CARNIGLIA, Bernardino
Nacque nel 1523 a Tortona, dove compì i primi studi. Vestì assai giovane l'abito clericale a Milano, dove si fece notare per l'attivismo e la severità dei costumi dal card. Carlo Borromeo, che lo introdusse nella Curia romana, affiancandolo agli altri suoi agenti, mons. Ormaneto, mons. Speciano e mons. Bonomi.
Molte sono le lettere che ci sono rimaste indirizzate dal Borromeo al C., mentre poche sono quelle rintracciate del C. al Borromeo. Quanto il Borromeo apprezzasse il C. è dimostrato dal fatto che a lui affidò la pratica riguardante il principato d'Oria, da lui ereditato nel 1562. Le lungaggini frapposte dalla diplomazia spagnola impedivano al Borromeo di entrare in possesso di tale eredità, per cui inviò nello stesso 1562 il C. presso Filippo II per cercare di sbloccare la situazione. Nulla sappiamo circa l'esito della missione del C.; il cardinale poté comunque prendere possesso del principato nel 1565.
Il C. compare per la prima volta in un documento romano collocabile tra il 1560 e il 1565, un elenco di confratelli e consorelle della Compagnia della Grazia, opera volta alla redenzione delle convertite del monastero di S. Marta. Dal novembre 1566 al maggio 1572, due fatti rivestiranno grande importanza nel campo della riforma operata da Pio V: la nomina della nuova commissione di visitatori delle parrocchie, scelti nel 1569 fra i sacerdoti dell'Oratorio di Filippo Neri e la creazione di una speciale carica di riformatore con compiti assai ampi anche se non ben definiti. Tale carica fu ricoperta prima da Nicolò Ormaneto e dal 1570, quando l'Ormaneto fu creato vescovo di Padova, dal C., giudicato dai romani assai più severo e austero.
Il 4 maggio 1569 il card. vicario Savelli lo chiamò a far parte del gruppo di 12 persone formanti la nuova deputazione di visitatori delle chiese ed opere pie della città.
In questo gruppo solo il C. non proveniva da S. Girolamo della Carità e quindi siamo indotti a pensare che Filippo Neri avesse attratto anche lui fra i suoi uditori, anche perché in seguito il C. stesso ci farà sapere che da qualche anno frequentava i padri dell'Oratorio.
Il C. assolse egregiamente i suoi compiti in seno alla deputazione finché nell'agosto 1570 fu chiamato a sostituire l'Ormaneto. L'avviso che comunica il nuovo ufficio del C. lo indica come agente del Borromeo; la fama della sua rigidezza e austerità si era già sparsa per Roma.
In realtà la presenza del C. alla corte papale impresse un indirizzo più severo, talvolta anche fanatico, all'opera di riforma; il C. è convinto che per ottenere dei risultati è necessaria la mano di ferro e ben presto il suo atteggiamento pessimista nei confronti dell'umanità gli suscita contro l'opinione pubblica. Uno dei primi provvedimenti presi dal C. riguardava le affittacamere, cui proibì tale mestiere se di età inferiore ai 50 anni, anche se sposate; già nel settembre, 20 furono incriminate per vita disonesta. La preoccupazione e il risentimento per l'eccessiva severità del C. investe la Curia: "Questo novo riformatore - scrive l'estensore degli avvisi in data 30 sett. 1570 - per mostrare che ancor lui è al mondo, dice che l'Ormaneto è stato troppo piacevole et che egli ritrovarebbe un modo col quale la corte si riformarebbe…". Bisogna però tener presente che la corte papale necessitava senz'altro della riforma e che l'incarico tenuto dal C. portava inevitabilmente a suscitare odi e rancori. Questi si concretizzarono ai primi di novembre in accuse indirizzate al papa: tra l'altro, il C. fu imputato di simonia. Imperturbabile, il riformatore continuava la sua opera. L'avviso del 19 dicembre riporta il seguente ordine: "ch'in nessun monastero le monache possono tenere, ne cani, ne gatti, ne palombi maschi, ne galli, acciò non incitino lussuria alle castità loro" e un altro avviso dello stesso giorno aggiunge "le donne di partito hanno commissioni di non tener più né servi né servitori, et il simile li monasterii di donne non potranno tenere più li cagnoli maschi". Il C. aveva a tal punto sparso il terrore nei monasteri di Roma che pare che alcune monache si fossero avvelenate alla notizia di una prossima visita del C. al loro convento.
Nonostante l'evidente fanatismo del C., Pio V gli conservava la sua fiducia, e il 1571 fu per lui un anno di intenso lavoro, svolto molto spesso direttamente al fianco del papa. All'inizio di gennaio egli discuteva col pontefice certe disposizioni relative alla condotta dei preti ed anche dei cardinali, alla loro residenza e benefici. L'avviso del 24 marzo dice: "Il Carniglia ha tirate fuori alcune bolle, et tuttavia, se prepara la stampa per nuove riforme, acciò ch'il mondo non possi respirar". Nel dicembre di quell'anno si recò presso tutti i cardinali e i prelati per ricordare loro che dovevano mandare alla rispettiva residenza tutti i loro "famigliari" in possesso di canonicati, e faceva prendere nota di tutti i sacerdoti beneficiati residenti in Roma per rimandarli alle loro sedi.
Nel corso del '71 il C. entrò a far parte, in qualità di segretario, della speciale congregazione cardinalizia incaricata della direzione delle visite apostoliche nello Stato della Chiesa: ne facevano parte i cardinali di S. Severina, Montalto e Piacenza con il compito di rivedere le relazioni dei singoli visitatori inviati nelle varie diocesi per sollecitare l'applicazione del dettato tridentino. Il compito del C. era quello di mantenere la corrispondenza con i visitatori e comunicare le decisioni dei cardinali.
Nel maggio '72 fu nominato esecutore della commissione formata dai quattro cardinali Borromeo, Paleotti, Burali e Aldobrandini, creata per lo studio e la attuazione delle riforme.
La morte di Pio V, sopravvenuta il 1º maggio 1572, privò il C. del suo maggior estimatore e sostenitore. Molti sperarono che il nuovo papa Gregorio XIII avrebbe rinviato a Milano il Carniglia. In effetti nei primi mesi del nuovo pontificato il C. fu in parte emarginato, non abitava più "in Palazo" e non lavorò più per la riforma; unico conforto era la presenza a Roma del Borromeo, che tuttavia era in procinto di tornare a Milano.
Una lettera che il C. scrisse intorno alla metà di ottobre a mons. Ormaneto, ora nunzio a Madrid, esprime l'amarezza e il rimpianto nel vedersi estraniato dal suo ufficio, la cui importanza e necessità egli rivendica: "La congregazione nostra di la riforma è disciolta… A me non si domanda di cosa alcuna, sono mal veduto da tutti et in odio a tutta la corte ma non già al papa", presso il quale però non riesce ad avere un'udienza; "s'io sapessi et potessi piangere et suspirare, lo doverei fare, et questo mi resta da fare. … Lei sa quanto puoco mi convenga andare per quel Palazzo non chiamato, et sa ancora quanta resistenza ho avuto di doverci dare quando fui chiamato, di modo che io non vi andarò se non sarò dimandato…".
Nel suo primo concistoro però Gregorio XIII dichiarò la sua volontà di proseguire nell'opera di riforma intrapresa dal suo predecessore. Certamente su consiglio del Borromeo, a un mese di distanza dalla lettera all'Ormaneto, Gregorio XIII concesse finalmente udienza al C. e lo riconfermò negli incarichi.
Il C. ben sapeva le difficoltà cui sarebbe andato incontro nello svolgimento della sua opera. Assai presto contro di lui si sollevò la malevolenza dei cortigiani, di cui è esempio quanto riferito nell'avviso del 10 genn. 1573, in cui si narra che, essendo stato il C. ricevuto in udienza da Gregorio XIII, gli aveva espresso il suo disappunto per le grandi spese fatte a corte durante le feste natalizie per la dispensa e la cantina pontificie. Il papa mandò a chiamare il maestro di casa "il quale rispose, che si spendeva meno che non si faceva al tempo di Pio V, et che a giudizio suo, non ci era da riformare se non quella spesa, che si dava a mons. Carniglia, al quale si dava parte per 4 servitori, 2 galine, et spese per una cavalcatura… Onde S. S.tà ordinò che si gli levasse la parte della mula, et le galine, et la parte di 2 Servitori si che a questa volta il riformato è stato mons. Carniglia".
Nel 1574 il C. fece parte della Congregazione della Riforma, in cui poté applicare nuovamente tutto il suo fanatico zelo, e nell'aprile 1574 fu creato protonotario apostolico; non bisogna però dimenticare che sotto il pontificato di Gregorio XIII l'opera riformatrice si era svuotata di buona parte del contenuto avuto ai tempi di Pio V, e da opera di singole personalità era divenuta compito d'ufficio del vicariato; per cui il C. divenne il riformatore quasi esclusivamente della corte e non più dell'intera città.
A partire dal 1575 il C. non viene più citato nei documenti; si mantiene però sempre in contatto epistolare col Borromeo che, per il suo tramite, consiglia a Gregorio XIII la proclamazione di un giubileo in ringraziamento per la vittoria di Lepanto, in occasione del quale si sarebbe dovuto assegnare un albergo per i poveri.
Il C. frequentò maggiormente i padri di S. Girolamo, ossia il gruppo di preti raccolti intorno a s. Filippo Neri, che vivevano un ideale di apostolato e di riforma spontanea al di fuori della struttura diocesana. L'ultimo incarico avuto dal pontefice fu nel giugno 1575 la direzione dell'ospedale di S. Spirito, rimasta vacante per la morte di mons. Cirillo; meno di un mese dopo lasciò l'ufficio al nuovo titolare.
Morì a Roma il 21 sett. 1576; al suo posto nell'ufficio di riformatore subentrò mons. Speciano; ormai tale carica era del tutto svuotata di significato al punto che l'8 ottobre venne soppressa. Il lavoro di riforma passò alla "congregatione ordinaria che si fa in casa di Savello".
Fonti e Bibl.: Numerosi sono i documenti conservati nella Bibl. Ap. Vat. e nell'Arch. Segr. Vat. riguardanti il C.; essi sono pubblicati da A. Monticone, Ilperiodo della riforma, in Riv. di storia della Chiesa, IX(1954), pp. 35 ss.; cfr. inoltre Bibl. Ap. Vat., Vat. lat.6379, cc. 44-45v; Relaz. degli ambasc. veneti al Senato, a cura di E. Alberi, s. 2, IV, Firenze 1846, p. 215; Diario concistoriale di G. A. Santori, card. di S. Severina, a cura di P. Tacchi Venturi, in Studi e docum. di storia e diritto, XXIV(1903), p. 112; G. Bascapè, Della vita et fatti di s. Carlo…, Bologna 1614, pp. 202, 235; G. P. Giussiano-B. Oltrocchi, De vita et rebus gestis S. Caroli Borromei, Mediolani 1751, p. 220; L. Ranke, The history of the popes, I, London 1847, p. 320; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d'altri edifici di Roma, XIII, Roma 1879, p. 355; G. Gugnoni, Autobiografia di mons. G. A. Santori, Roma 1890, p. 38; Y. Šusta, Die römische Curie und das Concil vonTrient…, I, Wien 1904, ad Indicem;P.Paschini, Il primo soggiorno di s. Carlo Borromeo a Roma,1560-1565, Torino 1935, pp. 50; L. von Pastor, St. dei papi, VIII-IX, Roma 1951-55, ad Ind.; A. Deroo, Saint Charles Borromée, Paris 1963, pp. 281, 286.