GRAFFEO (Grafeo), Benvenuto
Nacque probabilmente in Sicilia, in data non nota ma collocabile nel terzo o quarto decennio del XIV secolo. È dubbio che il padre, come riportano i più antichi biografi, si chiamasse Giovanni, nome appartenuto in età normanna a personaggi della famiglia, che faceva parte della ricca nobiltà amministrativa greca della Sicilia, e che la madre fosse Ximenia de Arenos.
Le vicende del G., ricordato dalle fonti come barone di Partanna, si collocano nel complesso periodo del Regno di Sicilia dove l'autorità regia, formalmente rappresentata da Ludovico d'Aragona e dal successore Federico IV, non solo era condizionata dal baronaggio, ma non si estendeva più all'intera isola in quanto nei territori occidentali, sottoposti alla nobile famiglia Chiaramonte, veniva riconosciuta quale legittima sovrana Giovanna I d'Angiò.
È probabile che al G. si riferisca l'episodio narrato dal cronista Michele da Piazza (I, 77), che a fine dicembre del 1353 ha per protagonista un barone di Partanna, il quale "sub Claromontano vocabulo in civitate Mazarie presidebat" (p. 186). Secondo il vivace racconto del cronista, il barone fu vittima di una beffa da parte dei suoi avversari, i quali simularono un contrasto che opponeva due nemici dei Chiaramonte, un cavaliere latino e uno catalano che tenevano rispettivamente la rocca di Patellaro e il castello di Calatatrasi. Il primo, dopo avere catturato e imprigionato l'altro, fingendo di temere la reazione degli altri catalani rimasti nel vicino castello chiese aiuto al barone, offrendosi di passare dalla sua parte. Benché astuto e molto sospettoso, dopo ripetute investigazioni il barone inviò il soccorso richiesto. Dei quaranta cavalieri inviati, i primi venticinque che entrarono nella rocca di Patellaro, appena scesi da cavallo, furono catturati e uccisi a uno a uno, finché gli altri non si resero conto dell'inganno. L'episodio, centrato sul richiamo del sentimento nazionale anticatalano, sembra soprattutto testimoniare il disagio che la necessità di uno schieramento creava, tenendo conto dell'appartenenza d'origine. Ciò appare evidente proprio rispetto al G., il quale apparteneva a una famiglia considerata latina, ma che si sarebbe poco dopo schierata con la "parzialità" catalana.
Le prime notizie documentate che abbiamo sul G. sono del novembre 1354, quando aveva già il titolo di barone di Partanna e faceva ormai parte del Consiglio di Ludovico d'Aragona.
Il feudo dovette provenirgli per successione, forse contestata, da Orlando de Graffeo di Sciacca, miles e iuris civilis professor, col quale ignoriamo che rapporto di parentela avesse, la cui duplice attività tanto nell'ambito giudiziario, quanto in quello militare, è attestata al servizio dei sovrani siciliani negli anni dal 1323 al 1329, come iudex di Messina e come partecipante alla spedizione navale capitanata nel 1328 da Pietro II d'Aragona il quale, in virtù di un precedente trattato stretto dal padre Federico III con Ludovico il Bavaro, si era mosso in soccorso di quest'ultimo, proclamatosi nel gennaio di quell'anno imperatore, ma contrastato dalle forze guelfe della penisola. La baronia, secondo lo ius adohamenti del 1343, doveva fornire un servizio militare di 5 cavalieri e mezzo, corrispondente a una tassa di 16 onze d'oro e 15 tarì. Non sappiamo se a quella data il G. avesse già ricevuto l'investitura del feudo, giacché la relativa obbligazione è insolitamente priva del nome proprio del barone. Ai non meglio definiti heredes di Orlando era infatti intestata un'obbligazione di 200 onze per il casale di Partanna.
In considerazione della fedeltà alla Corona della sua famiglia e dell'azione da lui svolta contro i nemici nel Val di Mazara, il 21 nov. 1354 il G. ricevette in feudo da re Ludovico il casale di Misilindini e fu nominato maestro razionale della Magna Curia del Regno, con diritto a ricoprire l'ufficio a vita e a rimanere comunque uno dei tre maestri razionali, anche in caso di superamento del loro numero.
Questi due provvedimenti sembrano segnare l'abbandono da parte del G. della precedente alleanza con i Chiaramonte - o della subordinazione a essi - e accompagnano i contemporanei mutamenti degli equilibri di potere tra le fazioni baronali e al loro interno. Riflettono anche l'attesa di un intervento armato del re d'Aragona Pietro IV, il quale proprio nel giugno del 1354 aveva condotto in Sardegna una spedizione navale. Del resto è del dicembre 1354 la decisione regia di delegare, a causa della guerra contro i Chiaramonte, le attività di governo e l'amministrazione delle imposte a ciascuno dei magnati nelle località in cui dominavano, come avveniva appunto anche nella vicina Trapani, il cui castellano e capitano di guerra Riccardo Abbate aveva anch'egli l'ufficio di maestro razionale.
Una grave malattia avrebbe impedito al G. di essere presente all'assemblea che, riunitasi a Messina il 22 nov. 1355 dopo la morte del re Ludovico avvenuta nel mese di ottobre, riconobbe a Federico IV il diritto di successione al trono siciliano e deliberò, per la minorità del re, la reggenza dell'infanta Eufemia e le condizioni del suo esercizio. Poiché il G. si era giustificato, forse attraverso lo stesso messaggero che il 28 novembre gli era stato inviato con la richiesta di consegnare a Francesco Ventimiglia uno dei cavalli mandatigli dal re, fu scusato dell'assenza il 2 dicembre. Gli fu anche comunicata la decisione di rinviare l'incoronazione del sovrano, in considerazione dell'assenza non solo sua, ma anche di altri nobili trattenuti dalla guerra, e nella speranza che l'incoronazione potesse avvenire a Palermo, città in mano alle forze ribelli, capeggiate dai Chiaramonte. Fu quindi invitato a rimanere in Val di Mazara, dove la sua resistenza contro i ribelli era necessaria per la guerra e per il recupero del territorio nemico, e a limitarsi a prestare giuramento di fedeltà e omaggio al re tramite l'invio a Messina di un suo procuratore.
Il 30 genn. 1356 come capitano di Marsala ricevette l'incarico di porre un miles, Guglielmo de Rosa, in possesso dei beni burgensatici appartenuti al traditore Giovanni Ferro, al quale erano stati sequestrati. Dopo la cattura di Riccardo Abbate, avvenuta nelle acque di Palermo da parte di Federico Chiaramonte, il 4 febbraio gli fu chiesto di tenersi pronto, con Guglielmo Peralta e con tutti gli altri baroni fedeli al re, per soccorrere gli Abbate e la terra di Trapani. Nei mesi e negli anni seguenti sembra che il ruolo politico e militare preminente sia stato tenuto dal fratello Giorgio.
Nell'ottobre 1363 il G. fu accusato dal Ventimiglia di aver violato, insieme con Artale Alagona e con Peralta, gli accordi conclusi tra le fazioni baronali un anno prima a Castrogiovanni (attuale Enna) e ratificati da Federico IV. Con questi patti, che riconoscevano l'esistenza di due parti, la prima guidata dall'Alagona, l'altra dallo stesso Ventimiglia e da Federico Chiaramonte, venivano sancite nonché dichiarate immodificabili le rispettive sfere d'influenza: il G. fu chiamato in giudizio in quanto, insieme con i suoi alleati, si sarebbe rifiutato di restituire le fortezze da loro illegittimamente occupate. Il re assicurò il Ventimiglia che il barone di Partanna avrebbe restituito i territori tenuti in violazione della pace.
Nel 1367 il G. avrebbe ottenuto il privilegio di potere erigere a Mazara un palazzo, accanto al convento di S. Francesco. In novembre fu uno dei destinatari, con Guglielmo Peralta, Francesco Ventimiglia, Matteo e Giovanni Chiaramonte, della richiesta con la quale Federico IV, approfittando della pace tra i baroni, tentava di recuperare i propri poteri con l'invio di officiali incaricati della riscossione delle imposte e dell'amministrazione dei beni nelle città e terre demaniali, che di fatto erano ancora e probabilmente rimasero sotto il dominio baronale.
Nel 1370 il re d'Aragona Pietro IV nominò il G. visconte di Galtellì, nel Regno di Sardegna, conferendogli quel castello con il suo territorio per compensarlo dell'attività in favore del dominio catalano sull'isola. Con la sua flottiglia, che il fratello Giorgio aveva impiegato in azioni di pirateria in quei mari, aveva infatti provveduto dalla Sicilia a rifornire di viveri i castelli di Cagliari e di Alghero, in grave carestia, e quelli di Acquafredda, Gioiosaguardia, Quirra e San Michele.
Dopo la conclusione del trattato tra Federico IV e Giovanna I d'Angiò, siglato agli inizi del 1372, il pontefice Gregorio XI, con l'intenzione di accrescere l'autorità del re di Trinacria (il nuovo titolo di Federico IV) e consolidare così l'accordo di pace, i cui effetti sulla successione al trono siciliano erano stati respinti dai reali d'Aragona Pietro IV ed Eleonora, si rivolse il 1° ott. 1372 ai principali baroni siciliani, tra i quali anche il G., Peralta e i Chiaramonte, perché si mantenessero fedeli al re. Tra la seconda metà del 1373 e la prima del 1374, con Tommaso de Milana e un giocoliere, Giovanni de la Graxa, risiedette alla corte aragonese, dove forse aveva condotto, perché fossero allevati a Barcellona, Luigi d'Aragona e Giovanni Peralta, nipoti della regina Eleonora d'Aragona, presso la quale pare avesse un ruolo di particolare fiducia, con un'assegnazione mensile di 600 soldi barcellonesi. La regina provvide inoltre a pagare il riscatto di un figlio del G., prigioniero a Genova. Con il fratello Giorgio, alle cui vicende pare debba essere accomunato, fu destinatario nel 1382 anche delle attenzioni dell'infante Martino d'Aragona, il quale preparava l'occupazione della Sicilia.
Non conosciamo la data della sua morte, che dovette avvenire nel decennio successivo: nel 1393 la baronia fu infatti devoluta al Demanio regio, per la partecipazione di Onofrio Graffeo, suo successore nella baronia e che supponiamo fosse il suo erede, alla ribellione dei Chiaramonte, nel cui distretto vicariale rientrava Partanna.
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