bere [bee, III singol. pres. indic.; bei, II singol. pres. cong.; bea, III singol. pres. cong.]
Nel significato proprio, il verbo è transitivo solo in Fiore LXXXIX 2 preziosi vini vanno bevendo. È usato assolutamente in Pg XXIII 67 Di bere e di mangiar n'accende cura / l'odor ch'esce del pomo e de lo sprazzo / che si distende su per sua verdura; analogamente e con diretto riferimento al precedente luogo: XXIV 32 ebbe spazio già di bere a Forlì con men secchezza, e Fiore C 7 non tenni ancor patto, / e non è ancor nessun che se n'addea, / tanto non stea con meco o mangi o bea.
Ricorre più volte il costrutto ‛ b. di ', ricco di attestazioni nella letteratura coeva (Simintendi, Cavalca) e posteriore, costrutto in cui probabilmente confluiscono i valori del partitivo (si confronti l'uso di ‛ assaggiare ', ma anche ‛ mangiare di qualche cosa ') e della provenienza (come nel latino haurire), in senso proprio e figurato. In Pg XXXIII 96 or ti rammenta / come bevesti di Letè ancoi, è presente la sfumatura ironica del traslato, in quanto l'ingestione di tale liquido comporta dimenticanza del male passato. Il valore traslato è decisamente più trasparente in Cv IV XIV 12 Pognamo che Gherardo da Cammino fosse stato nepote del più vile villano che mai bevesse del Sile o del Cagnano, e in Pd XXIV 8 voi bevete / sempre del fonte onde vien quel ch'ei pensa, cioè vivete nella verità, nella sapienza. In Pd XXX 73 di quest'acqua convien che tu bei / prima che tanta sete in te si sazi, e XXX 88 e sì come di lei [dell'acqua del fiume di luce] bevve la gronda / de le palpebre mie, il verbo equivalente al costrutto figurato è " contemplare "; in XXVII 59 Del sangue nostro Caorsini e Guaschi / s'apparecchian di bere, ha significato di efferatezza.
Ancora uso assoluto generico, per indicare uno degli atti caratteristici di chi è in vita, si ha in If XXXIII 141 Branca Doria non morì unquanche, / e mangia e bee e dorme e veste panni, è, cioè, ancora vivo.
La forma passiva, nel significato estensivo di " venire assorbito ", è attestata soltanto in Pg XXV 37 Sangue perfetto, che poi non si beve / da l'assetate vene.
Tutti gli altri esempi hanno costrutto per lo più assoluto e valore metaforico: in Pg XXII 65 Tu prima m'invïasti / verso Parnaso a ber ne le sue grotte, e XXXI 141 chi palido si fece sotto l'ombra / sì di Parnaso, o bevve in sua cisterna, è " abbeverarsi " alla poesia, dedicarsi interamente a essa; in Pg XXIII 86 Sì tosto m'ha condotto / a ber lo dolce assenzo d'i martìri / la Nella mia con suo pianger dirotto, la perifrasi allude all'effetto della pietà coniugale, che ha anticipato la venuta nel Purgatorio di Forese Donati. L'uso figurato di Fiore CXCIII 10 Né no gli piacque nulla risparmiare / che tutto nol bevesse e nol giucasse, allude al sempre vivo bisogno di fuga o evasione, che forza taluni a sperperare le proprie sostanze nel bere smodato o nel gioco.
Il verbo ha uso sostantivato in Pg XXI 74 el si gode / tanto del ber quant'è grande la sete, XXII 145 le Romane antiche, per lor bere, I contente furon d'acqua, XXIV 124 Ricordivi... / de li Ebrei ch'al ber si mostrar molli; Fiore XLV 10 Sed i' difendo a ciaschedun l'ebbrezza, / non vo' che 'l ber per ciò nessun dicami.
Uso figurato, riferito all'atto del contemplare, si ha in Pg XXXIII 138 i' pur cantere' in parte / lo dolce ber che mai non m'avria sazio. Non si hanno esempi del verbo nella Vita Nuova e nelle Rime.