BUTINONE, Bernardino
Figlio di Iacopo, nacque a Treviglio; ne è ignota la data di nascita, ormai però comunemente riconosciuta intorno al 1450. La prima notizia documentata è del 1484, allorché il B. risulta abitante a Milano, titolare di una reputata bottega in contrada di porta Vercellina e già maturo al punto da tenere scuola di pittura (Motta). Dello stesso anno è il trittico firmato e datato, ora a Brera, identificato dal Salmi (1925) con quello citato nella Cronica del Fornari (1685) come esistente nella chiesa del Carmine. Il 26 maggio 1485, in società con Bernardo Zenale, fu incaricato dal rettore della parrocchia di S. Martino di Treviglio di eseguire il grande polittico dedicato al santo titolare (Calvi, 1865; Locatelli, 1867). Nello stesso tempo circa egli lavorava alla decorazione a fresco di S. Maria delle Grazie. Alla fine del 1490, mentre si trovava a Pavia, fu chiamato dal duca Galeazzo, ancora con lo Zenale, per decorare "ad historia" la sala della Balla nel castello di Milano (R. Maiocchi, Codice... di Pavia, I, Pavia 1937, p. 363 n. 1515). Verosimilmente circa il 1491-93 (a quanto si desume da una lettera del duca di Milano ai rettori di Brescia) eseguì e firmò, sempre con lo Zenale, gli affreschi della cappella Grifi in S. Pietro in Gessate a Milano (cfr. Calvi e Mongeri). Nel 1503 il B. e lo Zenale erano nominati esperti per la stima di una opera di Benedetto de' Canzolis per l'organo della parrocchiale di Treviglio. Nel 1507 i due artisti ricorrevano con successo al vicario arcivescovile di Milano al fine di ottenere il saldo del compenso per il polittico di S. Martino (Calvi, 1865, p. 111). Essendo questa l'ultima notizia che si ha del B., lo si crede morto poco dopo.
Premesso come indubbio che la primitiva formazione del B. si verificò sui testi dell'arte padovana squarcionesca e sui grandi modelli della pittura ferrarese, è per lo meno ragionevole supporre che essa fu favorita da una speciale inclinazione di temperamento al punto che l'artista, "da buon squarcionesco, riuscì talora più ferrarese dei ferraresi" (Longhi). Quanto però alle circostanze e alle occasioni che determinarono una così profonda assimilazione stilistica e poetica - rimasta fondamentale anche dopo la ricezione di altre nozioni culturali e il relativo mitigarsi dei modi primitivi - va detto che nessun documento esiste circa una presenza del B. a Padova o a Ferrara né circa eventuali contatti diretti; contatti che è necessario postulare poiché non sembrano sufficienti le pur note vicende di svariati rapporti e scambi intercorsi tra quei centri e la capitale del ducato sforzesco, che generarono, verso il '70, un moto di assimilazione tutt'altro che marginale da parte di molti artisti lombardi ed il cui vertice è ravvisato nello stilismo scheggiato e patetico della scultura del Mantegazza.
Da questa premessa, peraltro ancorata alle testimonianze di alcune opere fondamentali, la critica recente ha ricavato, e non tanto per comodità didattica, un modulo di evoluzione utile a stabilire una cronologia delle opere del B., collocandole sempre più avanti nel tempo secondo il decrescere dei caratteri più tipicamente padovano-ferraresi e secondo il crescere, viceversa, di caratteri più lombardi, fino al traguardo presunto finale, ormai dentro il nuovo secolo, del polittico di Treviglio, là dove però il linguaggio del B., come già nella cappella Grifi, è mescolato con quello del consocio Zenale, con l'intenzione quasi di una compenetrazione stilistica e quindi con il sacrificio ulteriore di qualche inflessione e cadenza personale. È d'altra parte difficile e quanto mai opinabile, stante la già lamentata carenza di documenti, istituire, all'infuori di quel modulo, una successione stilistico-cronologica plausibile delle opere del B., fra l'altro non numerose, specie se si considerano a parte quelle eseguite in collaborazione con il compatriota.
La più antica, quella cioè di timbro più padovano-ferrarese, dovrebbe dunque considerarsi la Crocefissione già Bardini (Roma, Museo naz. d'arte antica), secondo un'attribuzione del Longhi che non ha tuttavia corroborato la mostra milanese del 1958. Subito accanto, la Pietà già nei Musei di Berlino (n. 1144, andata distrutta nel 1945), che fu restituita al B. dal Suida nel 1902, quando il dipinto andava sotto il nome di un anonimo padovano, tanto era nutrito di modi mantegneschi. A questo primo tempo dovrebbero inoltre ascriversi alcune di quelle tipiche tavolette - note in una quindicina di esemplari, certamente parti di predelle di pale disperse - nelle quali si avvertono ora un arrovellato plasticismo di marca ovviamente padovana (Circoncisione, Bergamo, Accad. Carrara; Epifania già in racc. parigina; Fuga in Egitto, Chicago, Art Institute; Natività, Londra, National Gallery), ora caratteri analoghi però forse mediati, secondo Baroni e Samek Ludovici, da quella singolare situazione culturale che ha determinato in terra emiliana l'arte dei Canozi da Lendinara (Cena di Betania, New York, racc. Suida-Manning; Nozze di Cana, Milano, racc. Borromeo; Incredulità di s. Tommaso, Pavia, Musei civici). Ben prima del 1480 dovrebbe poi situarsi anche quel pannello centrale di polittico che è la Madonna col Bambino e angeli musicanti della racc. Ciallarati Scotti (Milano), in quanto vi si possono scorgere, oltre le fondamentali desinenze ferraresi, significativi e non casuali richiami (nei fregi monocromi della cattedra) ai rilievi mantegazzeschi sulla facciata della certosa pavese (Baroni-Samek Ludovici, p. 234). Poco dopo il 1481- per via dei riferimenti alla "stampa" bramantesca del Prevedari - è ragionevole vedere la tavoletta con la Madonna in trono e il Bambino tra s. Giovanni e s. Giustina (racc. Borromeo, Isola Bella), sorprendente per il sovraccarico decorativo che tuttavia non sommerge una nitida composizione architettonica di derivazione evidente.
Ed ecco il trittico del Carmine ora a Brera, che è prima e unica opera datata del B. (1484), a documentare che in un breve volger d'anni il cosiddetto recupero lombardo era già bene avanzato, in chiave foppesca prevalentemente, con una distensione perciò degli aspri costrutti lapidei, così come del fantastico cromatismo di prima, e con l'affermazione di una gravitas strutturale tipicamente padana, lombarda. In uno spirito analogo va considerata, dello stesso periodo circa, la decorazione affrescata sui pilastri di S. Maria delle Grazie a Milano: nella serie dei beati domenicani, mentre si adegua alle esigenze del tema osservando una sobrietà cromatica per lui eccezionale, il B. attinge altresì al repertorio della tipologia devota appena instaurata dal Bergognone, ma al tempo stesso si allinea, significativamente, a certi moduli formali della scultura dei Mantegazza e dell'Amadeo. Nei "tondi" della nave centrale della stessa chiesa l'opera del B. appare confusa dall'intervento di collaboratori, fra i quali il Montorfano e forse lo stesso Zenale. Dopo il 1485, infatti, comincia la sua fortunata associazione con questo artista, e assai sporadiche diventano le opere condotte individualmente: anzi, a questo periodo, dopo gli ultimi studi, praticamente non se ne assegnano. È ora ancor più difficile seguire il percorso del pittore, dovendosi per giunta risolvere anche il problema della distinzione delle mani e dell'assegnazione delle parti.
Delle due grandi imprese - il polittico della chiesa di S. Martino a Treviglio e le Storie di s. Ambrogio per quella di S. Pietro in Gessate - fu forse compiuta prima quest'ultima, entro il 1493, anno in cui muore il protonotario apostolico e archiatra ducale Ambrogio Grifi, committente dell'opera. La decorazione della cappella costituisce il più importante ciclo della pittura lombarda dopo quello Portinari del Foppa, ed è saggio supremo di quell'illusionismo architettonico che è caratteristico della pittura parietale in Lombardia sullo scorcio del secolo.
Lesene e architravi, dipinti in prospettiva, inquadrano le composizioni figurate con intento prospettico-illusionistico, quasi a far apparire le pareti aperte verso l'esterno, verso il paesaggio e il cielo di sfondo. Non si può tacere questo carattere fondamentale - ancorché non pienamente conseguito per via di alcuni scompensi nel rapporto tra figura e architettura - anche se quasi certamente la partitura architettonica e forse tutta la concertatura dell'insieme non debbano riferirsi al B. ma allo Zenale. Al B. spetterebbe invece per lo più l'esecuzione della parte figurata, a cominciare dalle terne angeliche negli spicchi della volta; poi la figura del Giustiziato appeso alla carrucola e il S. Ambrogio a cavallo nelle lunette; quindi le "storie" ambrosiane sulla parete destra (la più leggibile), mentre sulla sinistra l'intervento dello Zenale non sembra limitato alle floride dame in primo piano, strettamente parenti a certe altre del polittico di Treviglio.
Nonostante che la rappresentazione delle "storie" stimolasse la sua acutezza espressiva e quindi la ricerca di caratterizzazione dei personaggi, è palese come il B. andasse sempre più addolcendo il suo linguaggio pur senza sacrificarne l'inconfondibile stilismo (cfr. Mazzini, 1965, pp. 474-76). Nel ben conservato polittico di Treviglio, documento fra i più alti e compiuti della civiltà artistica sforzesca di squisita tradizione lombarda, le distinzioni di mano possono meglio definirsi e sembrano ormai stabilite.
L'intervento dello Zenale dovrebbe essere circoscritto all'impianto architettonico della cornice e di tutta la figurazione, ai due pannelli di sinistra e a buona parte della Elemosina di s. Martino;mentre al B. spetterebbe tutto il resto: il pannello centrale superiore con la Vergine (a eccezione forse del Bambino), i due pannelli di destra con i SS.Giovanni Battista,Stefano e Giovanni Evangelista (sopra) e i SS. Sebastiano,Antonio e Paolo (sotto), i tre scomparti della predella con Natività,Crocefissione e Resurrezione e infine i Padri della Chiesa nei pilastrini divisori. È però evidente che "neppure l'analisi più capillare potrebbe tenere un calcolo esatto di quegli imponderabili elementi per i quali, nel caso specifico, il B. s'indugia a sciogliere la sua originaria asperità di linguaggio in modi più ariosi ed affabili (salvo che nelle storie della predella), adeguandosi per quanto possibile alla vivace, brillante cromia dello Zenale, mentre questi a sua volta s'industria di intonarsi alla maggiore finezza stilistica del compagno" (G. A. Dell'Acqua, p. 14).Fra le opere tarde può indicarsi il ciclo di affreschi di recente attribuzione (Mazzini, 1965) nell'oratorio della Maddalena a Camuzzago (Milano), con Storie della santa, alcune delle quali sembrano veri e propri ingrandimenti degli "scenarietti cubistici" delle note tavolette; il linguaggio butinoniano appare qui ulteriormente nutrito delle forme più dilatate e affabili, nonché dello Zenale, della cultura artistica cinquecentesca. In alcune parti, poi, sembra affiorare la mano di qualche collaboratore, forse del caravaggino Mojetta.
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