BUONINSEGNI, Bernardino
Nacque, non si sa bene in quale anno, da nobile e facoltosa famiglia senese di proprietari terrieri. Suo padre, Antonio, era medico e pare sia da identificare con quell'Antonio Buoninsegni, morto di peste nel 1527, che nel 1505 era stato fatto conte palatino ed era stato medico di Pio III. Il B., sebbene anch'egli laureato in medicina, in pratica non esercitò la professione (erroneamente il Garosi lo dice medico curante del signore di Piombino Jacopo Appiani nel 1545: si tratta infatti di un altro personaggio senese, Bartolomeo Buoninsegni) perché sin dalla gioventù fu pressoché continuamente impegnato dal governo senese in missioni diplomatiche in Italia e all'estero. Insieme con Ambrogio Nuti fu il più quotato ambasciatore dell'ultimo trentennio della Repubblica: i due, sebbene di volta in volta regolarmente eletti a norma degli statuti dalle assemblee della Repubblica, furono in sostanza dei veri e propri diplomatici di professione.
La prima missione del B. di cui si conservi traccia risale al 1528 quando, ancora assai giovane, fu inviato a Firenze in qualità di segretario dell'oratore senese Giovanni Palmieri. Alla caduta dei Medici, nel 1527, si erano aperte trattative tra Siena e Firenze per stabilire una intesa antimedicea, che si rivelò subito difficile sia a causa della diffidenza e rivalità tradizionali tra le due città, sia per i loro opposti orientamenti nel conflitto franco-imperiale. La missione venne interrotta tra il giugno e il luglio 1529, avendo la Balia senese deliberato d'inviare lo stesso Palmieri, dei popolari, il B., dei riformatori, e Orlando Marescotti dei gentiluomini, a render gli onori a Carlo V che stava arrivando in Italia. Essi si recarono a Genova, a Bologna, a Piacenza; ma il B. fece ben presto ritorno a Firenze donde dal 13 agosto ricominciò ad inviare i suoi messaggi alla Balia. I Fiorentini, sempre più persuasi che i Senesi, legati agli Imperiali, non solo non avrebbero sottoscritto un sincero accordo con Firenze, ma avrebbero finito per schierarlesi contro, avevano cominciato a rinforzare il confine inviando proprie milizie a Poggio Imperiale e a Poggibonsi.
Nel '31 il dramma di Firenze è giunto all'epilogo e l'oligarchia senese sconta a caro prezzo gli errori commessi ai danni della Repubblica sorella e innanzi tutto quello d'aver fornito agli Imperiali vettovaglie e forze militari contro Firenze. Siena si trova il dominio invaso e controllato dall'"amichevole" presenza delle truppe imperiali di Fabrizio Maramaldo e di Ferrante Gonzaga. Essi si immischiavano nei suoi più gelosi affari interni tanto da imporre la riabilitazione ai diritti politici e civili della fazione dei Noveschi, fino a quel momento costretta all'esilio, e l'accettazione di un presidio di 400 Spagnoli comandato da un luogotenente imperiale, Lope de Soria, in sostituzione - quest'ultimo - del duca d'Amalfi che, oriundo senese, rappresentava in Siena con troppo blanda moderazione l'autorità imperiale.
Di capitolazione in capitolazione, il governo senese aveva finito per accettare quasi tutte le imposizioni degli agenti imperiali, quando un'improvvisa sommossa popolare, cacciando di nuovo in esilio la fazione dei Nove, rimise tutto in discussione.
Alfonso Faleri e il B., che si trovavano oratori presso il quartier generale del Gonzaga a Pienza, furono impotenti a placare la reazione del condottiero imperiale: questi minacciosamente spostò l'esercito fino a Cuna, alle porte di Siena, e fece per rappresaglia arrestare Mario Bandini e altri due capi di parte popolare, recatisi da lui in deputazione. La crisi si risolse tuttavia in modo abbastanza favorevole per i Senesi. Essi trovarono appoggio nel marchese del Vasto che dispose a clemenza l'imperatore. Carlo V acconsentì a ritirare dal dominio le truppe imperiali e a far tornare in città, come suo agente di fiducia, il duca d'Amalfi, con una guarnigione di soli 100 Spagnoli. Il 13 giugno il B., per incarico della Balia, si recava a Roma a invitare a nome della città il duca a tornare a Siena ad assumervi di nuovo le sue funzioni.
Nell'estate del '32 il B. fu a Firenze insieme con Orlando Marescotti e col residente ordinario senese in quella città Alfonso Faleri, per presentare a nome della Repubblica le congratulazioni al duca Alessandro per il suo avvento al principato. Due missioni puramente onorifiche svolse fra il '35 e il '36, la prima di nuovo a Firenze, per congratularsi col duca Alessandro per le sue prossime nozze con Margherita d'Austria, e la seconda nell'aprile dell'anno seguente, quando fu, insieme ad altri sette deputati, nella commissione detta per "l'ornato", ossia per gli abbellimenti e festeggiamenti da disporre in Siena e nel dominio per la venuta di Carlo V.
Nel '39, per controbattere le mene dei fuorusciti noveschi, il B. fu inviato in Spagna alla corte cesarea. Partito da Siena il 29 maggio, era di ritorno il 22 luglio. Nulla di tale missione, eccettuata una insignificante lettera alla Balia (Arch. di Stato di Siena, Balia, f. 655, c. 46) si trova nel carteggio del B. e del pari ne tace il Pecci.
La persistente ostilità del pontefice Paolo III, nei confronti della Repubblica, dimostrata tra l'altro col favore accordato al cardinale Alessandro Farnese nella sua lite con Siena a proposito della abbazia delle Tre Fontane, indusse la Balia a correre ai ripari. Con deliberazione in data 19-20 marzo 1544 il B. veniva inviato in Germania per patrocinare tale causa presso la corte. Si mise in viaggio il 26 marzo, fermandosi il giorno di poi a Firenze per sollecitare dal duca Cosimo lettere commendatizie per l'imperatore e per il ministro Granvelle. Cosimo, che in quegli anni era in grave tensione con Roma, si dichiarò pronto a soccorrere Siena nel caso che fosse stata fatta segno a maggiori ostilità da parte del papa. Il viaggio fu assai lungo. Il 6 aprile il B. era a Spira dove si trattenne fino a metà giugno; poi seguì l'imperatore a Metz e finalmente, assicuratosi che dalla corte fosse partito per Roma "uno spaccio a favore di Siena nella causa col rev.do Farnese", B. ripartì per l'Italia il 6 luglio.
Nel giugno del 1545, avendo il luogotenente imperiale a Siena, Juan de Luna, fatto venire da Milano un grosso contingente di Spagnoli, la Balia inviò il B. e il Marescotti nell'Italia settentrionale presso il marchese del Vasto per chiedere il ritiro di tali truppe.
Il 4 giugno il B. presentava le credenziali al marchese esponendogli il disagio cui era sottoposto il dominio "per i continui danni, furamenti e homicidî" perpetrati dalle truppe spagnole, ottenendo promesse generiche che furono soddisfatte soltanto nell'ottobre, quando finalmente le truppe spagnole si ritiraron dal Senese, dopo aver provocato gravi danni alla Val di Chiana inferiore.
In seguito al moto dell'8 febbr. '46, quando fu cacciato da Siena Juan de Luna e i noveschi furono nuovamente esclusi dal governo, il B., con deliberazioni della Balia del 13 e 15 febbraio, veniva mandato in qualità di oratore dal duca Cosimo I a Firenze, per riferirgli circa gli avvenimenti senesi e ringraziarlo di non esser intervenuto militarmente in appoggio di Juan de Luna. Quasi contemporaneamente venivano sospesi per tre mesi i poteri della Balia e affidato il governo a un comitato di nove cittadini, tre per ciascun ordine, più il capitano del popolo. Tra loro, per i riformatori, fu eletto il B.; egli tuttavia fu ben presto sostituito, essendosi reso necessario affidargli un nuovo incarico.
L'imperatore, stanco della irriducibile riottosità dei Senesi aveva finito per deferire la soluzione della questione senese al governatore di Milano, Ferrante Gonzaga. Questi aveva costretto la Repubblica ad accogliere come capitano di Giustizia un giurista milanese di sua fiducia, Francesco Grasso, e pretendeva inviare un presidio di 500 Spagnoli a Siena da mantenersi a spese della Repubblica.
I Senesi, non intendendo assolutamente assoggettarsi a tanto odiosa imposizione, mentre arruolavano truppe, inviavano nell'ottobre vari oratori alla corte, tra cui Mario Bandini e Ambrogio Nuti, e nel novembre (poiché dalla Germania gli oratori senesi facevan sapere che l'imperatore aveva rimesso ogni decisione nel governatore della Lombardia) inviavano a Milano il Buoninsegni. Anch'egli, come un mese prima il Bandini, nel partire ebbe ordine di far tappa a Firenze nella persistente illusione che il duca Cosimo fosse sinceramente disposto ad appoggiare il governo senese contro le pretese degli Spagnoli. L'ambasceria straordinaria del B. si trasformò in residenza permanente, conforme al segreto proposito del governo senese di mandare in lungo il negoziato.
Il B. aveva ordine di seguire il Gonzaga in tutti i suoi spostamenti assai frequenti nell'Italia settentrionale, sotto colore di fargli onore, ma con l'evidente scopo di controllarne di continuo le pericolose reazioni, tenendone al corrente i suoi. Allo stesso scopo, puramente dilatorio, furono mandati più tardi altri due oratori a Milano, Ambrogio Nuti e Conte Buonsignori, che si trattenne in città due mesi senza concluder nulla. In realtà Siena temporeggiava, persuasa che Carlo V, troppo impegnato in Germania, non fosse in grado sul momento di intraprendere azioni di forza in Italia. Così il Gonzaga, inviati i 500 Spagnoli a Poggibonsi, se li vide poi respingere con incredibile tracotanza. Né bastò concedere che dei 500 fanti del presidio 100 venissero mantenuti a spese dell'amministrazione imperiale. Ad un certo momento (giugno '47) poiché Siena non si risolveva ad accogliere il presidio e neanche ad accontentarsi della riduzione accordatale, il Gonzaga perse la pazienza e per rappresaglia fece catturare e chiudere in castello diciotto Senesi, confinati a Milano per sentenza del tribunale imperiale.
Espulso per ritorsione il Grasso da Siena, la liberazione dei prigionieri, per quante pressioni incessanti il B. facesse, non fu ottenuta se non quando Siena, dopo la vittoria imperiale di Mühlberg, accettò, per mediazione di Cosimo I, il presidio spagnolo e, quel che fu peggio, la tirannide di Diego de Mendoza, per liberarsi dalla quale cinque anni dopo era costretta a legarsi alla rovinosa alleanza coi Francesi che portò alla guerra e alla caduta della Repubblica.
Sotto il nuovo regime filospagnolo, che si instaurò in Siena per pressione del Mendoza, non si può dire che l'attività del B. venisse meno; si ha, anzi, l'impressione che egli fosse uomo di piena fiducia della Signoria. Nel quinquennio (ottobre '47-luglio '52) che va dall'avvento del Mendoza alla cacciata degli Spagnoli, egli ebbe di continuo cariche pubbliche e missioni diplomatiche; ricorderemo le principali: ancora oratore permanente a Milano, vi resta fino all'11 luglio '49, quando viene sostituito da Girolamo Tolomei. Tornato a Siena, vien chiamato a far parte, insieme con Giovanni Palmieri, Orlando Marescotti e Girolamo Bandinelli, di una commissione nominata dal Mendoza per investigare sull'autore di cinque lettere anonime dirette alla Balia contro il Mendoza stesso. L'autore, identificato in un Tomaso Puliti, fu costretto a confessare e venne impiccato. Per ordine del Mendoza, il B. veniva, insieme ad altri, insignito del titolo di "commissario cesareo" per ispezionare l'amministrazione della giustizia in varie zone del dominio.
Nel gennaio del 1550 il B. si trovava nuovamente a Milano per presentare, sembra, a Ferrante Gonzaga un donativo di 4000 scudi a nome della Repubblica; alla fine di quello stesso mese egli accompagnava fino a Trento, in corteggio di onore, il principe Filippo di Spagna in viaggio verso la Germania. Il 9 giugno, con altri tre oratori, era a Roma a rendere omaggio al nuovo pontefice Giulio III, che il giorno seguente lo creò, insieme con i suoi compagni, cavaliere dello Speron d'oro.
Mentre i tre oratori erano ancora a Roma (fine di giugno), giungeva di Germania una notizia che gettava nella costernazione i Senesi: l'imperatore imponeva la costruzione di un castello in Siena e l'inizio dei lavori entro tre mesi.I tre oratori, per ordine della Balia, si recavano subito, per consiglio e soccorso, dal pontefice e dal Mendoza, allora a Roma. Secondo una notizia riportata dal Pecci (III, p. 229) gli oratori, dalle risposte date loro dal papa e dal Mendoza, si sarebbero resi conto che "non c'era nulla da fare" e se ne sarebbero in misura tale accorati che due di loro (il B. e Girolamo Piccolomini Mandoli) si ammalarono gravemente, il secondo addirittura da morirne.Dopo la cacciata degli Spagnoli, il B. veniva, con deliberazione della Balia del 4 ag. '52, inviato oratore a Roma sia per fare al pontefice il resoconto ufficiale dell'accaduto, sia soprattutto per chiedergli che il nipote dello stesso pontefice, Ascanio della Cornia, che nei giorni della sommossa, assoldato dal Mendoza, aveva occupato Chiusi nel territorio senese, venisse pregato di ritirarsi e di lasciar libera quella città. Membro della nuova Signoria eletta nel settembre, fece parte dal 20 novembre di una commissione incaricata di un nuovo progetto di riforma del governo. Il 18 giugno '51, si recò insieme ad altri tre oratori senesi a Bagnaia per trattare della tregua col pontefice Giulio III. Quando nell'estate del '54 Piero Strozzi fece la sua improvvisa sortita da Siena avanzando minaccioso in territorio fiorentino, il B., che dal 23 aprile faceva parte degli Otto di guerra, fu dalla Balia inviato insieme a Girolamo Spannocchi presso Roberto Strozzi, lasciato dal fratello al comando militare del presidio cittadino durante la propria assenza, per prendere accordi circa la difesa della città e rafforzarne gli effettivi. Dopo l'infausta giornata di Scannagallo (2 agosto) il B. fu inviato a Montalcino presso lo Strozzi, a prendere accordi in vista della ambasceria in Francia per chieder soccorsi a Enrico II. La decisione di inviare oltralpe il B. fu ufficialmente presa dal Consiglio generale l'11 agosto, la notula lo raggiunse a Montalcino il 24 e il 29 era in viaggio e faceva tappa a Ferrara. Tornò il 20 ottobre.
L'esito della sua missione fu un completo fallimento, mascherato, da parte dell'alleato francese, con belle parole e vaghe promesse. Cera il forte sospetto che i Francesi abbandonassero Siena al suo destino e procurassero attraverso il duca di Ferrara (che fingeva di agire di propria iniziativa) di farla entrare in trattative con gli Imperiali per una pace separata. Il governo, dopo aver ordinato al B. di conferire a Grosseto con lo Strozzi, l'8 di novembre lo rimandava in Francia con l'incarico, di insistere in una incalzante richiesta di soccorsi. Ma nessuno, né l'oratore permanente in Francia, Claudio Tolomei, né il B., né, infine, il governo senese stesso ebbero mai il coraggio e l'abnegazione sufficienti a dire fino in fondo la verità ai loro concittadini. I dispacci del B., compilati in collaborazione col Tolomei, continuarono a edulcorare con pietosi eufemismi l'amara realtà fino a che la città non fu costretta alla resa.Il B., convinto che non vi fosse per Siena possibilità di conservar la libertà se non garantita dalla Francia, si mantenne - come gli uomini di tutte le fazioni filofrancesi di Siena - legato fino alla fine all'alleato d'oltralpe e fu il primo a suggerire, fin dal 18 marzo '55, la "resoluzione honorata e necessaria" di ritirarsi in una qualsiasi piazza fortificata e li "formar la repubblica nostra" in attesa di una controffensiva sostenuta dalla Francia, che consentisse di riconquistare Siena (Arch. di Stato di Siena, Concistoro, f. 2431, c. 85r). Al suo ritorno dalla Francia già era stata costituita la Repubblica senese ritirata a Montalcino alla quale subito aderì. Il 20 febbraio del '56 veniva, insieme a molti altri, messo al bando dal governo mediceo che gli confiscò i cospicui beni. Nell'aprile 1559, inviato insieme ad Annibale Buonsignori a Cateau-Cambrésis, ebbe col suo collega l'amara sorpresa di conoscere le clausole che segnavano la fine della libertà della Repubblica.
Il 19 dicembre di quell'anno stesso, il B., ottenuto, come tanti suoi concittadini ex ribelli di Montalcino, il "perdono" del duca Cosimo I, gli scriveva una lunga (e piuttosto servile) lettera di ringraziamento. Non si conosce l'anno della sua morte, che deve esser da porre poco oltre il 1560, anno durante il quale resta traccia di una missione diplomatica affidatagli da Cosimo I per la corte di Ferrara, ma sembra che all'ultimo momento venisse sostituito.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di-Siena, Balia, ff.573-575, 577-581, 594-596, 609, 613, 619, 639, 641 s., 649-651, 655, 662, 699-705, 715-718, 720 -723, 729, 753, 773 s. 776; Concistoro, ff.2096, c. 71; 2433; Siena, Biblioteca comunale, B. Buoninsegni, Spese dei suoi viaggi in Spagna (1539), in Germania (1554) e conti di raccolte delle sue tenute di Corzano e Corzanello; Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, ff.1857-1863, 2634, c. 639; Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Palatino 632, Copialettere originale della Balia di Siena fuori del Dominio per l'anno 1554, cc. 32 s., 44, 50, 52, 58 s., 62v, 66v, 126v, 128r; A.Sozzini, Il successo delle rivoluzioni della città di Siena,in Arch. stor. ital., II (1842), pp. 141, 217, 281, 591; O. Malavolti, Historia de' fatti e guerre de' Sanesi, Venetia 1599, parte 3, pp. 138, 149; G. A.Pecci, Mem. storico critiche della città di Siena, Siena 1755-60, III, pp. 25 e nn. 50 s., 65 s., 74, 80-82, 117, 121, 136, 144 s., 153, 164, 174 s. e n., 180, 183-186, 188, 191-196, 200, 206, 218, 220-222, 226, 229, 244, 278; IV, pp. 4, 21, 3539, 84, 134, 166, 178-180, 278, 320; V.Pacifici, Ippolito II d'Este,cardinal di Ferrara, Tivoli 1920, p. 225; A. Garosi, Siena nella storia della medicina, Firenze 1958, p. 361; R. Cantagalli, La guerra di Siena (1552-1559), Siena 1962, ad Indicem.