di notizie e documenti col proposito di utilizzarli al ritorno in Italia in una ricostruzione storica di ampie proporzioni. La preoccupazione di rispondere alle accuse che gli venivano rivolte da Roma lo indusse invece ad illustrare in un breve scritto destinato al papa, ed infatti a lui dedicato, le vicende dell'Unigenitus in Francia sino alla morte di Luigi XIV, per "mettere in luce - come scrive lo stesso B., che parla di se stesso in terza persona - quanto egli aveva fatto per affrettare le decisioni della Corte e dell'Assemblea dei vescovi, e per dimostrare che non incombeva a lui la responsabilità se non si era potuto impedire che la discordia scoppiasse violenta e l'opposizione ostinata". Non risulta che quest'opera dei B. fosse pubblicata, né in Francia né dopo il ritorno dei nunzio in Italia: probabilmente la sua pubblicazione fu sconsigliata da una naturale cautela, mentre ancora fervevano i contrasti tra il clero francese e la Santa Sede e molti personaggi aspramente giudicati dal B. avevano assunto posizioni assai più vicine a quelle della Curia. Neppure risulta che egli abbia continuato la narrazione, dopo il suo ritorno in patria, sino alla conclusione della nunziatura. Il Breve compendio è una fonte importante per lo studio dei rapporti tra il clero francese ortodosso, i giansenisti, la corte, la Sorbona, il parlamento di Parigi ed il nunzio nel primo periodo della controversia sull'Unigenitus: naturalmente non si tratta di una valutazione serena degli avvenimenti, ai quali lo stesso B. aveva appassionatamente partecipato, anzi non c'è mai in lui il minimo segno di comprensione verso le posizioni avversarie; particolarmente egli si accanisce contro i maggiori esponenti giansenisti e specialmente contro il cardinale Noailles, ritenuto il principale responsabile della crisi, e si sforza di sottolineare la lungimiranza della propria azione, la sua perfetta osservanza delle istruzioni romane; tuttavia la narrazione èsostanzialmente fedele agli avvenimenti ed illumina ampiamente il complesso lavorio diplomatico, le pressioni esercitate dal Le Tellier sul re e su altri personaggi della corte e da questa sui vescovi e sul clero. Nonostante il carattere specifico dello scritto, da esso trapelano assai spesso le ambizioni storiografiche dell'autore, sia nella ricerca di uno stile sobrio e al tempo stesso solenne, sia nelle frequenti pause della narrazione in cui prende corpo il giudizio generale su idee e fatti o si delinea il ritratto dei maggiori protagonisti della vicenda: Luigi XIV, il cardinale di Rohan, il Noailles, il cardinale d'Estrèes, l'Orléans.
La posizione del B. alla corte francese si era fatta intanto insostenibile: sgradito al reggente ed al Dubois, scarsamente sostenuto ormai anche dal proprio governo, il nunzio pontificio era divenuto l'oggetto principale degli attacchi dei giansenisti e dei gallicani, il tema costante di invettive, libelli, satire, motti, che avevano la più ampia diffusione alla corte e nella città: gli si rimproveravano i suoi intrighi politici e gli atteggiamenti mondani, l'opera intimidatoria contro gli appellanti e l'ostentazione di un fasto che si diceva possibile soltanto per le sovvenzioni segrete dei gesuiti; si parlava molto di una sua relazione con una ballerina dell'Opéra e si diceva che ne fossero nate due figlie alle quali le satire, alludendo all'Unigenitus ed al culto di Gregorio VII osteggiato dai gallicani, attribuivano i nomignoli di "M.lle Constitution" e di "M.lle Légende": il B. era divenuto, insomma, per i suoi avversari la personificazione di tutti i mali e gli errori che giansenisti e gallicani attribuivano al papato ed ai gesuiti. In queste circostanze il richiamo del nunzio non poteva tardare ed infatti, dopo ripetute richieste del reggente, nel settembre dei 1719 Clemente XI decise il ritorno del Bentivoglio. Questi ebbe la sua udienza di congedo il 26 di quel mese. L'elevazione del B. alla porpora cardinalizia nel concistoro del 29 novembre successivo aveva, per le circostanze in cui si era svolta la sua missione diplomatica ed era avvenuto il suo congedo, un significato che andava ben al di là dell'usuale riconoscimento verso chi tornava da un'importante nunziatura: era, malgrado le aspre critiche che si rivolgevano in Curia all'operato del B., la conferma di una precisa linea di condotta verso il giansenismo alla quale con tale misura la corte romana mostrava di non voler rinunciare.
Nel marzo dei 1720 il B. venne chiamato a far parte della speciale congregazione cardinalizia costituita da Clemente XI per discutere l'opportunità di aprire un processo contro il cardinale Giulio Alberoni e si espresse in essa contro l'antico ministro, di Filippo V. Cominciarono forse in questo momento i rapporti tra il B. e la corte di Madrid, che lo portarono più tardi ad assumere la rappresentanza della Spagna presso la Santa Sede. Nello stesso anno gli fu affidata la carica di legato di Romagna ed il B. poté nuovamente dedicarsi ai suoi svaghi letterari. Appartiene a questo periodo, anche se forse fu cominciata in Francia, una sua traduzione rimasta inedita della Pulchérie diCorneille e così pure un inedito Compendio della filosofia morale secondo la mente di Aristotele. L'opera alla quale il B. dedicò le maggiori cure, ed in effetti la sua più importante, fu però la traduzione della Tebaide di Stazio, che suscitò tra i contemporanei vivaci discussioni per la sua scarsa fedeltà all'originale, ma fu generalmente assai apprezzata proprio perché il poema era piegato al gusto settecentesco, filtrato attraverso una ben maturata esperienza ariostesca e tassesca e illeggiadrito dal frequente uso dell'intarsio di versi petrarcheschi e cinquecenteschi.
Quest'opera del B. ebbe fama duratura e ancora Vittorio Alfieri cercava di trame una selezione di stile, ma, nel mutato gusto del suo tempo, "alquanto fiacca gliene parve la strutura del verso per adattarla al dialogo tragico"(Vita di Vittorio Alfieri scritta da esso, epoca IV, 1). Numerose furono le edizioni della Tebaide del B., sino all'ultima torinese del 1928, a cura di C. Calcaterra, che dà notizia di tutte le precedenti. Appena l'opera apparve il suo autore venne subito identificato sotto il trasparente pseudonimo di Selvaggio Porpora, ma si disse anche da taluni che la pateinità della traduzione era invece da attribuirsi ad Innocenzo Frugoni. La notizia trovò qualche credito per gli stretti rapporti che legavano il poeta ligure al cardinale ferrarese: questi infatti, durante la sua permanenza a Ravenna, protesse il Frugoni e ottenne per lui la carica di poeta e storiografo presso la corte dei Famese a Parma; fu però lo stesso Frugoni a smentire la diceria e le sue assicurazioni trovano conferma nel suo carteggio con il B. e con altri corrispondenti.
Nel 1724 il B. partecipò al conclave successivo alla morte di Innocenzo XIII caldeggiando l'elezione del cardinale Giulio Piazza, e due anni dopo abbandonò la legazione di Romagna facendo definitivo ritorno a Roma. Il 3 nov. 1726 Filippo V gli affidò la carica di ministro di Spagna presso la Santa Sede: in questa veste il B. ebbe un ruolo di primo piano durante il breve pontificato di Benedetto XIII. Le iniziative del papa domenicano, rivolte a smussare sul piano teologico le punte più aspre del contrasto con i vescovi appellanti di Francia, sollevarono infatti molte perplessità nella corte romana e le più forti opposizioni si espressero attraverso le pressioni sul pontefice dei ministri rappresentanti delle grandi potenze cattoliche, i cardinali Polignac, Cienfuegos e Bentivoglio. Soprattutto a quest'ultimo, che si faceva anche portavoce delle posizioni teologiche della Compagnia di Gesù, alla quale era indubbiamente assai legato, si dovette se i più arditi tentativi di Benedetto XIII per accogliere alcune esigenze degli appellanti furono contenuti ed infine sostanzialmente snaturati.
Nel marzo del 1727il pontefice affidò all'uditore Giuseppe Accoramboni ed al padre Mola, procuratore generale dell'Ordine domenicano, il compito di redigere e stampare una bolla nella quale doveva essere confermata la protezione pontificia alla dottrina tomista della grazia per se stessa efficace e della predestinazione senza previsione di meriti. L'approvazione esplicita di questa dottrina rappresentava un fatto di grande importanza e novità rispetto al tradizionale atteggiamento della Santa Sede verso il clero appellante: senza voler incoraggiare i giansenisti Benedetto XIII accoglieva infatti alcune formulazioni teologiche che quelli dichiaravano di accettare senza riserve e che erano invece respinte dai gesuiti. La notizia della bolla indusse un numeroso gruppo di cardinali a chiedere l'intervento dei ministri delle potenze per impedire quello che si considerava, ed in effetti era, un tentativo di cambiare la linea tradizionalmente seguita dalla Chiesa nella controversia giansenista. Il più allarmato per l'iniziativa di Benedetto XIII si mostrò il B. il quale, alle prime ancora incerte notizie della bolla, scriveva alla propria corte che essa costituiva una condanna della costituzione Unigenitus, che avrebbe sollevato "una guerra universal de religion por todo el mundo christiano, y el scisma que iva picando en pocos angulos de la Francia se haz universal a todos los reynos" (Pastor, p. 574). In nome di queste preoccupazioni il 6 giugno 1727il B. presentò al segretario di stato Lercari un memoriale contro la dottrina approvata dalla bolla: in esso egli sosteneva che ogni spiegazione della dottrina della grazia per sé efficace sarebbe stata una sconfessione dell'Unigenitus eduna sostanziale accettazione delle posizioni degli appellanti, che tale spiegazione avevano sempre sollecitato; la stessa espressione di "grazia efficace" era stata usata per la prima volta da Calvino ed era quindi erroneo e pericoloso riproporla attribuendola a s. Tommaso; in questi termini la bolla avrebbe sollevato ulteriori, gravissime dissenzioni ed il re di Spagna, memore dei contrasti sollevati nel proprio paese dal breve Demissas preces, avrebbe sicuramente proibito nei suoi Stati la pubblicazione del documento pontificio, se esso non fosse stato sostanzialmente modificato. Al memoriale del B., che faceva ampie riserve anche su altre formulazioni della bolla, si aggiunsero analoghe pressioni sul pontefice dei ministri di Francia e dell'impero; Benedetto XIII finì per cedere a questi interventi e, rinunziando definitivamente ad ogni tentativo di rinnovare i termini della controversia dottrinale e disciplinare con gli appellanti, affidò la redazione della bolla Pretiosus all'Inquisizione, disponendo che fossero accolti i suggerimenti del ministro di Filippo V.
Ancora un'importante funzione il B svolse nel conclave del 1730, contribuendo notevolmente ad imporre in nome dei proprio sovrano e dell'alleanza borbonica l'elezione del cardinale Lorenzo Corsini, Clemente XII, contro il candidato del partito imperiale. Recatosi nel 1732 a Parma, per prendere parte alle cerimonie della presa di possesso del ducato da parte dell'infante Carlo di Borbone, nello scorcio di quell'anno partecipò attivamente alle discussioni romane sull'avvenimento, ritenuto da Clemente XII lesivo dei diritti della Santa Sede. In questo stesso anno la corte di Sardegna richiese i buoni uffici del B. presso il papa per ristabilire normali relazioni diplomatiche dopo la rottura provocata dalla denuncia da parte di Clemente XII del concordato del 1727, ma il B. npn conseguì alcun risultato di rilievo.
Il B. morì a Roma il 30 dic. 1732.
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