BENZINA (neologismo scientifico, da benzoino; fr. essence, benzine; sp. esencia de petróleo, bencina; ted. Benzin; ingl. petroleum spirit)
Nome generico dato a una classe di prodotti, essenzialmente risultanti da miscugli di varî idrocarburi, normalmente della serie paraffinica, ma talvolta anche non saturi o ciclici. La composizione e i caratteri variano molto secondo la materia prima da cui provengono, il processo di preparazione, l'impiego a cui sono destinati e il grado di raffinazione. In generale, sono liquidi limpidi, mobili, non mescolabili con acqua, ma in ogni proporzione con alcool assoluto, etere, cloroformio, tetracloruro di carbonio, solfuro di carbonio, olî di trementina, di resina, di catrame, ecc. Hanno densità compresa tra 0,6 e 0,8 e punto di ebollizione tra 30° e 150° (per qualche tipo fino a 225°). Sono incolori e di odore caratteristico (ingrato per i prodotti greggi), assai facilmente infiammabili e buoni solventi delle sostanze grasse (qualcuna esclusa, ad es. l'olio di ricino). Le benzine sono contenute, in varia misura, nel petrolio naturale greggio e ne vengono estratte durante l'ordinario processo industriale di lavorazione.
Questo consiste in una distillazione frazionata, cioè tale che dal petrolio greggio (il quale normalmente bolle entro limiti di temperatura molto larghi) si possano, dall'inizio alla fine della distillazione, condensare a parte e ricuperare varî prodotti (frazioni), rispettivamente bollenti entro limiti prestabiliti, cioè aventi caratteristiche diverse e suscettibili di applicazioni differenti. Il petrolio greggio, estratto dai pozzi e opportunamente liberato dal terriccio e dall'acqua, viene distillato nelle raffinerie, ove si fa arrivare, spesso per mezzo di condutture (pipe-lines).
Il numero e i caratteri delle frazioni da ottenere variano sia con la peculiare composizione del petrolio greggio disponibile, sia con le richieste del mercato e, conseguentemente, variano anche i tipi di impianti industriali. La lavorazione può essere limitata alla cosiddetta cimatura (topping), cioè al ricavo delle frazioni più volatili (benzine, leggiera e pesante, petrolî da ardere, leggieri e pesanti, e olio da gas) e in tal caso la distillazione viene arrestata a circa 340°, vendendo il residuo della distillazione (topped oil), che si usa come combustibile. Talvolta le frazioni di cima vengono numericamente ridotte a due sole, benzina e petrolio da ardere, salvo, occorrendo, a rifrazionare in secondo tempo la benzina greggia. Infine, negli impianti a lavorazione completa, dalla distillazione ulteriore dei suddetti residui si ottengono olî lubrificanti e altri prodotti utili. In definitiva, dunque, le benzine gregge, nel caso in cui nella cimatura siano raccolte in unica frazione, comprendono tutto quanto passa dall'inizio della distillazione fino a 150° e talvolta fin sopra 200°.
I primitivi impianti per la distillazione del petrolio greggio comportavano notevoli perdite di tempo, di prodotto e di combustibile, perché, prima di cominciare la distillazione di una carica, occorreva scaricare dalla caldaia il residuo della distillazione precedente. Oggi, invece, si hanno varî tipi d'impianti a funzionamento continuo, in cui cioè, la carica del petrolio greggio e la discarica delle varie frazioni e del residuo di distillazione si compiono in modo continuo e automaticamente. Uno di questi, a caldaie, è in uso nelle raffinerie di Abadan, in Persia, descritto da See e riportato da Ch. Mariller in Distillation et rectification des liquides industriels, Parigi 1926 (fig. 1).
Il petrolio greggio da distillare viene preriscaldato nei recuperatori di calore B, e i prodotti volatili che si sprigionano si condensano nei condensatori D; il petrolio caldo passa quindi nelle caldaie A, disposte a dislivello e riscaldate a temperature che vanno crescendo dalla prima all'ultima: i vapori che si sviluppano da ogni caldaia sono graduati in modo da rimandare ricondensate in caldaia le frazioni più pesanti e da fare arrivare nei condensatori definitivi C solo i vapori delle frazioni prestabilite. Il residuo della distillazione viene raffreddato in E e cede il suo calore al petrolio greggio.
Un altro, a colonne rettificanti, è quello della M. W. Kellogg Company di New York, descritto da S. F. Birch e A. E. Dunstan nella World Power Conference (Fuel Conference) del 1928 (fig. 2).
La pompa H spinge il petrolio greggio nei condensatori I e K e successivamente nel recuperatore G e nel vaporizzatore L. I vapori delle frazioni più volatili passano a condensarsi nella colonna rettificante 2 (benzina leggiera in A, benzina pesante in B e olio illuminante leggiero in C); quelli delle frazioni meno volatili si condensano nella colonna 1 (olio illuminante pesante in B e olio da gas in E); il residuo di distillazione esce per F, dopo aver ceduto il suo calore nel recuperatore G.
La resa in benzina greggia varia molto secondo il tipo del petrolio greggio, quello dell'impianto e la condotta della distillazione. In via generale, i petrolî del Texas, della California e del Messico dànno circa il 5% di benzina greggia, quelli galiziani dal 5 al 15%, quelli canadesi dal 5 al 12%, quelli alsaziani e russi meno del 10%, quelli romeni fino al 20% e quelli degli stati dell'America Settentrionale dal 10 al 25%. Sono eccezionalmente ricchi di olî leggieri alcuni petrolî della Galizia e del Perù ed i petrolî italiani dell'Emilia, che talvolta raggiungono il 50%.
Dopo estratte, le benzine gregge vengono sottoposte a trattamenti chimici e a distillazione frazionata. I primi consistono in lavaggi con acidi, basi, agenti ossidanti, agenti desolforanti e acqua e hanno lo scopo di decolorarle, deodorarle ed eliminarne impurità nocive. Con la distillazione frazionata le varie raffinerie, secondo la composizione della benzina greggia e le richieste del mercato, separano un numero variabile di frazioni differenti per densità e volatilità, le quali vengono poste in commercio da sole od opportunamente mescolate, in modo da adattarsi ai varî usi. Cosicché si trovano in commercio numerosi e varî prodotti di frazionamento della benzina greggia, sulla cui nomenclatura, finora alquanto confusionaria, si spera di raggiungere un accordo internazionale. Fra le denominazioni dei varî prodotti vanno citate: rigolene, pentano, gazoline, eteri di petrolio, benzine per aviazione, per automobili, per motori ed autocarri, per smacchiare, per lavare, per lampade da minatori, ligroine, surrogati dell'essenza di trementina, ecc.
Gli usi di tali prodotti sono in relazione ai loro caratteri. Dal rigolene, molto volatile, e quindi adatto a produrre basse temperature, si va ai prodotti meno volatili, usati come antisettici, come carburanti e come solventi nell'industria, nelle arti ed in chimica, e finalmente alle frazioni più alte, usate come surrogati dell'essenza di trementina e solventi delle vernici.
In Italia, la Commissione tecnica governativa olî minerali, combustibili e lubrificanti, ha stabilito nel 1925 per le benzine i seguenti requisiti: le benzine per avio, auto e usi industriali dovranno essere incolori, pressoché esenti da zolfo (una lastra di rame tersa, immersa nella benzina contenuta in recipiente con tappo a pressione e scaldata a 85° non deve annerire o quasi, anche dopo 15 o 20 ore di immersione), ed esenti da umidità e impurità di qualsiasi natura (in ciascuno di due tubi speciali, affilati inferiormente e graduati, si misurano 50 cmc. di benzolo puro e 50 cmc. esatti di benzina da esaminare, si scalda in bagno a 38° per 10 minuti, si dispongono i due tubi in una centrifuga avente il giogo del diametro di 25,4 mm., capace di 1500 giri al minuto e si fa rotare per 10 minuti: non si deve notare sedimento nel fondo affilato dei due tubi). Devono avere inoltre reazione neutra, tantoché una lamierina di ferro o di rame, immersa nella benzina a 40-50° per parecchie ore, non deve venire minimamente intaccata. Se si versano volumi eguali di benzina e di acido solforico a 66° Bé in un cilindro munito di tappo a smeriglio, si agita vivamente e poi si lascia in riposo, lo strato inferiore di acido solforico dovrà risultare non colorato, o, al massimo, solo leggermente ingiallito. La benzina per avio non deve contenere più del 3% di idrocarburi non saturi. Una goccia di benzina, versata sopra carta da filtro, dopo evaporazione, non deve lasciare traccia alcuna. Alla prova di distillazione frazionata, da eseguirsi in palloncino standard di Engler (dimensioni, montaggio e condotta speciali) la benzina avio deve cominciare a distillare a 50°-60°; prima di 100° ne deve distillare 60% (in volume) e, prima di 120°, 85%, non restando più del 2% di residuo a 150°. Alla medesima prova di distillazione, la benzina auto deve cominciare a distillare a 50-70°; prima di 100°, ne deve distillare 20% e, prima di 190°, 97%; però la distillazione frazionata da 100° a 190° dovrà essere regolare e non preponderante verso il limite massimo. Alla medesima prova di distillazione frazionata la benzina per estrazioni si deve comportare come la benzina avio. Per la benzina pesante per vernici e usi industriali (surrogati di acqua ragia, ragia minerale, white spirit, ecc.) non sono fissati dati riguardo alla distillazione frazionata: in via di massima sono distinti un tipo che distilla tra 100° e 150° e un altro che distilla tra 110° e 230°.
L'impiego della benzina nei motori a scoppio e lo sviluppo sempre crescente dell'aviazione e dell'automobilismo hanno fatto sì che da varî anni in qua il fabbisogno mondiale segni un continuo e impressionante aumento. Di conseguenza l'industria, dopo avere intensificato la produzione e migliorato le rese, ha dovuto porsi il problema di escogitare nuove vie per la produzione di essenze minerali, in vista anche di un non lontano esaurimento delle riserve mondiali di petrolio e dell'interesse che hanno le nazioni povere di petrolio a sottrarsi alla dipendenza dall'estero. A tale scopo, nei pozzi in cui l'uscita del petrolio greggio è accompagnata normalmente da copioso svolgimento di idrocarburi gassosi, questi, prima di essere utilizzati come combustibili, vengono raffreddati e compressi, per ricuperarne condensati i vapori di benzina di cui sono saturi. Ma, per coprire l'ingente fabbisogno attuale e far fronte a quello futuro, che si prevede enorme, non bastando la benzina naturale dei petrolî, gli studî si sono volti alla produzione di essenze minerali artificiali. I risultati più immediati e finora praticamente utili si sono ottenuti col processo di decomposizione pirogenica dei sottoprodotti petrolici, noto col nome di processo del cracking (to crack "rompere"), perché fondato sulla demolizione molecolare degli idrocarburi elevati, scaldati oltre il loro limite di stabilità, con produzione di corpi a peso molecolare inferiore. Originariamente il processo del cracking, per il ricavo di essenze artificiali, fu applicato ai residui della distillazione del petrolio e agli olî minerali pesanti, ma le possibilità di questo processo, come ha dimostrato recentemente il dott. G. Egloff, sono molto ampie, prestandosi egualmente per la lavorazione del catrame di carbone fossile, degli olî di scisto, dei catrami bituminosi e asfalti, del catrame vegetale, degli olî vegetali, degli olî di pesce e degli olî di torba. Il materiale da trattare viene surriscaldato in impianti di vario tipo, che funzionano a pressione ordinaria o aumentata, con o senza vapor d'acqua. Insieme alle benzine si generano gas combustibili (idrogeno e idrocarburi) ed anche residui peciosi e carboniosi e occorre limitare il carattere deidrogenante del processo, per ottenere benzine non eccessivamente ricche di idrocarburi non saturi (resinificabili, non conservabili). Le rese variano secondo gl'impianti e la condotta, cioè l'importanza che si attribuisce ai sottoprodotti della benzina. Le benzine da cracking si mettono in commercio da sole o spesso anche mescolate con quelle di distillazione.
Il processo del cracking è apparso negli Stati Uniti nel 1913 e si calcola che gli studî intesi ad applicarlo e migliorarlo non siano costati meno di 40 milioni di dollari. I primitivi impianti, alcuni dei quali sono ancora in uso, erano capaci di lavorare per ogni caldaia all'incirca 200 ettolitri di materiale al giorno, con un rendimento di circa 30% di benzina, mentre negli impianti moderni ciascuna caldaia può lavorare da 1200 a 4000 hl. al giorno di qualsiasi materiale (olî illuminanti, olî da gas, olî combustibili, petrolio greggio naturale o cimato) con un rendimento di circa il 50%. Attualmente negli Stati Uniti, su 312 raffinerie attive esistenti, ve ne sono 148, cioè le più grandi e moderne, che sono fornite d'impianti di cracking, con una potenzialità complessiva di carica di oltre 2 milioni di hl. al giorno, mentre la potenzialità degli impianti di tutti gli altri paesi si valuta all'incirca a poco più di 100.000 hl. al giorno.
Nel 1927 gli Stati Uniti produssero in tutto hl. 525.760.530 di benzina, dei quali il 30,6% ottenuta per cracking, il 59,7% per estrazione diretta e il 9,7% per ricupero dai gas. Dagli Stati Uniti il processo del cracking si va estendendo in tutti i paesi.
Modificazioni del processo originario sono il processo di cracking catalitico e quello di cracking idrogenante. Il primo associa all'azione dell'alta temperatura quella di speciali corpi (catalizzatori) capaci di esaltare gli effetti e fornisce un gas molto calorifico (ricco d'idrogeno), ma dà benzine resinificabili (ricche di idrocarburi non saturi). Il secondo associa all'alta temperatura (400°) la pressione (100 atm.) e l'idrogeno, ed è molto soddisfacente, sia perché applicabile financo ai residui peciosi della distillazione degli olî minerali, come anche per le rese e la bontà delle benzine, non resinificabili.
Comunque, i processi che per ricavare la benzina utilizzano i sottoprodotti petrolici non sono suscettibili di larga generalizzazione, dato che quei sottoprodotti sono anche essi ricercati per i loro utili impieghi diretti. Perciò da pochi anni in qua si studia con fervore per risolvere l'assillante problema della produzione di essenze carburanti (e altri combustibili, lubrificanti, ecc.) utilizzando come materia prima i combustibili fossili. Ciò anche per il fatto che le riserve mondiali di combustibili fossili, accertate e presunte, basteranno ai bisogni dell'umanità ancora per varî secoli, a differenza di quanto si ritiene per le riserve di petrolio. In varî modi si ottengono olî carburanti dai combustibili solidi. Anzitutto per distillazione secca, cioè con lo stesso processo con cui nelle comuni officine da gas si ottengono, per forte e brusco riscaldamento del litantrace (cracking anche questo), oltre il coke e il gas illuminante, anche il catrame minerale. Da quest'ultimo, fra tanti prodotti utili, si ricava anche il benzolo, che in Italia è stato proposto, insieme con l'alcool, come carburante nei motori a scoppio, in sostituzione della benzina estera (carburanti nazionali). Ora, se si distilla il litantrace non oltre i 500° (anziché verso i 1000°, come nelle officine a gas), si attenuano gli effetti del cracking e si ha una produzione quasi doppia di un catrame (catrame primario) che, alla distillazione frazionata, fornisce benzina, olî medi, olî lubrificanti, ecc. Questo tipo di distillazione, cosiddetto a bassa temperatura, richiede una condotta molto più lenta, fornisce meno gas (in compenso molto più calorifico), coke normalmente friabile (semicoke) e catrami primarî ricchi di prodotti fenolici. Talché, quando si vuole ricavare più catrame e di qualità migliore (cioè benzine, olî medî, viscosi, paraffina, ecc.), si ricorre alla distillazione a temperatura bassa, mentre, quando si preferisce avere un buon coke e più gas, come è il caso dei paesi costretti ad importare il litantrace, si ricorre al vecchio sistema di distillazione a 1000°, cercando di utilizzare bene i componenti del catrame, o, almeno, quelli degli olî leggieri ricuperati dal catrame e dal gas. In Italia il ricupero degli olî leggieri dal catrame e dal gas è, entro certi limiti, obbligatorio (rr. decreti legge n. 2281 del 6 sett. 1923; n. 713 del 17 aprile 1925 e n. 1249 del 1° luglio 1926).
Il processo di distillazione secca viene applicato anche agli scisti bituminosi (principalmente in Scozia e in Francia) e alle ligniti bituminose (principalmente in Germania), e, dai catrami primarî che si ottengono, si estraggono, per distillazione frazionata, benzine, olî lampanti, olî da sgrassare, olî da gas, ecc. Particolarmente indicata è, per questo scopo, la distillazione a bassa temperatura. I combustibili fossili minori, ricavati dai giacimenti italiani, possono dare da 3 a 30% (sul secco) di catrame primario, il quale può fornire, fra l'altro, da 8 a 25% di olî leggieri.
Altri processi mirano alla produzione sintetica di combustibili liquidi da quelli solidi, attraverso i loro prodotti di gassificazione. Secondo F. Fischer, il gas d'acqua viene scaldato a 410° e a 150 atmosfere insieme a vapor d'acqua e in presenza di un catalizzatore (ferro e carbonato potassico): si ottiene un liquido organico complesso (sintolo) che, disacidificato, è direttamente utilizzabile come carburante, anche senza trasformarlo completamente in idrocarburi (sintina). Secondo il processo Andry-Bourgeois, il gas d'acqua viene prima trasformato in metano per idrogenazione catalitica e successivamente in acetilene, che, per simultanea condensazione e idrogenazione, fornisce il petrolio sintetico, ricco di benzina. Un brillante risultato sembra siasi raggiunto, anche industrialmente, col processo Bergius di fluidificazione diretta dei combustibili solidi sottilmente polverizzati, processo noto solo nelle sue linee fondamentali (cracking, alla pressione di 200 atmosfere ed alla temperatura di 400°, in presenza di idrogeno e benzina). Secondo comunicazioni fatte dal Bosch, la benzina sintetica, così prodotta, sarebbe in vendita dall'autunno del 1927 e la sua produzione avrebbe raggiunto nel 1928 il milione di quintali, potendo raddoppiare nel 1929, anche senza ampliare gl'impianti esistenti. Il prof. F. Bergius, ideatore del processo, parlando in Roma all'inaugurazione del V Congresso mondiale dell'automobile (1928), ha detto che le benzine sintetiche ottenute dalla liquefazione del carbone (ligniti e carboni fossili) risultano da miscugli di idrocarburi alifatici, aromatici e idro-aromatici e rappresentano un materiale eccellente per il traffico automobilistico.
Ove si rifletta che in un lontano avvenire anche le riserve mondiali di combustibili solidi dovranno esaurirsi, appare particolarmente interessante la possibilità, già accennata, di ottenere carburanti artificiali a partire dalle sostanze grasse, la cui produzione è continua e, occorrendo, può essere intensificata. Questa via fu già indicata da Mailhe, il quale al cracking della sostanza grassa fa seguire l'idrogenazione catalitica del prodotto ottenuto. Ragioni attuali di costo delle sostanze grasse ostano all'immediata applicazione industriale di questo processo.
Dall'inizio di questo secolo la produzione mondiale di benzina aumenta con ritmo continuo. Gli Stati Uniti, che da soli estraggono oltre il 70% del petrolio mondiale, ne produssero 8 milioni di quintali nel 1904, 15 nel 1909, 36,5 nel 1913 (inizio del processo al cracking), 40 nel 1914, 116 nel 1919, 142,4 nel 1921, 171 nel 1922, 251,8 nel 1923 e 336 nel 1926. La produzione italiana, dalla distillazione dei petrolî greggi delle miniere di Montechiaro, Montechino, Gratera e Velleia, è molto modesta e copre appena l'1% del nostro fabbisogno: essa fu di q. 15.630 nel 1920, 12.425 nel 1921, 8.975 nel 1922, 9.000 nel 1923 e 10.880 nel 1924. Dal 1925 vi si è aggiunta anche la benzina distillata dal petrolio greggio importato, talché complessivamente sono stati prodotti in Italia q. 71.700 nel 1925, 95.200 nel 1926 e 167.350 nel 1927. Conseguentemente la nostra importazione (in questi ultimi anni principalmente dagli Stati Uniti, Persia, Romania, Russia e India britannica) e elevata e in continuo aumento: da una media di q. 186.542 nel 1909-1913, è salita a 1.076.869 nel 1914-1918, a 1.217.830 nel 1919-1923, a 1.580.697 nel 1924, a 1.892.405 nel 1925, a 2.167.863 nel 1926 e a 3.557.068 nel 1927. La nostra esportazione è insignificante, e rappresenta in massima parte provviste di bordo e alimenta le nostre colonie: da una media annua di q. 244 nel 1909-13, è salita a 929 nel 1914-1918, a 1071 nel 1919-1923, a 1866 nel 1924, a 1773 nel 1925, a 2148 nel 1926 e a 3368 nel 1927. I prezzi della benzina per auto, in fusti, che nel quadriennio 1907-1910 segnarono una media annua massima di L. 54,40 e una minima di L. 40,40 a q., si aggiravano nel 1929 attorno alle L. 281 a q., franco deposito e imballaggi a rendere franco, e a L. 34,90 per bidone di kg. 12,4 (uso costante, condizioni suddette). I prezzi della benzina per avio alla stessa data erano rispettivamente di L. 341 a q. e L. 40,95 a bidone.
Poiché le benzine sono liquidi infiammabili e dotati di forte tensione di vapore (i vapori formano con l'aria miscele esplosive), il loro uso e la loro conservazione richiedono particolari cautele. In ogni caso nei travasi, nei trasporti e nei depositi devono essere tenute lontane da fiamme e da sorgenti calorifiche. Il loro trasporto a distanza, per forti partite, si fa mediante appositi vapori-cisterne, se per via di mare, ovvero in vagoni-cisterne o auto-cisterne, se per via di terra. Si adoperano anche fusti di robusta lamiera di acciaio, muniti di valvola di sicurezza. Per il piccolo commercio si adoperano bidoni cilindrici della capacità di litri 16-18 (peso netto kg. 12,4), portanti la leggenda "infiammabile" e, non sempre, l'indicazione della densità della benzina contenutavi. Le norme internazionali per i trasporti in ferrovia sono quelle stabilite nella convenzione di Berna del 1900, modificate dall'atto addizionale del 1906. Per i trasporti nelle Ferrovie dello Stato le norme sono quelle indicate nelle Condizioni e tariffe per i trasporti delle cose, all'allegato n. 7: regolamento per il trasporto delle merci pericolose e nocive; categorie 8 e 9 (infiammabili).
Per il magazzinaggio delle benzine ormai è generalizzato l'uso di sistemi atti ad assicurare l'impossibilità di incendio e di esplosioni. I primi sistemi funzionavano a gas inerte (anidride carbonica, azoto). La cisterna-serbatoio era a perfetta tenuta ed in parte infossata nel suolo. Il gas inerte occupava lo spazio libero tra il coperchio del serbatoio e la superficie della benzina e le manovre di carico e scarico venivano eseguite mediante pressione esercitata con lo stesso gas. Ogni condotto (per il carico e lo scarico) era formato da due tubi, l'uno dentro l'altro. Il tubo interno serviva per la benzina e lo spazio fra i due tubi era occupato dal gas inerte, in comunicazione con quello del serbatoio. Un'eventuale rottura della tubazione, durante la manovra di scarico, annullava, per la sfuggita del gas, la pressione nel serbatoio, cioè faceva cessare automaticamente l'eflusso della benzina, mentre il gas inerte, sfuggendo per il tubo rotto, formava intorno ad esso un'atmosfera inadatta alla combustione. Sistemi analoghi erano anche in uso per il rifornimento della benzina degli auto-veicoli (distributori automatici). Oggidì i sistemi funzionanti a pressione di gas inerte tendono ad essere sostituiti da altri che hanno un funzionamento più semplice e non richiedono l'uso del gas inerte. La cisterna-serbatoio è del tutto infossata nel suolo e la benzina (che vi si carica per apposito tubo a perfetta chiusura) vi è conservata alla pressione atmosferica, mediante una lunga canna (aeratore) che dal coperchio della cisterna va fino ad appropriata altezza dal suolo, funzionando così da sfiatatoio. L'aria sovrastante alla benzina, satura dei vapori della medesima, forma una miscela gassosa che, nelle date proporzioni, non è esplosiva. Il vero distributore funziona con pompa a manovella e la quantità di benzina da trarre volta per volta è rigorosamente regolabile. Lo schema della fig. 4 è quello adottato dalla società Nafta, ed in esso il tubo aeratore è nascosto nell'interno dell'impianto distributore, mentre in altri sistemi è poco discosto da quest'ultimo.
Le norme tecniche da tenersi presenti per il rilascio delle licenze dei depositi, opifici e trasporti di sostanze che presentano pericolo di scoppio o di incendio sono raccolte in un opuscolo edito dallo stabilimento tipografico Aternum di Roma. Confronta anche decr. luog. n. 974 del 29 aprile 1917 (Gazz. Uff. 3 luglio 1917) e decr. Min. marina 7 marzo 1923 (Gazz. Uff. 17 marzo 1923).
La grande industria e il commercio della benzina, e dei derivati petrolici in genere, nei varî luoghi di produzione, sono esercitati da un gran numero di società. Però, in pratica, il commercio è organizzato in trust, per il prevalere di due potenti società, le quali esercitano un effettivo controllo su quasi tutte le altre. Esse sono la Standard Oil Co. di New Jersey e la Royal Dutch Shell Co., le quali dispongono di potenti flotte per il trasporto dei prodotti petrolici in tutti i paesi e di vaste organizzazioni commerciali. Lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi russi è stato sottratto agli appetiti stranieri dall'atto d'imperio di nazionalizzazione del governo dell'U.R.S.S. del 1920 ed è adesso in via di notevole riorganizzazione, con una direzione generale a Mosca, da cui dipendono, nei varî distretti, organizzazioni industriali autonome, fra cui le principali sono la Grosneft, la Azneft e la Embaneft. In Italia, con reg. decr. del 3 aprile 1926, n. 556, si è costituita la società anonima Azienda generale italiana petrolî (A.G.I.P.), col concorso e sotto il diretto controllo del governo allo scopo di svolgere ogni attività nel campo dell'industria e del commercio dei prodotti petroliferi e di eseguire ricerche petrolifere nel territorio dello stato e delle colonie. Oltre la Società petrolî d'Italia e la Petrolifera italiana, producono benzina in Italia la Miniera di S. Romualdo e la Società italiana studî minerali, dagli schisti bituminosi, nonché le raffinerie di olî minerali di Fiume e di Trieste. Sono, inoltre, in mani italiane alcune concessioni petrolifere all'estero, come quelle della Itamese a Tampico (Messico), della Società italo-belga in Georgia, della Società italo-araba e della Petrolifera latina in Romania. La auspicata diffusione del processo del cracking potrà consentire di ridurre l'importazione italiana di benzina estera, cioè una più larga produzione di benzina nazionale, dagli olî di schisto e di asfalto locali e dai sottoprodotti petrolici, da importare di preferenza.
Bibl.: V. Villavecchia, Dizionario di merceologia e di chimica applicata, III, Milano 1925; G. Fabris, Olî e grassi, Milano 1923; M. G. Levi, S. Padovani e altri, in Giornale di chimica industriale ed applicata, Milano, anni I-X; S. F. Birch, A. E. Dunstan, G. Egloff e altri, in World Power Conference, Fuel Conference, Londra 1928; Conférences internationales de la Chimie pure et appliquée, Comptes Rendus, Parigi 1920-1926; Atti Commissione governativa olî minerali.