CONTI, Bernardino
Figlio di Nicolò e Margherita Lisca, nacque a Padova tra il 1440 e il 1450, terzo di cinque fratelli (Naimiero, Antonio, Ludovico e Francesco), in una delle più antiche e illustri famiglie della città.
Discendenti, secondo una tradizione, dai Candiano, che dettero dogi a Venezia, i Conti erano giunti nel sec. XII a Padova collocandosi subito fra le famiglie più prestigiose. Fra i molti che illustrarono la famiglia nel corso dei Medioevo, si ricordano Naimiero, investito dei feudo di Conselve, al quale nel 1388 Francesco da Carrara il Giovane affidò la procura generale di tutti i propri beni; Antonio, figlio di Naimiero. Questi si distinse nella lotta contro i Veneziani alla difesa del castello di Monselice; alla sua morte, il figlio Antonio ereditò una vasta serie di beni feudali, che vincolò poi con strettissimo fidecommisso, nel testamento probabilmente del 1420, al figlio Nicolò, natogli dalle nozze con Taddea Zabarella. Nicolò è ricordato come autore di un trattato di astrologia.
Insieme con Naimiero e Antonio, anche il C., come già maggiorenne, chiese, il 21 ott. 1469, al vescovo di Padova, l'investitura dei feudi decimali già posseduti dal padre, morto nel 1468. Lattenzione patrimoniale (in particolare verso i feudi sia d'origine imperiale sia ecclesiastica) appare costante nella vita del C. che, dopo la morte dei fratelli maggiori, si dovette trovare dal 1500 (il fratello Naimiero è ancora vivo nel 1499) a capo della farniglia. Un'analisi minuta delle vicissitudini patrimoniali del C., e del gruppo familiare, potrebbe lumeggiare, nella loro complessità, le motivazioni dell'atteggiamento politico durante la crisi della lega di Cambrai.
Assunta nel 1502, insieme Con il fratello Ludovico e il nipote Nicolò, figlio di Naimicro l'eredità dei feudi vescovili di Proadocimo, ultimo rappresentante legittimo di un altro ramo dei Conti, il C. fu protagonista di una lite con Artuso e Angelo, figli naturali di Proadocimo. La causa si concluse nel 1507 con un compromesso, per cui i feudi rimasero al C. e ai suoi fratelli. Il 10 febbr. 1508, tuttavia, in contrasto con la rigida linea di mantenimento nella casata legittima del patrimonio, il C. e il fratello Ludovico cedettero, per 2.500 ducati d'oro, i diritti feudali contestati ad Arruso e Angelo, al patrizio veneziano Alvise Pisani dal Banco. Già nel 1504 e nel 1506 il C. aveva venduto una parte delle decime ereditate dal padre a un'altra famiglia patrizia veneziana, i Malipiero, per un valore di i.gio ducati. Pure la famiglia Conti è, dunque, coinvolta nelle massicce vendite di possedimenti fondiari ai patrizi veneziani che raggiunsero la massima intensità proprio negli ultimi anni del sec. XV e nei prinu del XVI, e che furono, con il conseguente impoverimento patrimoniale delle "grandi" compagini familiari, considerate una delle cause dell'esplosione d'odio antiveneziano nel corso dell'anno 1509. Il C. visse l'acutizzarsi della tensione con Venezia (peraltro ben dissimulata sino allo scoppio della guerra), direttamente dai banchi di quel Consiglio della città, cui, in alternanza con i fratelli, fu chiamato a partecipare.
Il fratello maggiore Naimiero fu eletto consigliere per il duomo nell'"additio" del 1473, nel 1475 e nel 1489, oratore a Venezia nel 1489, conservatore del Monte di pietà nel 1496, deputato "ad utilia et ecclesias" nel 1498. Questi e il figlio Nicolò sono gli credi, oltre che del titolo di conte palatino, dei pnvilegio imperiale attribuito alla famiglia di creare "notarios publicos scu. tabelliones et iudices ordinarios" (Museo Correr, Mss. P. D. 299, cc. 137r, 140). Inoltre, hanno il privilegio di addottorare iniure canonico et civili.
Il C. iniziò le sue presenze in Consiglio nel 1483: in quell'anno compare come consigliere del duomo nell'"additio"; ha la stessa carica nel 1485, 1487, 1496, 1500. Del 1487 è la sua prima elezione importante: è sorteggiato per la vicaria di Mirano. Il 30 dicembre dello stesso anno ottiene dal Consiglio che il suo turno sia anticipato e di poter perciò recarsi a Mirano ad espletare il suo mandato nel 1488 al posto di Pietro Zorzi, "ultimo de l'imbussolada vechia" (Attidel Consiglio, vol. 10, c. 144v). Èeletto più volte fra gli Otto "deputati ad utilia et ecclesias", nel 1495, 1497, 1499 (Come "substitutus") e nel 1506. Fra gli "atti" proposti in tale veste sono particolarmente interessanti quelli che riguardano l'edilizia sacra della città, come la decorazione della cappella di S. Antonio (2 marzo 1497: proposta insieme ad Alessandro de' Dottori) e la copertura della chiesa dei carmelitani (15 giugno 1499).
Pure in tale attenzione verso le chiese padovane il C. continua una tradizione della famiglia, la cui storia nel Medioevo s'intreccia con il culto di s. Antonio e la fondazione della basilica a lui dedicata: proprio due dei Conti, Schinella e Uberto, erano andati nel 1227 a Roma come oratori al papa per proporre l'elevazione a santo dei beato Antonio. La famiglia aveva avuto poi il privilegio di scolpire le sue armi in una cappella della basilica (quella già dedicata al beato Luca Belludi) e soprattutto di seppellirvi i suoi discendenti.
Nel 1498 il C. fu inviato, insieme a numerosi altri, come oratore a Verona per dirimere l'annosa questione delle "fosse veronesi", uno di quei problemi d'irrigazione del territorio padovano che nei primi anni del '500 provocavano il risentimento di Padova verso Venezia. Nel 1501 il C. si recò a Venezia con Alberto Trapolin, per trattare un altro punto assai male accettato dal gruppo dirigente padovano nei rapporti conla Serenissima: la questione dei benefici ecclesiastici che Venezia assegnava a propri patrizi con danno e naturale ranunarico della nobiltà padovana che se li era attribuiti per secoli. Destinato anche a delicate mansioni interne, il 1° sett. 1496 fu fra i "quattuor notabiles cives pratici" (Atti del Consiglio, vol. 11, c. 167v) nella commissione per il completamento della riforma degli statuti padovani. Il 17 genn. 1501 il C. fu prescelto ancora con Alberto Trapolin per calcolare l'ammontare della cifra che i Padovani dovevano pagare a Venezia, impegnata nella guerra contro il Turco. Nel 1502 fu eletto conservatore del Mqnte di pietà. La crisi di Cambrai vede i Conti, come tutte le principali famiglie padovane, compatti nell'ostilità alla Repubblica e nella lealtà all'imperatore. In questa compattezza, l'atteggiamento del C. non ha un risalto particolare. La sua ostilità a Venezia dovette, però, essere evidente: quando Padova ricade in mano ai Veneziani, la "vendetta" si abbatte pure su di lui. Nel sacco del 17 luglio 1509 la sua casa, l'avita dimora dei Conti in S. Colonna, è vuotata di qualsiasi ricchezza e la famiglia del C. si disperde e fugge.
Abbiamo contrastanti testimonianze sul destino del C. dopo il 17 luglio. In un primo Momento (22 luglio) il Sanuto lo pone (probabilmente confondendolo col fratello Ludovico) prigioniero a Venezia, ma subito dopo si corregge e il C. figura sempre nelle "grida" riportate, che si ripetono per tutto l'agosto, in cui il governo veneziano intima ai ribelli padovani di presentarsi alla giustizia. In realtà, egli dovette allontanarsi da Padova al momento della carcerazione del fratello Ludovico, o almeno subito dopo. Mentre i figli Antonio e Bonifacio si fermarono in un primo tempo nei pressi della città al seguito del condottiero "Zuanpiero Angusuola detto Brazoduro" (la notizia riportata dal Sanuto in data 31 agosto della prigionia di Antonio a Venezia deve considerarsi errata), il C. dovette raggiungere il campo dell'imperatore che poi seguì a Trento, ove lo raggiunsero i figli. Il suo nome figura, per un contributo mensile di 20 fiorini, fra quelli dei fuorusciti raccoltisi attorno a Massimiliano, e da lui sussidiati. Non appare, invece, fra quelli cui, dopo i primi accordi con l'imperatore nel 1517, la Serenissima attribuisce un assegno di risarcimento per i beni confiscati, benché anche i suoi possedimenti fossero stati colpiti, nel 1509, da confisca. Il C. si sarebbe ben presto recato nel Regno di Napoli, ove "hebbe... diversi honorati ufficij di maneggi di Giustitia" (Salici, p. 186), e sarebbe morto nella città dell'Aquila, ove sarebbe stato chiamato come podestà. Ma allo stadio attuale della ricerca, il soggiorno e le cariche del C. nel Regno non sono documentabili.
Il C. aveva avuto numerosi figli dalla moglie Marietta Zuccolo: tre femmine che nel 1509 dovevano già essere sposate (Ippolita con Paolo Bonfio; Gerolama con Paolo Leone di potente famiglia ferrarese; Livia con un non meglio identificato Nicelli di Padova) e tre maschi. Questi ultimi, Antonio, Angelo (frate) e Bonifacio, furono tutti considerati ribelli dalla Repubblica.
Tra i figli del C., poco si sa di frate Angelo, anche lui considerato dalla Repubblica "fuorussito... vagabundo et di cativa fama" (Capi del Consiglio dei dieci. Lettore, filza 13, lettera 178, del 30 giugno 1511), tranne che dovette, finita la tempesta politica, riprendere la vita conventuale.
Bonifacio, fu per molti anni profugo a Trento e tornò in patria solo dopo il 1525.
Antonio, invece, non perse i legami con la Repubblica; nel 1519, anzi, cercò di recarsi a Venezia, forse per definire il risarcimento dei beni confiscati. Tuttavia, già dagli anni 1514-15 compì numerose peregrinazioni al seguito, e per ordine, dell'imperatore: di lui ci resta un Viaggio per diverse Parti di Europa del 1514-15 in compagnia di Girolamo Trissino. Guadagnatosi la fiducia di Massimiliano e poi di Carlo V, assolse incarichi diplomatici importanti fra cui, nel 1521 un'ambasceria con la più ampia procura imperiale in Moscovia, di cui resta traccia nei documenti padovani. Sarebbe morto poco dopo, a soli quarantadue anni, a Valladolid.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Padova, Archivio civico antico, Atti del Consiglio, vol. 8, cc. 134r, 150r, 232r, 250v; vol. 9, cc. 343v, 345v, 424r; vol. 10, cc. 75v, 77r, 144v, 203r, 209r, 230v; vol. 11, cc. 49r, 103v, 116v, 118r, 151v, 167v, 180v, 188v, 191v, 192v, 193v, 241r, 255r, 264r, 265r, 275r, 278r, 279r, 291v, 297v, 305v, 313v; vol. 12, cc. 50r, 194r; Estimo 1418, vol. 77, pol. 27, 28, 33; Prove di nobiltà, vol. 34, cc. n. n.; Vicarie, b. 9 (Vicari e cancellieri), cc. n. n.; Arch. di Stato di Venezia, Capi del Consiglio dei dieci. Lettere, filza 12, lettere 71, 152; filza 13, lettera 178; filza 15, lettera 518; Padova, Bibl. del Museo civico, Mss. B. p. 575: Memorie sopra... Conti, p. 75 e passim; D. P. 1809 XV: Copia autentica del diploma rilasciato da Federico III (IV) a Nicola Manfredo Bonifacio dei Conti di Padova col quale li investe de'feudi che anticamente tenevano dall'Impero, e concede loro di inquartare nello stemma l'aauila imperiale; B. P. 1422 II: A. Fassini, Geneal. della grandi fam. Conti e suo diramazioni;Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Mss. P. D. 299 c, passim e, in particolare, cc. 5, 20, 87, 109, 134-38, 140 ss., 155-70, 173, 192, 196, 203-06, 249 (alberi genealogici a stampa e cc. n. n.); Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 313 (= 8646): Copia di una antiqua Cronica de Venetia conduta de verbo ad verbum (a c. 229r si afferma erroneamente che il C. fu giustiziato dalla Repubblica; si trattò invece del fratello Ludovico); M. Sanuto, Diarii, III, Venezia 1880, col. 1572; VIII, ibid. 1882, coll. 523, 543, 550; IX, ibid. 1883, coll. 16, 116; XVIII, ibid. 1890, coll. 117 s.; La obsidione di Padua del 1509..., a cura di A. Medin, Bologna 1992, p. 119; G. A. Salici, Historia della famiglia Conti di Padova, di Vicenza et delle discendenti... Raccolta da diversi scrittori antichi e moderni. Vicenza 1605, pp. 167 s., 170-76, 182-88 e passim;A. Bonardi, I padovani ribelli alla Repubblica di Venezia (a. 1509-1530). Studio stor. con appendici di docum. ined., Venezia 1902, pp. 303-612 passim (inparticolare pp. 429, 448, 467, 480, 485, 494, 578, 580, 583, 596 s., 605 s., 609); A. Ventura, Nobiltà e popolo nella società veneta dei '400 e '500, Bari 1964, pp. 59, 65.