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CAPELLA, Bernardino

di Gianni Ballistreri - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 18 (1975)
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CAPELLA (Cappella, Crucitta, Crucicchia), Bernardino (Battista, Benedetto)

Gianni Ballistreri

Nacque, probabilmente a Roma, tra il 1460 e il 1461.

L'iscrizione postagli sul sepolcro da Mario Maffei e Iacopo Sadoleto ne attesta l'età (63 anni e mezzo) e la data di morte (il 1524): il C. nacque dunque, all'incirca, tra il luglio del 1460 e quello del 1461. In quanto al luogo di nascita, ci si può basare unicamente sull'uso del C. di aggiungere al suo nome l'appellativo di "Romanus". Incerto è anche l'esatto cognome della sua famiglia, in quanto negli atti dei canonici lateranensi il C. compare anche come Crucitta o Crucicchia; sicura invece è la forma del nome, anche se in seguito alcuni eruditi lo chiamarono Battista (O. Caramella, Museum illustrium poetarum..., Venetiis 1651, p. 39) 0 Benedetto (Mandosio, Mazzuchelli). L'errore è facilmente riconducibile al Giraldi, che del nome del C. diede solo l'iniziale, in seguito malamente interpretata, e fu corretto da G. F. Lancellotti (Poesie italiane, e latine di mons. A. Colocci, Jesi 1772, p. 120, n. [e]).

Non è noto quali studi il C. abbia compiuto, né in che data abbia intrapreso la carriera ecclesiastica: la prima notizia che abbiamo a suo riguardo è quella della partecipazione, con una mediocre "orazione" in distici elegiaci, alla contemporanea celebrazione, avvenuta il 21 aprile del 1484 nella cerchia pomponiana, del natale di Roma e della laurea poetica concessa a Lorenzo Bonincontri e ad Elio Raguseo; il componimento è conservato dal codice Vat. lat. 2836 (ff. 328r-329v), immediatamente dopo un'orazione in prosa e in versi di Tamira sullo stesso argomento (ff. 326-328: cfr. C. Dionisotti, recens. ad A. Altamura, Per una biografia di P. Tamira, in Giorn. stor. della letter. ital., CXVIII [1941], p. 57), ed è stato edito da G. Tournoy-Thoen (La laurea poetica del 1484 all'Accademia romana, in Bull. de l'Inst. hist. belge de Rome, XLII [1972], pp. 232-35). Già in quella data il C. dunque doveva far parte di quella società letteraria romana, allora dominata dalla figura di Pomponio Leto, in cui più tardi ebbe una parte di qualche rilievo. Verso il 1489 il C. partecipò, con una mediocre elegia, all'In obitu Ursini Lanfredini (Londra, British Museum, cod. Add. 22.805, ff. 2v-4); il Lanfredini era morto nel novembre del 1488, e la raccolta in sua memoria fu compilata probabilmente nell'anno successivo. Il Valeriano testimonia che il C. passò nella massima indigenza la gioventù tutta finché, in età ormai avanzata, divenne canonico di S. Pietro; è tuttavia probabile che, qui come altrove, il Valeriano sia stato ingannato dalla memoria, dato che ben prima di ottenere il canonicato vaticano (1508) il C. ebbe, dal 25 luglio 1494, quello lateranense, che dovette almeno alleviarne le disagiate condizioni economiche.

Nel capitolo il C. ebbe un certo prestigio: il 7 maggio 1496 fu tra i quattro canonici incaricati di interpellare papa Alessandro VI sulla candidatura di Lelio Capodiferro che chiedeva, presentate le lettere apostoliche, di sostituire nel canonicato Battista Capodiferro suo parente; il 13 luglio dello stesso anno fu delegato, con Maurizio Iacobello, a trattare col nuovo canonico Silvestro de' Giovenali (che cumulava tale carica con quella di cameriere pontificio) sulla prebenda spettantegli; nel 1497 il capitolo lo elesse segretario.

Nel 1498 il C. si recò brevemente in Francia al seguito di Giangiordano Orsini, che vi accompagnava Cesare Borgia; in seguito a ciò il 14 dic. 1499 il capitolo lateranense decretava di considerarlo presente, ai fini economici, anche nell'anno precedente.

Dei rapporti clientelari del C. con gli Orsini, oltre alla notizia del viaggio in Francia, vi è testimonianza anche in un suo epigramma In laudem Virg.[ini] Ursini (probabilmente dedicato a Gentil Virginio, padre di Giangiordano) nel codice Vat. lat. 2836 (f. 34v)e, nello stesso codice (f. 194rv), in un epigramma In Capellam di G. B. Casali (che lo sostituì nel canonicato lateranense e che dal 1517 gli fu collega in quello vaticano) in cui il C. viene schernito come goloso parassita degli Orsini.

Nell'agosto del 1508 il C. ottenne il canonicato di S. Pietro, vacato per la morte di Ippolito Cardelli; il Valeriano ricorda che proprio appena la nuova carica veniva a risollevarlo economicamente egli iniziò ad esser tormentato da quella podagra che lo accompagnò fino alla morte. Il 2settembre di quell'anno il C. rassegnò a G. B. Casali il canonicato lateranense; il 14 ottobre restituì al capitolo di S. Giovanni vari libri, il cui elenco è interessante per cogliere i suoi interessi e la sua cultura: Giovenale, i Fasti di Ovidio, le Decretali, il Decretum di Graziano, il commento donatiano a Terenzio, Prisciano (probabilmente il "Priscianus maior", cioè l'Institutio de arte grammatica).La presenza delle due fondamentali opere di canonistica sembrerebbe provare - insieme agli incarichi ricevuti dal capitolo lateranense - che al C. non fosse estranea unaformazione giuridica.

Non è improbabile che il canonicato vaticano fosse stato concesso al C. anche in grazia della fama, ormai saldamente acquisita, di elegante oratore e di fine poeta latino; certamente egli era allora tra gli esponenti più noti di quella società letteraria e mondana che si riuniva via via nei possedimenti suburbani di A. Chigi, I. Sadoleto, A. Colocci, H. Goritz, di quell'Accademia romana insomma che prendeva anche i nomi di "colocciana" e "coriciana". F. Beroaldo il Giovane, in un suo celebre carme (Carminum... libri III… [Romae 1530], carm. I, 20) elenca il C. tra gli accademici ammiratori d'Imperia: alla giovane cortigiana il C. avrebbe donato, come strenna natalizia, dei sandali dorati; M. A. Altieri lo ricorda insieme a Giuliano Ceci, a Tamira e a un "Caspare" (forse Gaspare Manio, o il tedesco Gaspare Ursino) che insieme a lui "interessando le lor facunde et assai placide Muse, frequentavano spesso... rivi selve fiumi e lla campagna" (Li Nuptiali, a cura di E. Narducci, Roma 1873, pp. 25 s.); di lui parla, con affettuosa ironia, anche G. G. Giraldi nel primo dei suoi dialoghi De poëtis nostrorum temporum ("est et non injucundus senex B. Capella Romanus, qui, quod etiam nunc matrem habet, juvenum studiis delectatur, lasciviusculisque Epigrammatis interdum non sine gratia ludit"; ediz. a cura di K. Votke, Berlin 1894, p. 37). La notorietà del C. fu dovuta principalmente alle sue qualità oratorie; al grande successo di un suo discorso - improvvisato in due giorni e recitato l'8 giugno 1514 davanti alla corte pontificia - sulle conquiste portoghesi nell'India accenna, senza citare la fonte, A. Ferrajoli (Il Ruolo della corte di Leone X, in Archivio della R. Soc. rom. di st. patria, XXXIX [1916], p. 561 n. 1); il Valeriano lo ricorda tra i migliori oratori dell'Accademia e il Sadoleto lo cita come "latum sonantem" tra gli accademici della Roma precedente al sacco del 1527, in una nostalgica lettera scritta da Carpentras nel 1529 ad A. Colocci (Epistolarum libri XVI, Lugduni 1550, p. 245, ep. V, 18). Il nome del C. ("Capella Romanus") compare inoltre in un elenco di "Corytianae Academiae Fato functi, qui sub Leone floriuerunt", steso, probabilmente dal Giovio, nel 1548 (Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, filza 353, f. 16; pubblicato da V. Fanelli in appendice alla Vita di mons. A. Colocci di F. Ubaldini, p. 114); infatti è quasi certamente suo, e non del milanese Galeazzo Flavio Capra detto Capella, il brevissimo epigramma di un "Capella" che compare nei Coryciana (Romae 1524, c. H ij), dedicati al gruppo marmoreo, opera di Andrea Contucci detto il Sansovino, donato dal Goritz alla chiesa di S. Agostino in Roma (il Capra ha nella raccolta due epigrammi a cc. [M i rv]). Similmente, sembra da identificare col C. il "magnum... Capellam", ricordato dall'Arsilli nel De poetis urbanis (vv. 153 s. nei Coryciana citati, c. [LL iii v]; vv. 151 s., in F. Arsilli, Poesie latine, a cura di R. Francolini, I, Senigallia 1837, p. 16), e il "Capella" citato dall'Ariosto nell'Orlando Furioso (XLVI, 13).

Delle opere del C. ben poco oggi resta, e nulla in grado di giustificare una fama che probabilmente venne a premiare delle capacità più di oratore e d'improvvisatore cortigiano che di artista. Oltre all'orazione in versi, all'elegia per il Lanfredini, all'epigramma per l'Orsini e a quello nei Coryciana, del C. ci resta soltanto un'ecloga, scritta in collaborazione con Gaspare Manio e preceduta da una dedica in versi e da un'introduzione in prosa (British Museum, codice Harl. 4088, ff. 13v-19v; Perugia, Bibl. comunale Augusta, codici 178 [C 61], f. 13; 331 [F 5], ff. 5v-8v; Bibl. Apost. Vat., codice Ottob. lat. 2860, f. 186, contenente la sola dedica) che provano i rapporti del C. e del Manio col cardinale di S. Giorgio, Raffaele Sansoni Riario. L'opera è difficilmente databile, per l'assenza di riferimenti cronologici e per la lunga durata del cardinalato del Sansoni (dal 1477 al 1521); nell'introduzione si ricorda come il cardinale, tramite Agostino Maffei detto Mecenate (1460-1525), avesse chiesto ai due un'ecloga per allietare la conclusione di una delle rappresentazioni che spesso si tenevano nel suo palazzo. Il C. infine fu in relazione con l'umanista Federico Flavio di Foligno, che gli indirizzò delle lettere ora giacenti nel codice F 211 della Biblioteca comunale di Foligno.

Mori a Roma nel 1524 e fu sepolto nella cappella di S. Stefano della chiesa di S. Stefano Rotondo, in un sarcofago su cui è raffigurato in abiti canonicali; un cartiglio vi ricorda, assieme alle lodi del defunto, che la tomba gli fu eretta dagli amici Mario Maffei e Iacopo Sadoleto, da lui scelti come curatori testamentari. L'attestazione epigrafica (vix. an LXII men. VI / obiit an. sal mdxxiiil) sembra inoppugnabilmente confutare l'affermazione del Valeriano, secondo cui il C. sarebbe morto poco prima del sacco di Roma del 1527, "aliquot ante mensibus morte praeventus".

Fonti e Bibl.: Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 8037, I: P. L.Galletti, Lateranenses Canonici, ff. 33 s., 39 s., 75 s.; G. P.Valeriano, De litteratorum infelicitate libri duo, a cura di D.Egerton Brydges, Genevae 1821, p. 70; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d'altri edifici di Roma..., VIII, Roma 1876, p. 209 n. 542; Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 9265: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, c. 139v; P.Mandosio, Bibliotheca romana, II, Roma 1692, p. 125; E. Percopo, Di A. Lelio romano, in Giorn. stor. della letter. ital., XXVIII (1896), pp. 66 s.; G. A. Cesareo, Pasquino e pasquinate nella Roma di Leone X, Roma 1938, pp. 54, 247; R. Weiss, In obitu Ursini Lanfredini..., in Italia medievale e umanistica, II (1959), pp. 360-362; F. Ubaldini, Vita di mons. A. Colocci, a cura di V. Fanelli, Città del Vaticano 1969, pp. 68 n. 111, 114; Dizionario biografico degli Italiani, XII, p. 209 (per la datazione dell'orazione in versi).

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