CAMETTI, Bernardino
Figlio di Pietro, nacque intorno al 1669 a Roma, (Pio, Mariette, vedi anche Pericoli) da famiglia originaria di Gattinara in Piemonte, località famosa nel Seicento per i suoi intagliatori in legno.
Lo studio esauriente di U. Schlegel (1963) delinea chiaramente l'evoluzione artistica del Cametti. Allievo, a Roma, dello scultore L. Ottoni, il C. frequentò il suo studio per quindici anni. Verso la fine di questo periodo, o immediatamente dopo, ebbe a disposizione uno studio nell'Accademia di Francia a Roma, fatto del tutto eccezionale per un artista italiano, che spiega, almeno in parte, la notevole influenza che ebbe sulla sua evoluzione artistica la scultura francese, e specialmente l'arte di P. E. Monnot e di Pierre Le Gros il Giovane.
La prima opera databile del C. è il grande rilievo marmoreo con la Canonizzazione di s. Ignazio per la cappella del santo nella chiesa del Gesù a Roma, iniziato nel 1695 e portato a termine tre anni dopo (Bertolotti, 1884). L'opera rivela uno stile pienamente formato, già lontano dalle forme anatomicamente studiate dell'Ottoni, e più vicino invece al pittoricismo della scultura francese contemporanea, che tendeva a subordinare le forme anatomiche a moduli luministici. Nello stesso tempo la predilezione del C. per ritmi delicati e lievemente ondeggianti dimostra, che egli stava assimilando le nuove tendenze artistiche che segnarono allora l'inizio di una fase transitoria tra Sei e Settecento.
La successiva opera del C. degna di nota, una sovrapporta marmorea per la facciata del duomo di Frascati, reca l'iscrizione "Bernardino Cametti, Rom. Fe. An. 1704". Nel corso dello stesso anno eseguì, per la chiesa di S. Rosalia a Palestrina, i due cenotafi del Cardinale Antonio Barberini e del Principe Taddeo Barberini (un modello in terracotta di quest'ultimo è conservato ora nel Museo di Roma).
Nel monumento a Gabriele Filippucci, in S. Giovanni in Laterano (generalmente datato al 1706 circa), si riuniscono le principali componenti dello stile giovanile del Cametti. Nella statua allegorica egli ritorna alle forme più piene e monumentali dell'Ottoni. L'effetto ne è però notevolmente modificato dal panneggio, che non ha riscontro nell'opera del maestro: molto più morbido, con curve assai più piccole e fitte, che danno luogo a motivi più complessi. Per il medaglione con ritratto a mezzo busto del defunto il C. adotta un'interpretazione più pittorica: qui la grazia delicata del suo stile, congiunta ad un grado estremo di raffinatezza tecnica, rivela un'influenza diretta del Le Gros.
Intorno a questi anni il C. venne nominato cavaliere: nel monumento Filippucci aggiunse infatti alla firma la qualifica "eques" che da allora in poi accompagnò sempre il suo nome. Il 22 apr. 1708 la sua crescente importanza fu riconosciuta dalla Congregazione dei virtuosi al Pantheon, che lo volle suo membro.
La fama del C. si era ormai diffusa in tutto lo Stato pontificio. Attorno al 1714 fu chiamato a Orvieto dalla Fabbrica del duomo per scolpire una cornice a un'immagine sacra nella cappella del Signorelli. Evidentemente essa piacque ai membri della Fabbrica, poiché nel giugno di quell'anno essi firmavano un contratto che impegnava il C. a eseguire due grandi statue in marmo (un S. Simone e un S. Giacomo minore), e a farne prima i modelli "di tre palmi l'una" (Fumi, 1891, doc. LXXVI, pp. 247, 342). Le statue, più grandi del naturale, con i modelli in stucco, sono ora nel Museo dell'opera del duomo.
Secondo il contratto il C. doveva eseguire le statue nel suo studio romano; come probabilmente fece anche per le grandi statue di marmo, firmate e datate 1716, di S. Luca e S. Marco, collocate ai lati del portale principale della chiesa della Madonna di S. Luca a Bologna.
Nel 1717 - o forse poco prima - il C. fu chiamato a collaborare al progetto per il grandioso sepolcro da erigere in S. Pietro in memoria di papa Gregorio XIII. Il monumento è prevalentemente opera di Camillo Rusconi; mentre è del C. il disegno del bassorilievo frontale del sarcofago rappresentante L'istituzione del calendario gregoriano. Ildocumento di pagamento (Schlegel, p. 75) attesta che per questo bassorilievo il C. eseguì almeno un disegno e vari bozzetti, oltre al modello definitivo: in questo senso anche se il monumento fu eseguito da Carlo Mellone, scultore milanese di secondo piano, egli deve esserne considerato l'autore.
Attorno alla stessa data, il C. iniziò probabilmente la Diana cacciatrice (Staatliche Museen di Berlino-Dahlem), che nel 1724 il Pio registra ancora nello studio dello scultore. La statua, di grandezza lievemente superiore al naturale, rappresenta la dea accompagnata da un cane da caccia, e poggia su un alto basamento marmoreo profusamente ornato di foglie e rami scolpiti, dalla fronte del quale emerge una maschera virile. Per questo basamento il C. si ispirò probabilmente a quello scolpito dal Théodon - ora al Louvre - che ha un analogo rivestimento. Per profusione di dettagli ed eleganza di esecuzione la Diana è forse l'opera più bella del C.: in essa si fondono il "disegno" di Roma con il "colore" dei francesi. Di essa èrimasto a Roma un modello in stucco, oggi in palazzo Boncompagni.
La bella Allegoria della carità, nella cappella del Monte di Pietà a Roma (1721-24), è opera ugualmente riuscita e appena meno complessa. Qui lo stile del C., troppo nervoso perché possa essere identificato con il rococò o con il barocchetto, unisce la nuova nota di grazia femminile introdotta dai francesi a cavallo dei secc. XVII-XVIII, con echi del movimento "staccato" della superficie che Raggi aveva sviluppato, prendendo le mosse dalle ultime opere del Bernini, una generazione prima. Secondo il Pio il C. diede il modello per il ciborio in bronzo di S. Marta, oltre a due statue in stucco (mai tradotte in marmo) per S. Pietro: S. Andrea Avellino e S. Caterina da Bologna;non si conosce l'ubicazione di queste tre opere.
Le opere più importanti lasciate dal C. a Roma nell'ultima fase della sua carriera sono due ritratti a mezzo busto di Maria Vincentina Muti e di Giovanni Muti, conservati tuttora nella loro collocazione originale, posti uno di fronte all'altro, nella cappella di famiglia a S. Marcello al Corso. Benché ritratte genuflesse su inginocchiatoi ai lati dell'altare, queste figure vestite all'ultima moda, potrebbero con altrettanta plausibilità essere affacciate a palchi dell'opera. Le iscrizioni poste sotto a ciascuno dei due busti indicano come data di collocazione quella del 1725. Allo stesso periodo si potrebbe datare la statua di S. Rasio al Pantheon.
Nel 1725 l'Accademia di S. Luca decise di erigere nella chiesa dei SS. Luca e Martina un monumento funebre a Clemente XI, affidandone l'esecuzione al C. che preparò un modello in terracotta e un disegno in scala (ora perduti): questi furono sottoposti all'approvazione del cardinale Albani ma il progetto non venne mai attuato (doc. 137, in Noehles, 1969).
Due rilievi per la basilica reale di Superga (Torino), appena compiuta, furono le commissioni più rilevanti della carriera del Cametti. Il primo rappresenta una enorme Annunciazione, alta quasi cinque metri, che l'artista firmò orgogliosamente "eques bernardinus camettus romanus oriundus a gattinaria inven. et sculp. A.D. M.DCC. XXIX". Quest'opera piacque tanto a Vittorio Amedeo II che lo nominò (18 nov. 1729) scultore regio. Essa, inoltre, fruttò al C. una seconda commissione, questa volta per un rilievo sopra l'altar maggiore commemorante la Vittoria per intervento divino di casa Savoia sulle truppe di Luigi XIV nella battaglia che ruppe l'assedio di Torino nel 1706. L'opera fu portata a termine nel 1731 come attesta un'iscrizione. Ma il C. non fu all'altezza della più impegnativa prova della sua carriera professionale. In fondo, il suo delicato stile decorativo non era in grado di misurarsi in una scena così turbolenta e di così vasta estensione. Il risultato fu vuota retorica, la composizione confusa, l'espressione non convincente.
Nel 1735, un anno prima della sua morte, il C. donò alla chiesa della Maddalena a Roma un busto ex voto di S. Camillo de Lellis, opera piuttosto arida - conservata oggi nel refettorio dell'annesso convento dei ministri degli infermi. Quest'opera (secondo una serie di sue deposizioni incluse - negli archivi dello stesso convento - tra le testimonianze per la beatificazione di Camillo de Lellis) fu dedicata dall'artista in seguito alla guarigione per intervento miracoloso del santo da una grave infezione alla gamba, che nell'anno 1730, mentre lavorava al rilievo per l'altar maggiore di Superga, aveva messo in pericolo la sua vita. Il C. morì a Roma il 3 ag. 1736.
Il C. divenne accademico di S. Luca solo nel 1719 (nell'Accademia, inv. 560, è conservato un suo ritratto all'età di cinquantasei anni), e negli anni successivi ricoprì numerose cariche, ma non fu mai principe (Archivio dell'Accademia di S. Luca, Libri dei decreti delle Congregationi, citati in Schlegel).
Fonti e Bibl.: Bibl. Apostolica Vaticana, Cod.Capponi 257: N. Pio, Le vite di pittori...,in compendio... (1724), pp. 208 s.; A. Bertolotti, Artistisubalpini in Roma nei secc. XV, XVI e XVII, Mantova 1884, pp. 208 s.; Correspondance desDirecteurs de l'Académie de France à Rome…, a cura di A. de Montaiglon, II, Paris 1888, pp. 192 s.; L. Fumi, Il Duomo di Orvieto..., Roma 1891, pp. 247, 319, 342, 343; C. Pericoli, B. C.scultore romano, in Capitolium, XXXVIII (1963), pp. 130-137 (con docc.); U. Schlegel, B. C., in Jahrbuch der Berliner Museen, V (1963), pp. 44-83, 151-200 (con docc.); Schede Vesme, I, Torino 1963, pp. 246-250 (con trascriz. del Pio e docc.); K. Noehles, La chiesa dei SS. Luca eMartina, Roma 1969, ad Indicem (con docc.); F. Titi, Nuovostudio di pittura, scoltura..., con note di F. Posterla, Roma 1708, p. 16; A. Baldeschi-G. Crescimbeni, Stato della SS. ChiesaPapale Lateranense..., Roma 1723, p. 139; O. Pancirolo - F. Posterla - G. F. Cecconi, Roma sacra e moderna..., Roma 1725, p. 609; Roma anticae moderna, Roma 1750, I, p. 540; II, pp. 264, 434; F. Titi, Descriz. delle pitture, sculture e architetture esposte al pubblico in Roma, Roma 1763, pp. 101, 178, 216, 362; G. Vasi, Itinéraire instructif... de Rome, Rome 1773, pp. 243, 428; F. Pastore, Storia della real basilica di Soperga, Torino 1821, p. 51; P. Zani, Enciclopedia... delleBelle Arti, I, 7, Parma 1821, p. 8; P. Mariette, Abecedario..., I, Paris 1853, p. 293; D. Tamalia, II Sacro Monte di Pietà di Roma, Roma 1900, p. 108; V. Moschini, Scultura barocca in Roma dopoil Bernini, in La Cultura, II (1923), p. 350; L. Bruhns, Das Motiv der ewige Anbetung in derrömischen Grabplastik..., in Römisches Jahrbuchfür Kunstgeschichte, IV (1940), pp. 408, 409, 414, 415-418; A. Riccoboni, Roma nell'arte: la scultura..., Roma 1942, pp. 278-280; P. Pecchiai, Il Gesù di Roma, Roma 1952, pp. 176, 184, 191, 265; V. Martinelli, Capolavori... del Bernini, in Studi romani, III (1955), 1, p. 49; V. Golzio, Setcento e Settec., Torino 1960, II, pp. 940, 1027, 1033, 1049; C. Pietrangeli, Novità al Museo diRoma, in Capitolium, XXXVII (1962), p. 570; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, V, p. 439.