BERARDO da Ascoli
Arcidiacono della chiesa di Ascoli Piceno, è menzionato esplicitamente la prima volta con i titoli di medico e cappellano dell'imperatore Enrico VI in un diploma del 6 luglio 1193, a lui diretto, nel quale il sovrano ricorda con gratitudine la fedeltà del suo servizio e le cure prestategli: è probabile che l'autore accenni qui agli eventi dell'agosto 1191, allorché l'imperatore, colpito da grave malattia (sembra si trattasse di colera) durante uno dei suoi viaggi, dovette essere trasportato in lettiga fino a Capua e quindi presso San Germano (Cassino) dove, costretto a sostare dalla febbre altissima, rimase nella sua tenda alcuni giorni tra la vita e la morte e riuscì a rimettersi in salute grazie proprio alle cure amorevoli ed esperte del suo medico personale. Pietro da Eboli, nel Liber ad honorem Augusti, ricorda veramente la presenza al capezzale dell'infermo di un "magister Girardus", esperto nell'arte ippacratica: ma può darsi benissimo che lo scambio tra "Girardus" e "Berardus" sia nato o da un confuso ricordo del poeta o da un lapsus del copista; tanto più che il 10 apr. 1195, con un nuovo privilegio, l'imperatore concedeva a B. alcuni terreni in beneficio, quale ricompensa per avergli salvato la vita. Alla fine di luglio dello stesso anno anche l'imperatrice Costanza si rivolgeva a lui come "cappellano nostro e suddiacono pontificio".
L'anno seguente B. era già salito sulla cattedra di Messina quale arcivescovo eletto, come si desume da una lettera di Celestino III del 10 apr. 1196, con la quale il pontefice ingiungeva ai fedeli di quella diocesi di pagare al nuovo pastore l'intera decima del fiume Dionisio; tre giorni dopo lo stesso pontefice riconosceva a B. il diritto di esigere sia dalle abbazie greche sia da quelle latine le procurationes previste dal diritto canonico durante le visite pastorali nel territorio della sua arcidiocesi.
Pur rimanendo legato all'ambìente della corte di Palermo, B. non trascurò la sua Chiesa, tanto che il 21 sett. 1197 poteva consacrare la cattedrale di S. Maria Nova; in occasione di tale solennità l'imperatore, sebbene scomunicato dal pontefice, donava all'arcivescovo, con diploma dato da Messina il 25 settembre, il casale di Ferlito con le relative pertinenze. Tre giorni dopo la concessione di tale beneficio Enrico VI veniva raggiunto dalla morte proprio nella sede del suo fedele cappellano, il quale si adoperò in ogni modo perché alla salma del sovrano fosse concessa la solennità della sepoltura.
La morte dell'imperatore non interruppe i legami tra B. e la carte di Palermo: nell'aprile successivo Costanza rinnovò all'arcivescovo i privilegi concessi alla Chiesa messinese dal conte Ruggero nel 1094; apprestandosi intanto l'incoronazione regia di Federico, il medico e consigliere della casa imperiale manifestava il desiderio di assistere alla cerimonia: il 30 aprile, tuttavia, l'imperatrice gli scriveva che, pur riuscendogli la sua presenza graditissima, stimava più utile "pro nostris servitiis" che l'arcivescovo non si muovesse da Messina.
Non si conoscono le vere ragioni di simile rifiuto: può darsi che Costanza preferisse la presenza di B. nella sua sede per controllare la situazione, ma non è escluso che cominciasse negli ambienti di corte a farsi strada il sospetto che la fedeltà del medico non fosse più quella di un tempo, come gli eventi successivi dovevano dimostrare.
Morta Costanza, l'arcivescovo di Messina fu coinvolto nella ribellione di Marcoaldo, che, già siniscalco di Enrico VI, tentò di impadronirsi del potere ai danni del giovanetto Federico affidato alla tutela del papa: non soltanto B., dichiaratosi fautore di Marcoaldo, si apprestava ad accogliere il ribelle, ma dovette forse approfittare della confusione del momento per favorire illecitamente la distrazione di possessi del demanio regio, poiché il 27 sett. 1199, insieme con gli arcivescovi di Palermo e di Morireale e col vescovo di Troia, riceveva mandato dal pontefice di provvedere alla restituzione al demanio di immobili indebitamente assegnati in beneficio.
Non si era tuttavia ancora profilata una condanna dell'arcivescovo. perché sembrava allora che Marcoaldo volesse venire a più miti consigli e mirasse, attraverso un colloquio con il pontefice, a non creare una rottura definitiva: pochissimo tempo dopo, però, il ribelle svelava le sue vere intenzioni e il papa, confermando la scomunica nei suoi riguardi, la estendeva a tutti i suoi fautori, colpendo cosi anche Berardo. L'atteggiamento ambiguo di quest'ultimo ebbe però breve durata: l'antico fidelis dell'imperatore non tardò ad abbracciare la causa di Federico, tanto che nel novembre 1200 Giovanni da Lentini, maestro della regia doana de secretis, nel donare un uliveto all'arcivescovo di Messina, ne ricordava il titolo di "familiare del re" e l'anno dopo, nel giugno, Federico stesso gli cedeva il casale di Calatabiano: la circostanza che tale donativo non figuri come una concessione alla Chiesa messinese, ma abbia carattere personale, testimonia il fatto che B. era ormai completamente rientrato nelle grazie del re. Un anno dopo, il 19 giugno 1202, con l'intervento di Gregorio, cardinale prete di S. Vitale, l'arcivescovo ottenne anche la revoca della sentenza di scomunica e si mostrò in seguito tanto zelante che alla fine di aprile del 1203 il pontefice ne tesseva le lodi per aver allontanato la minaccia dell'insurrezione dalla Sicilia e per aver restituito la diocesi messinese non soltanto all'obbedienza del papa ma anche a quella del re.
Mentre riprendeva il suo ruolo di consigliere del sovrano, l'arcivescovo continuava anche a preoccuparsi delle sorti della sua diocesi. Una controversia con i Templari di Messina veniva appianata il 4 sett. 1209 grazie all'intervento del legato apostolico in Sicilia; nel marzo 1212 il re Federico confermava alla Chiesa di Messina possessi e privilegi e la prendeva sotto la sua protezione. Non è da escludere che proprio in questo periodo B. sollecitasse al pontefice e ottenesse l'uso del pallio e il riconoscimento della giurisdizione metropolitica sulle diocesi di Cefalù, di Lipari e di Patti.
Il diploma di Innocenzo III relativo a questi privilegi reca la data dell'8 maggio 1198; tuttavia la presenza, tra le sottoscrizioni, della firma di Roberto, cardinale prete del titolo di S. Stefano al Celio, ha fatto ritenere spurio il documento, poiché al titolo di S. Stefano al Celio - che nel 1198 era occupato dal cardinale Giovanni - Roberto non fu elevato che dopo il 1208. In realtà il diploma in questione è da ritenersi solamente alterato, non potendosi infatti dubitare dei privilegi concessi da Innocenzo III a B., dato che essi gli vennero confermati successivamente, il 31 ottobre del 1216, dal papa Onorio III.
I legami dell'arcivescovo con Federico si facevano intanto sempre più stretti: nel 1219 egli.accompagnò il sovrano in Germania; negli anni immediatamente successivi, poi, il suo nome compare nei diplomi regi sempre più di frequente. Come già al tempo di Enrico VI, egli esercitò la sua influenza di familiare del re e di arcivescovo fedele alla Santa Sede per interporre i propri buoni uffici nel tentativo di sanare il dissidio tra Federico e il papa: nel 1229 venne inviato dall'imperatore a Perugia, presso Gregorio IX, nel tentativo di impetrare per il suo sovrano l'assoluzione dalla scomunica; verso la fine del 1232 fece parte di una nuova legazione, insieme con il giustiziere imperiale Enrico de Morra e con Pier delle Vigne, per prestare al papa un atto di obbedienza, rivelatosi poi soltanto formale, dato che, il 10 febbr. 1233, il pontefice si lamentava che, contro ogni promessa, l'imperatore non si preoccupasse affatto della difesa del Patrimonio di S. Pietro. là probabile che tale missione abbia offerto a B. l'opportunità di impetrare dal papa un nuovo privilegio: il 9 dic. 1232 Gregorio IX gli concedeva di farsi precedere, nelle processioni celebrate nell'ambito della sua arcidiocesi, dal vessillo della santa Croce.
L'anno dopo B. chiudeva la sua movimentata esistenza.
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