BERNARDINO da Siena, santo
Nacque l'8 sett. 1380 a Massa Marittima da Tollo di Dino di Bando, della nobile famiglia senese degli Albizzeschi (sui quali cfr. A. Liberati, Genealogia della famiglia Albizzeschi, in Bollett. senese di storia patria, n.s., VII [1936], pp. 183-200), e da Nera di Bindo, della famiglia, anch'essa nobile, degli Avveduti di Massa Marittima (su di lei e sul suo matrimonio con Tollo, cfr. E. Bulletti, I genitori di s. Bernardino da Siena, in Studi francescani, s. 3, XXI [1949], pp. 131-133).
B. perse assai presto i genitori, che morirono, il padre a trentanove anni, e la madre a ventidue. Rimasto solo a sei anni venne accolto nella casa della zia Diana, sempre a Massa Marittima, dalla quale venne allevato con ogni affetto.
Queste indicazioni, che risultano dalle sicure testimonianze degli atti del processo di canonizzazione (Piana), permettono di eliminare tutta una serie di false notizie, da varie origini e per vari motivi incrostatesi intorno alla biografia bernardiniana. Così è leggenda la notizia, originata dal desiderio di render più prodigiosa la nascita del santo, secondo cui i genitori avrebbero atteso anni un figlio, venuto poi, e maschio, per le loro fervide preghiere; è falsa l'indicazione, che è pur data dalla Vita anonyma I della sua nascita a Siena; inesatte sono infine le varie date per la morte di Tollo e di Nera, come la circostanza, riferita da s. Antonino di Firenze nel suo Chronicon, che la madre sarebbe morta nel darlo alla luce.
Con la zia rimase fino al 1391, cominciando la sua istruzione a Massa, donde passò a Siena, accolto nella casa di suo zio Cristoforo degli Albizzeschi, che, senza figli, lo allevò come fosse suo, mandandolo per due anni alla scuola di Maestro Martino di Ferro, notaio di Casole, e poi a quella dei maestri Onofrio di Loro e Giovanni di Spoleto, ove apprese le arti dei trivio; frequentò poi l'università seguendo corsi di diritto canonico per tre anni; ma non conseguì nessun dottorato, come ci assicura una precisa testimonianza di Giovanni da Capestrano.
In questi anni, in cui fu confortato anche dall'affetto di una vecchia zia, Bartolomea del Tuliardo, ricordata teneramente poi nelle sue prediche, si ritira, per attendere meglio agli studi, in una casa presso Porta a Tufi.
Alcuni indizi già consentono di cogliere il lievitare della vocazione religiosa di B.: anche a non volere dare gran peso alle testimonianze del processo di canonizzazione che, concordi, ci parlano d'un ragazzo e poi d'un giovane da tutti ammirato e rispettato per decoro e serietà di vita, è però senza dubbio significativo il fatto che egli si iscrivesse alla Compagnia dei battuti della B. Vergine presso l'ospedale della Madonna della Scala in Siena, di cui risulta consigliere per i mesi di dicembre 1400 e gennaio-febbraio 1401, e che, nella pestilenza del 1400, con altri dodici compagni, curasse per quattro mesi gli infermi, nonostante l'infuriare dell'epidemia.
Sempre sulla base delle testimonianze del processo di canonìzzazione si deve respingere la tradizione secondo la quale egli avrebbe fatto voto di servire per sei mesi gli ammalati dell'ospedale della Scala, se fosse uscito vivo dalla pestilenza. è opportuno, per attestare il coraggio di B., riportare quanto disse in proposito Bartolomeo dei Benvoglienti: "Interrogatus si aliqui supervivunt qui eum viderunt in dicto hospitali servientem, dixit quod, ut credit, adhuc, vivunt 500 vivi, qui eum viderunt in dicto exercitio" (Piana).
Tra il 1400 e il 1402 va collocato anche l'esperimento di vita eremitica, che ricordò poi, proprio in una sua predica senese, in termini tra l'ironico ed il grottesco, ma che, pur nell'improvvisazione dettata dall'entusiasmo giovanile, denota la conclusione della sua crisi spirituale, maturata anche per la morte della zia Bartolomea.
A ventidue anni, l'8 sett. 1402, entrò nell'Ordine dei frati minori, ricevendo l'abito da fra' Giovanni Ristori che lo conosceva e lo apprezzava da tempo. è poi caratteristico delle intenzioni di B., che, sia pure per consiglio dello stesso fra' Giovanni, poco dopo aderisse all'Osservanza: non essendovene però in Siena nessun convento, si trasferi al monastero del Colombaio sull'Amiata, praticando una vita di durissimo ascetismo.
Iniziato verso il 1368 per opera di Paolo Trinci da Foligno, il movimento dell'Osservanza, senza dichiarazioni ed affermazioni di principio, si proponeva nell'ambito del franceicanesimo, tutto conventuale dopo la condanna degli spirituali e la ribellione dei fraticelli, di osservare la regola francescana in tutto il suo rigore, specialmente per quello che riguardava la povertà, interpretando nella maniera più stretta le varie norme pontificie in proposito e mostrando, in più, una decisa propensione alla vita eremitica. Il resto dell'Ordine vide, almeno all'inizio, con una qualche benevolenza il formarsi di questa corrente al suo interno, che rientrava, del resto, sia pure come eccezione, nello spirito originario di s. Francesco. In particolare il convento del Colombaio, il terzo istituto in Toscana dell'Osservanza, fu destinato oltre che ai frati più devoti anche alla preparazione di novizi.
In quel monastero, l'8 sett. 1403, B. faceva la sua professione religiosa, e l'annosuccessivo nello stesso giorno celebrava la sua prima messa. Restò poi nel monastero fino al 1405, approfondendo gli studi teologici e preparandosi all'attività pastorale ed alla predicazione. Anche se prima dell'ingresso nell'Ordine B. aveva avuto uno spirito fervidamente pio, la sua base culturale, che comprendeva larghi studi di diritto canonico, erastata, in sostanza, quella di un laico. Al Colombaio invece il santo dovette iniziare quella organica preparazione ad un'approfondita e consapevole vita francescana che è la premessa di tutta la sua attività di predicatore e di uomo di Chiesa.
Non possiamo, ovviamente, pensare come conclusa in questi pochissimi tutta la vastissima esperienza di cultura di B. che va, come si ricava dalle sue opere, dai Padri della Chiesa, come s. Agostino e s. Gregorio Magno, fino a scrittori ecclesiastici del suo secolo, come Mattia di Svezia; ma certamente negli anni di vita al Colombaio egli dovette iniziare quella sistematica lettura dei più grandi maestri francescani, di cui ci resta precisa ed eloquente testimonianza nelle ampie scelte di passi, su cui ha attirato anni fa l'attenzione degli studiosi il p. Dionisio Pacetti. Non meraviglia, nel quadro della storia del francescanesimo alla fine del Trecento, ed in particolare, della spiritualità dell'Osservanza, l'attenzione che già da allora B. rivolgeva alle opere di scrittori e pensatori che, almeno ufficialmente, erano al bando o malvisti, come lacopone da Todi, Ubertino da Casale e, specialmente, Pietro di Giovanni Olivi. Di quest'ultimo in particolare, come dovremo precisare più oltre, B. ebbe una conoscenza vasta e profonda, quale può acquistarsi in anni ed anni di studio, pur con un'attenzione rivolta più agli aspetti teologici, ascetici e mistici del maestro provenzale che non a quelli escatologici e profetici. In questa attenzione devota agli scrittori della parte "spirituale" B. si uniformava ai maestri dell'Osservanza ed alla consuetudine di S. Croce di Firenze, che dell'Olivi conservò a lungo il ricordo in devota fedeltà, come B. ben sapeva, essendosi rivolto più volte alla biblioteca di quel convento, per studiarvi o riceverne in prestito delle opere.
è certo segno di molta fiducia e stima dei superiori il fatto che intorno al 1405, a venticinque anni, B. abbia iniziato la sua predicazione parlando la prima volta a Seggiano, presso il suo convento, e poi all'Alberino, nelle immediate vicinanze di Siena, una località particolarmente significativa per i francescani del luogo, prendendo il nome appunto da un leccio, piantatovi, secondo la tradizione, dallo stesso s. Francesco. Un'altra predica, sempre nello stesso anno, sarebbe stata tenuta addirittura a Venezia, se non si tratta solo d'un falso ricordo di Simone Petrangeli di Benassai testimone al processo di canonizzazione.
La sua predicazione sembra infatti, agli inizi, limitata al territorio senese e piuttosto saltuaria: tenne infatti una terza predica a Siena il 12 giugno 1406, facendo il panegirico di s. Onofrio.
Sembra perciò improbabile l'incontro tra B. e s. Vincenzo Ferrer, che si sarebbe avuto ad Alessandria nel 1407: non ne parla mai lo stesso B. né vi alludono i testimoni del processo di canonizzazione né i biografi. Il primo a parlarne è, nel 1455, p. Ranzano, un domenicano, che ha voluto con tutta probabilità sottolineare, con l'omaggio di B., l'importanza e, forse, la preminenza dell'altro grande predicatore, domenicano. Ancor più improbabile è poi che l'incontro sia avvenuto prima dell'ingresso di B. in religione (cfr. in proposito V. Facchinetti, S. Bernardino da Siena mistico sole…, pp. 52 ss.).
Indicazione non meno significativa della fiducia dei superiori è il permesso accordatogli appunto in questi anni, fra il 1404 ed il 1406, di costruire ed abitare con pochi confratelli un "pauperculum nidulum", il convento di Capriola, posto tra l'Amiata e Siena, dono dei rettori dell'ospedale di Siena dietro consegna d'un cero pesante una libra ogni anno, e di cui fu guardiano.
Dopo una permanenza, di cui non sappiamo la durata, al convento del Bosco di Mugello, nei pressi di Firenze, predicava, intorno al 1408, a Ferrara, ove i temi della sua eloquenza, come si ricava da un accenno dello stesso B., già dovettero accentrarsi su quei problemi concreti di morale sociale, che saranno caratteristici degli anni successivi.
Seguì un periodo di predicazione a Pavia, dove assistette nel 1410 al saccheggio della città da parte di Facino Cane, prodigandosi poi per alleviarne le peggiori crudeltà e violenze. A Siena, nel 1411, s'ammalò di peste, affrontando il terribile morbo con serena e tranquilla fermezza e con chiara coscienza della purezza della sua vita, come afferma, senza incertezze, una tradizione che risale concordemente alla stessa cugina Tobia, che amorevolmente e coraggiosamente lo curò in quella terribile circostanza.
Trascorse allora tre anni d'intenso raccoglimento, interrotto da un periodo, non lungo, di predicazione a Padova (1413), ove, del resto, secondo la testimonianza, non benevola, dell'agostiniano Andrea Biglia, non avrebbe ottenuto alcun successo; in realtà, però, proprio in quegli anni si andava affermando la fama di B. in seno all'Ordine, se nel 1415, alla Verna, tagliò la tunica di novizio ad un frate - sarà il fedele e devoto Giacomo della Marca che ricorda in una predica l'episodio con intensa commozione - accogliendolo poi nell'Ordine il 25 luglio alla Porziuncola.
A tale data, come sembra appunto indicare questo episodio, egli era già "vichario in Toscana de' poveri frati di santo Francesco", era cioè già a capo della Osservanza in quella regione (Pacetti, Cronologia, in S. Bernardino. Saggi e ricerche…, p. 449 e n. 2).
Le circostanze nelle quali agisce pongono già in luce l'atteggiamento che egli manterrà durante tutta la sua vita nei riguardi della più grande, potente e ricca parte dell'Ordine, quella conventuale, caratterizzato da un'obbedienza a tutta prova ai superiori e da una disposizione conciliante anche nelle situazioni più complicate e difficili.
Questo non significa, evidentemente, rinuncia alla diffusione del proprio ideale di vita religiosa: proprio in questi anni una serie di adesioni all'Osservanza di significato inequivocabile, da parte di religiosi già maturi, come Alberto di Sarteano, o di giovani di grande speranza, come appunto Giacomo della Marca o, poco più tardi, Giovanni da Capestrano, sono indice d'una vitalità nell'Osservanza, di cui gran merito va ascritto all'opera di Bernardino. D'altra parte, indizio anch'esso non dubbio della stima da parte conventuale, è la nomina. a "discreto", cioè consigliere, del convento di Siena. Di questa situazione che, a chi ricordi le dispute di qualche decennio prima in seno all'Ordine francescano, può sembrare paradossale, va trovata la spiegazione nella personalità stessa di B., ad un tempo ferma sulle realtà di fatto e sulle norme di vita, ma conciliante sul piano disciplinare, ispirata ad una carità davvero profonda verso tutti gli altri frati ed in special modo i conventuali, coi quali, di proposito, come abbiam già detto, evitò ogni polemica, rinunciando ad ogni rimprovero per chi non accettasse la forma di vita osservante, accettando con sincera umiltà una disciplina, che non poté non essergli, a volte, difficile, se non penosa. Fu però proprio quest'apertura fraterna, questa lealtà umile, questa esemplarità priva d'ogni ostentazione ad assicurare sempre più vasti consensi all'Osservanza.
In questi anni si precisa, anche, in maniera definitiva, la fama di predicatore di Bernardino. Nel 1416 predicò a Padova, per la seconda volta, e poi a Mantova, sempre senza particolare successo, se dobbiamo credere al già ricordato Andrea Biglia. Dopo un periodo di permanenza a Fiesole, tornò in Lombardia, predicò a Ferrara durante la peste del 1417, passando quindi a Genova per le prediche dell'Avvento nella chiesa di S. Francesco. E dovette raccogliere larghi consensi se vi tornò l'anno successivo per la Quaresima.
È questo l'inizio di una serie ininterrotta di prediche che lo portano dalla Liguria, in Piemonte, in Lombardia: fu, tra l'altro a Mantova nel maggio 1418 per il capitolo generale dei frati e poi a Milano, ove iniziò la sua consuetudine della predicazione quotidiana; nel 1419 si spingeva anche fino a Como ed al Canton Ticino; nel novembre di quell'anno era a Treviglio.
Senza poter ormai più seguire B. nei suoi spostamenti, diremo che per anni restò nell'Italia settentrionale: a Milano riusciva a far breccia nel cuore di Filippo Maria Visconti che donava a lui, per l'Osservanza, la cappella ducale di S. Giacomo a Pavia (16 maggio 1421) e la chiesa di S. Angelo a Milano (18 luglio dello stesso anno), è il riconoscimento pieno del suo successo come predicatore e come frate dell'Osservanza.
A questo periodo va riferita la riconciliazione fra le "parti" in Crema, di cui egli parla nella predica XII, nella piazza del Campo di Siena e che indica uno dei terni più costanti e sentiti della predicazione di Bernardino.
Egli ha ormai raggiunta la piena maturità della tecnica oratoria ed esprime senz'altro i motivi più caratteristici della sua predicazione, ispirata ad una precisa ed organica concretezza.
Di questo periodo non ci son giunte, purtroppo, prediche "riportate", trascritte cioè dagli appunti presi dalla viva voce dell'oratore con un sistema assai vicino all'odierna stenografia. Pure le notizie che troviamo nelle biografie e gli accenni che B. stesso fa nelle varie prediche giunte fino a noi ci consentono di indicare alcuni dati tecnici che rimarranno d'ora in poi immutati.
Quanto alla linea di sviluppo della predica, dopo l'enunciazione del tema indicato dal passo biblico scelto per l'occasione, lo svolgimento è estremamente semplice, secondo la consuetudine francescana, e ricco sempre di riferimenti alla realtà concreta della vita, colta nella sua immediatezza, ma con accorta prudenza, come ci informa proprio la predica già citata, in cui B. osserva a proposito dei temi che riguardano la vita politica: "E predicando io di questa materia pure cupertamente (imperò che questa è materia di non parlare troppo alla scuperta), pure io predicando, parlavo in genere e non in particularità e non tacevo nulla che fusse da dire". Anche nelle prediche, dunque, B. osserva quella contemperanza di accortezza e lealtà in fraterna, amorevole comprensione che abbiamo già colta nella sua attività di frate.
La convergenza, ormai, di predicatore e, insieme, di superiore nell'Ordine caratterizzerà tutta la sua vita: così, di nuovo, come sembra, vicario dell'Osservanza per l'Umbria e la Toscana, si tratterrà però in Lombardia per portare la sua parola a Brescia nel 1421 e poi, nel 1422, a Venezia in primavera, a Bergamo in giugno ove fonda il convento e la chiesa di S. Maria delle Grazie, e poi nell'inverno a Verona, passando poi, per la Quaresima, a Padova, ove restò fino al 19 apr. 1423, e recandosi infine a Vicenza ove predicò fino al luglio. In un lungo giro di missione nel Veneto, parlò, tra l'altro a Belluno, anche qui riuscendo ad ottenere una pacificazione generale.
Passato, alla fine del 1423, in Emilia, predicò a Bologna, ove, come sembra, per meschine invidie suscitate dal successo sempre più travolgente della sua oratoria, cominciarono le accuse di eresia, causate in special modo dalla devozione al nome di Gesù, diffusa appunto fervidamente da Bernardino.
Questa devozione, che si esprimeva sensibilmente nel noto trigramma "IHS" circondato dai raggi del sole, risale certo a uno dei nuclei più originali ed antichi della formazione spirituale del santo. Essa dipende infatti, essenzialmente, dai maestri francescani di mistica quali Gilberto di Tournai ed Ubertino da Casale, il cui Arbor vitae crucifixae Iesu ha su di lui profondamente influito. è certo, inoltre, che già nel 1417 a Ferrara B. parlò del nome di Gesù: attribuisce anzi proprio al suo miracoloso intervento la cessazione della peste.
Gli avversari di B., però, malignamente, cercarono di prospettare questa devozione come eretica, giungendo fino ad accusarlo presso il papa, come si dirà.
Negli anni 1424-25 fu in Toscana, a Firenze, ove parlò in S. Croce, a Prato, a Lucca, a Volterra ed a Siena, predicandovi tra l'aprile ed il giugno del 1425; Si recò poi ad Assisi, a Todi (febbraio 1426), a Viterbo (Quaresima dello stesso anno). Al 1426 e non all'anno successivo va, come sembra, riferita l'accusa d'eresia, sempre per il nome di Gesù, per cui fu convocato a Roma da papa Martino V.
Il processo contro B., al quale non erano estranei né motivi personali né contrasti di prestigio fra gli Ordini religiosi, era l'inevitabile conclusione dì una serie di accuse, che, prima sussurrate, avevano preso sempre più piede, finché misero capo ad alcuni opuscoli polemici: tra questi il più noto è il Liber de institutis, discipulis et doctrina fratris Bernardini Ordinis Minorum, scritto da Andrea Biglia, già ricordato più volte (cfr. B. de Gaiffier, Le mémoire d'André Biglia sur la predication de s. Bernardin de Sienne, in Analecta Bollandiana, LIII [1935], pp. 314-358), al quale si affiancarono altri due non meno aggressìvi e virulenti (cfr. E. Longpré, S. Bernardin de Sienne et le Nom de Yesus, in Arch. francisc. histor., XXVIII[1935], pp. 443-476; XXIX [1936], pp. 142-168, 443-477; XXX [1937], pp. 170-192). Agli avversari di B. s'aggiunse poi anche il noto fra' Manfredi da Vercelli, di cui il santo aveva condannato la predicazione esagitatamente escatologica.
Questi opuscoli e le dicerie più o meno deformate, a cui s'accompagnarono in varie località, come a Bologna, dei disordini popolari per mettere al bando il trigramma bernardiniano, vennero coordinati in una serie di precise imputaziani di eresia. B., che, senza esitare, si diresse a Roma per affrontarvi il processo, non nascose la sua preoccupazione, provvedendo insieme a stendere un memoriale di difesa, in cui non solo ribatté le accuse rivoltegli, ma colse anche l'occasione per precisare il valore e il significato del trigramma e per ricordare che esso non aveva alcun valore in sé e per sé - cadevano così tutte le varie dicerie sorte da questo o quell'elemento presente o non sul trigramma stesso, come ad esempio la croce, - ma aveva solo importanza per quel che voleva far ricordare ed avere presente (Bulletti, Vita inedita…, in Acta Sanctorum).
B., che poteva contare nella Curia su potenti appoggi, fu assolto ed ebbe, anzi, l'autorizzazione di usare il trigramma e di riprendere la sua predicazione.
Assolto dall'accusa d'eresia, sulla scia dell'entusiasmo che anche a Roma suscitò il fascino della sua parola e della sua personalità, B. venne dal papa il 4 luglio 1427 nominato vescovo di Siena, ma rifiutò decisamente. Era allora ad Urbino, donde si recò a Siena, ove dal 15 agosto tenne le ben note prediche in piazza del Campo fra le sue più vive, fresche ed ispirate, giunte sino a noi grazie al sacrificio, all'impegno ed alla diligenza di Benedetto di maestro Bartolomeo, cimatore di panni, che per quarantacinque giorni le "riportò" tutte.
Da Siena, nell'ottobre, si recò nelle Marche, ove predicò spostandosi di luogo in luogo - si trattenne di certo a Cagli - fin verso Quaresima, quando si recò ad Arezzo, ove fece distruggere la Fonte tecta perché sede di superstiziose cerimonie, di magia e di stregoneria.
Su invito del duca Filippo Maria Visconti, si recò a Milano, nell'aprile del 1428; nel febbraio dell'anno seguente era a Venezia, ove fu colpito da una grave malattia: segno della premura e dell'affetto con cui i suoi concittadini lo seguivano èla lettera che i Priori di Siena, ìn questa occasione, gli scrissero invitandolo a tornare in patria a riposarsi.
B., in realtà, era in questi mesi preoccupato oltre che dalla consueta opera di predicazione, da una crisi nell'Ordine, che egli aveva paventata e che ora s'andava facendo inevitabile.
Proprio per l'opera del santo, s'era andata assai diffondendo in tutta Italia l'Osservanza, che, da movimento quasi eremitico e limitato a pochi frati silenziosi, era divenuto un robusto rampollo sul vecchio tronco "conventuale". Il motivo più grave e più fondato di contrasto nasceva dal fatto che i superiori di più alto grado nell'Ordine erano in realtà sempre e solo dei "conventuali", mentre ormai da più parti si poneva l'esigenza che una qualche autonomia venisse concessa all'Osservanza. B., proprio per l'impegno totale che richiedeva la predicazione, aveva affidato il difficile compito di mantenere ì rapporti fra i due gruppi all'abile, energico e devoto Giovanni da Capestrano. Questi, aderendo all'immutato desiderio d'unità del santo, era riuscito a mantenere sempre rapporti assai buoni con i conventuali. Intervenne, invece, deciso ad eliminare la distinzione fra osservanti e conventuali, lo stesso papa Martino V. Nel capitolo generale, riunito dal pontefice ad Assisi nel giugno 1430, vennero infatti predisposte delle costituzioni, dette poi "martiniane", che, pur nella ricerca di un equilibrio fra i due gruppi, finivano, in realtà, con l'imporre a tutti i frati molte delle norme di vita praticate dai soli osservanti.
B., che aveva accolto con giubilo le nuove costituzioni - né meno entusiasta era sembrato il ministro generale, Guglielmo da Casale -, dovette ben presto accorgersi che era impossibile mantenere un'unità che si dimostrava più conseguenza di una imposizione, sia pure autorevolissima, che non di una libera scelta.
Ciò fu particolarmente chiaro alla morte di Martino V: il nuovo papa Eugenio IV emanava la bolla, Ad statum (23 ag. 1432), che autorizzava di nuovo l'Ordine a possedere. Di rimando gli osservanti italiani ripristinarono allora i loro vicari provinciali, riconfermando però la loro obbedienza ai più alti superiori dell'Ordine. In tutte queste vicende B. fu costante elemento di equilibrio, eliminando sempre ogni asprezza di contrasti, ma anche difendendo l'autonomia dell'Osservanza: in particolare, a proposito degli osservanti "ultramontani", egli, diversamente da Giovanni da' Capestrano, appoggiò la loro aspirazione ad una completa autonomia, con acuto senso delle situazioni locali e dei rapporti fra osservanti e conventuali, diversi evidentemente da regione a regione.
L'elezione di Eugenio IV provocò ancora un altro tentativo di colpire - e questa volta in segreto e alle spalle - il santo e la sua predicazione con l'accusa d'eresia.
La decisione di Martino V, infatti, favorevole a B., non aveva disarmato i suoi avversari, che avevano continuato le loro polemiche: venne perciò predisposto in silenzio un processo, con l'appoggio del provveditore della Fede, il domenicano Michele da Praga. Questi, il 21 nov. 1431, citò il santo a comparire dinanzi al cardinale domenicano Giovanni da Casanova, per ascoltare la sua condanna.
B., allora a Siena, dopo un periodo di predicazione nelle Marche ed in Romagna, fu difeso dallo stesso Eugenio IV, che annullò tutto il procedimento a suo carico e la citazione relativa con la bolla Sedes Apostolica del 7 genn. 1432. Reazione del papa a quella manovra è anche l'invito ad occupare la sede vescovile di Ferrara, che ancora una volta, coerentemente ai suoi principi e al suo ideale, B. categoricamente rifiutò.
Queste vicende, insieme col desiderio di evitare contrasti e dissidi intorno alla sua persona e alla sua predicazione, lo indussero a ritirarsi nel suo convento della Capriola: dedicò il suo tempo ad ampliare e approfondire la sua cultura e insieme a preparare i suoi grandi quaresimali De christiana religione e De evangelio aeterno sive de caritate.
Questo periodo di raccoglimento però venne, di nuovo, interrotto dai suoi avversari, che lo accusarono di eresia, questa volta, presso Sigismondo da Lussemburgo, che, già incoronato re d'Italia a Milano attendeva a Siena la conclusione delle trattative per l'incoronazione imperiale.
La mossa non era casuale né male impostata: Sigismondo infatti, in quanto re di Boemia, era profondamente sensibile al problema dell'eresia dal tempo del concilio di Costanza, quando aveva fatto arrestare e condannare Hus e, poi, per la lotta contro gli ussiti. Dopo una serie di difficoltà, sulla cui natura non siamo esattamente informati - un teste al processo di canonizzazione afferma che "de… accusatione multa passus est", senza meglio specificare - B. riuscì a convincere anche Sigismondo della sua innocenza. Ne venne tra i due una vera e propria amicizia tanto che il santo fu poi, nella primavera del 1433, condotto a Roma, per assistere all'incoronazione (31 maggio).
Da Roma riprese la sua predicazione nelle Marche, ove si trattenne fino alla Quaresima del 1434, che predicò a Siena, come le altre volte, nella chiesa di S. Francesco.
Da Matelica, il 12 sett. 1433, indirizzava a Caterina Colonna, contessa di Montefeltro e Urbino, una lettera che ha molta importanza perché, essendo sicuramente autografa, e espressione precisa del suo animo. Testimonia, prima di tutto, la partecipazione di B. non solo alla vita delle folle che lo ascoltavano, ma anche a quella dei grandi, che tenevano a informarlo delle proprie vicende, come fu pure il caso, già ricordato, di Filippo Maria Visconti.
Anche più interessante è però la coscienza che B. vi mostra della sua predicazione come d'un dovere imprescindibile verso le folle assetate della parola di Dio e insieme d'un beneficio tale che va equamente distribuito. Lontano da ogni ambiziosa sopravvalutazione di se stesso, egli si sente solo spinto da "quella caritade dell'altre anime affamate che lo fa cotidianamente peregrinare et affatigare".
Val poi la pena di ricordare, infine, la riaffermazione del suo ideale di povertà quando avverte la gentildonna di aver accettato quel che gli aveva inviato "non per usare, perché son cose oltre a mia povertà e necessità"; e precisa: "ma faremne, per l'anima vostra, carità a qualche povero bisognoso; o faremne altro, secondo che Dio s'ispirarà" (cfr. per questa lettera specialmente D. Pacetti, Tre lettere inedite di s. Bernardino, in Boll. di studi bernardiniani, III[1931] pp. 219-238).
Nel maggio 1434 partecipa al capitolo generale dell'Ordine, dove la decisione del ministro generale di confermare a B. le facoltà già precedentemente concessegli attesta la permanenza dei buoni rapporti fra osservanti e conventuali.
Né veniva meno la protezione e l'appoggio di Eugenio IV, che non solo lo aiutava favorendo l'espansione del movimento osservante, ma tornava ad offrirgli la dignità vescovile - si trattava questa volta della diocesi d'Urbino -; ma ancora una volta B. rifiutò (1435).
Negli anni successivi continuò la sua opera di predicatore in Lombardia ed in Liguria, anche se non siamo esattamente e minutamente informati sulle località ove si trovò a passare; e se dobbiamo notare un qualche rallentamento nella sua attività, essa va spiegata sia con l'esigenza mai spenta di approfondire la sua preparazione culturale sia con le sue condizioni di salute, che, contro ogni sua intenzione, l'obbligavano a riguardarsi.
I testimoni del processo di canonizzazione insistono concordi sul fatto della salute cagionevole di B., obbligato durante l'ultima parte della sua vita (taluni precisano, quindici anni) a combattere con malanni d'ogni genere che anche quando non ne arrestavano l'attività, gliela rendevano assai difficile, spesso anzi tormentosa; furono specialmente molesti i disturbi intestinali e renali, che per anni e anni non gli diedero tregua.
Non cessò l'opera denigratoria dei suoi avversari, che non essendo riusciti ad avere l'appoggio del papa, pensarono di giovarsi ai loro fini del concilio di Basilea, allora in pieno svolgimento; si parlò di B. e del suo trigramma il 15 marzo 1438: la discussione finì per concludersi in un nulla di fatto, anche per l'appoggio che a B. sembrava potesse venire da Filippo Maria Visconti.
Tutte queste manovre che con l'accusa d'eresia miravano in realtà a bloccare l'attività di predicazione dei santo non ne intaccarono mamente il prestigio né nell'Ordine, né presso il pontefice: il 22 luglio 1438, infatti, veniva nominato dal ministro generale, Guglielmo da Casale, suo vicario e commissario per tutta l'Osservanza in Italia; tale nomina veniva poi confermata dallo stesso pontefice con la bolla Fratrum Ordinis. Ma poiché tale bolla sembrava, in realtà, sancire un'autonomia dell'Ordine, B., sempre coerente al suo ideale d'unità dell'Ordine, di fronte alle proteste del ministro generale, rinunciò di fatto a servirsene.
Fra i suoi frati, però, numerosi, benvoluti, ricchi di prestigio, la posizione conciliante di B. venne male interpretata come troppo remissiva: fu questa l'opinione persino d'un discepolo affezionato e devoto quale Alberto di Sarteano. Né i conventuali cercavano di rendere più facile la vita degli osservanti, ai quali anzi non mancavano di sollevare difficoltà e di creare ostacoli.
Ritornava cosi una situazione, per molti aspetti simile a quella che aveva opposto, nel primi decenni del Trecento, gli spirituali alla comunità. E dovette frenare B. proprio il ricordo di quelle dolorose esperienze, di cui egli evita di far parola: gli erano certamente ben note, per la sua approfondita conoscenza e di Pietro di Giovanni Olivi e del suo discepolo e continuatore Ubertino da Casale, il cui Arbor vitae crucifixae Iesu aveva potuto ben fornirgli informazioni storiche e notizie su quelle ormai lontane vicende; un'eco, del resto, si poteva cogliere, ai tempi del santo, nella predicazione e nell'attività frazionata, ridotta, ma pur sempre vivace, dei fraticellì. Inoltre, la misera decadenza di questi ultimi, proprio per il loro distacco dall'Ordine e dalla Chiesa, dovette sembrare a B. un significativo esempio contro ogni posizione estremistica, tendenzialmente pericolosa.
Lo confortava e lo sosteneva tuttavia validamente Eugenio IV che, il 10 nov. 1440, gli chiese che mantenesse ancora la difficile carica di vicario dell'Osservanza, giovandosi dell'aiuto di un collaboratore, che fu poi Giovanni da Capestrano.
In realtà B. sentiva pesante la sua carica, anche, e, forse, soprattutto perché le numerose incombenze ch'essa comportava gli sottraevano del tempo che egli voleva dedicare a quello che sentiva, come abbiamo già detto, il suo dovere più alto, quello della prefficazione alle folle.
Aveva però potuto predicare nell'agosto del 1438 all'Aquila, nel settembre a Perugia, nella Quaresima del 1439, forse, a Siena; l'anno dopo,forse a Roma, ove avrebbe tenuto un panegirico di s. Francesca Romana, se è vera l'indicazione che ci viene da una tardiva biografia della santa.
In questi mesi, come ci mostra una letterina indirizzata il 27 sett. 1440 al guardiano di S. Croce di Firenze, fra' Giacomo Biade, con la quale chiedeva la Lectura sus. Matteo dell'Olivi, B., ormai già avanti negli anni, continuava lo studio degli autori suoi prediletti, con una coerente continuità di interessi culturali.
A questi suoi studi dall'agosto 1441 fa seguire un periodo di predicazione parlando ad Assisi e Perugia e recandosi poi a Firenze per interporre i suoi buoni uffici per il conflitto sorto tra Siena ed Eugenio IV, in seguito ad un'incursione d'armati pontifici in territorio senese.
Ripresa la predicazione, nella primavera del 1442 è nel Bresciano, ove, come sembra, predicò la Quaresima; era però stanco e amareggiato per cui presentò al papa Eugenio IV le sue dimissioni da vicario generale dell'Osservanza: al suo posto venne poi eletto Alberto da Sarteano che lo volle almeno suo commissario alla Capriola, ove il santo s'era ritirato. Ma qui, il 20 agosto, lo aveva colpito un acerbo dolore, la morte del suo compagno, confidente e segretario, fra' Vincenzo.
L'amicizia di fra' Vincenzo - che risulta uomo di rare qualità intellettuali e umane - è uno dei tratti più simpatici della personalità di B.: gli era stato accanto nelle complesse e spesso difficili vicende della sua vita, aveva esercitato il compito, spesso ingrato, di consigliere e giudice nella sua eloquenza, lo aveva aiutato nella preparazione e composizione delle sue opere. Il santo gli dedicò perciò, nel quaresimale De beatitudinibus evangelicis, alcune delle sue pagine più belle per traboccante e fresca varietà di sentimenti, per forza espressiva.
Chiamato da più parti come predicatore, B. decise di recarsi a Milano ove era carissimo a Filippo Maria Visconti, probabilmente anche per svolgervi una missione diplomatica per conto di Siena, interessata all'amicizia del duca. Predicando nella città lombarda nell'inverno 1442-43, non mancò più volte di aiutare Siena con negoziati ed informazioni: fedele però al suo proposito di non fermarsi in un luogo oltre il tempo necessario e previsto, passò a Pavia, poi a Ferrara, predicando in seguito a Padova per la Quaresima e trattenendovisi fino al capitolo generale dell'Ordine che si tenne, come di solito, a Pentecoste.
Doveva allora fare una dolorosa esperienza; bisognava provvedere, tra l'altro, alla elezione del ministro generale. Toccò allora proprio a B. di opporsi energicamente a una manovra dei suoi confratelli osservanti, che, grazie anche all'appoggio di Eugenio IV, miravano a eleggere, come capo di tutto l'Ordine, l'osservante Alberto di Sarteano. Per le reazioni inevitabili dei conventuali era facile prevedere una frattura insanabile tra le due parti, con danni per tutti. Il santo rifiutò il suo appoggio a quello che sembrava - ed era - un vero e proprio colpo di mano e fu allora duramente rimbeccato dagli altri osservanti, che non riuscivano a comprendere l'opportunità d'una decisione tale da sembrare tradimento del proprio ideale. B. ne soffrì amaramente; non gli erano venuti tuttavia meno l'affetto rispettoso e l'amicizia sincera dello stesso pontefice, che, nell'imminenza del pericolo turco - Maometto il conquistatore fra dieci anni spezzerà la resistenza di Costantinopoli -, lo incaricò di predicare la Crociata, consegnandogli perciò un'apposita bolla.
Lasciata l'Italia settentrionale, sempre predicando di città in città - fu, tra l'altro, a Verona - tenne la Quaresima del 1444 a Massa Marittima, ritornando poi per un breve soggiorno alla prediletta Capriola.
Di lì, partendo per il suo ultimo giro di predicazione alla fine d'aprile, passò attraverso l'Umbria, ma giungendo negli Abruzzi fu costretto ad arrestarsi all'Aquila, ove morì il 20 maggio 1444, nel convento di s. Francesco.
Un anno dopo si iniziava il processo di canonizzazione; sei anni dopo, il 24 maggio del 1450, B. veniva solennemente proclamato santo dal papa Niccolò V.
Tutte le vicende della vita di B. mostrano all'evidenza il fascino e l'ascendente che egli esercitò sui suoi contemporanei: il successo che accompagnò la sua predicazione, e la fama che ne seguì, ne sono solo gli aspetti esteriori.
Se, tuttavia, presi dal fascino della sua parola, che nelle riportazioni senesi delle prediche dei 1427 ci giunge con un'immediatezza vivacissima - il riportatore ci ha molto, scrupolosamente indicato le esclamazioni, le interruzioni e le osservazioni del santo -, noi pensassimo ad un'eloquenza istintiva, dimenticheremmo tutto il lungo e faticoso lavorio di preparazione, che è spesso di una accuratezza e di uno scrupolo eccezionale, come hanno mostrato i lavori del p. D. Pacetti sui codici autografi di B. e l'accurata indicazione delle fonti di cui è corredata l'edizione critica delle opere di Bernardino.
Da questa ricerca delle fonti può venire una qualche impressione di minore originalità - ad esempio, nella dottrina dell'usura B. è assai vicino all'Olivi -, ma acquista, in realtà, una ben accresciuta e approfondita importanza per la sua predicazione e, in genere, per tutta l'opera anche di scrittore.
Ricordando queste fonti dovremo di necessità prescindere da quelle che costituivano il comune bagaglio d'un religioso di elevata cultura, nel suo tempo. B. aveva infatti una preparazione giuridica completa, frutto dei suoi studi universitari, una buona conoscenza dei Padri, che, in molta parte, gli viene anche dai teologi che egli ha studiato e dei quali ricorda soprattutto Alessandro di Hales, s. Bonaventura e s. Tommaso.
Sono invece caratteristici d'una scelta deliberata del santo alcuni autori tutti francescani, ai quali si ispira in alcune delle sue posizioni e atteggiamenti più personali. Oltre ad Ugo Panciera e a Davide di Augsburg, vanno qui ricordati specialmente Pietro di Giovanni Olivi e Ubertino da Casale. Attraverso questi due autori giungeva a B. il meglio della filosofia, della teologia e della spiritualità francescana. L'Olivi, infatti, era discepolo devoto e intelligente seguace di s. Bonaventura, resosi inoltre attento, attraverso non facili vicende di vita, alle esigenze spirituali dei fedeli, anche più umili, mentre Ubertino, col suo Arbor Vitae - ampio alveo nel quale erano confluite con le idee dell'Olivi, una gran quantità di operette francescane, tranquillamente inglobate, dal Sacrum Commercium a Ugo di Digne, a s. Bonaventura - era una vera miniera di motivi e di idee.
èvero che questi autori, e specialmente l'Olivi, erano esponenti di quel gruppo "spirituale" su cui s'era abbattuta, durissima, la condanna di Giovanni XXII, ma proprio l'utilizzazione che B. ne fa ci permette di determinare alcuni significativi aspetti della sua personalità.
Convinto, come egli era, che il francescanesimo "spirituale" era il più autenticamente vicino a s. Francesco stesso, B. ne eliminò ogni accento gioachimitico e, in genere, escatologico: è opportuno qui, anzi, ricordare come egli combattesse decisamente fra' Manfredi da Vercelli, che predicava l'imminente venuta dell'Anticristo, provocando disordini sociali (cfr. specialmente E. Delaruelle, L'Antéchrist chez s. Vincent Ferrier, s. Bernardin de Sienne et autour do Yeanne d'Arc, in L'attesa dell'età nuova nella spiritualità della fine del Medio Evo, Todi 1962, pp. 37-64, specialmente alle pp. 46 ss., con ulteriori rinvii bibliografici). In tal modo egli poneva, da un lato, in rilievo soprattutto l'esigenza d'amore e di carità, che escludeva quindi ogni accento polemico verso i confratelli, anche se di vita meno rigorosa e severa; sentiva vivo, dall'altro, il bisogno di rivolgersi non ai dotti e ai sapienti, ma al popolo, agli umili, troppo spesso dimenticati dalle alte gerarchie e trascurati da coloro stessi che ne avevano cura.
Ne deriva che, pur mostrando preferenza verso Pietro di Giovanni Olivi e Ubertino da Casale, B. è perfettamente libero, nei loro riguardi, da ogni supina ed incontrollata accettazione delle loro idee e manifesta così quella qualità davvero straordinaria di equilibrio, di moderazione, di buon senso, nel valore più elevato del termine, che è una delle caratteristiche fondamentali della sua personalità.
èquesto equilibrio una delle qualità vive specialmente nelle sue prediche "riportate" in italiano, alle quali si rivolge ora, specialmente, la nostra attenzione, tenendo presenti quelle della piazza del Campo del 1427, che più ci mettono in grado di valutare la qualità dell'oratorìa "parlata" colta nella sua più vivace immediatezza.
Sono decisamente esclusi i grandi problemi teorici, dai quali rifuggiva del resto lo stesso santo. Non parla né di riforma della Chiesa, né dell'Impero o degli imperatori, ma di problemi di vita morale concreta: la detrazione e la maldicenza, gli odi politici, l'amore del prossimo, l'amore coniugale e l'etica della famiglia, i doveri dei mercanti, l'elemosina, la sodomia, grave piaga morale dell'epoca.
Anche là dove egli tocca questioni specificamente religiose, evita complicate discussioni teologiche, tenendo il discorso aderente allo spirito degli ascoltatori e al loro livello culturale: una predica riguarda perciò Maria e la sua Assunzione, un'altra la Provvidenza divina, un'altra ancora i tre giudizi - due riguardano s. Francesco., che, nella prima, viene visto come l'angelo "ascendens ab ortu solis" e, nella seconda, è unito a Gesù Cristo per amore.
In queste prediche la linea di sviluppo è coerente alle regole della oratoria del tempo, intese però con molta libertà ed equilibrio, e l'espressione semplice e piana. Ricca e vivace l'esemplificazione, ricavata spesso dalle esperienze stesse di vita del santo (famosissimo il racconto fra il grottesco e l'ironico del suo tentativo di vita eremitica, d'efficacia rara) o da fatti correnti sulla bocca del popolo (come, nella prima predica su s. Francesco, il ricordo della visione di Pietro Pettinaio).
Né il santo rifugge, dove occorra, dal trattare temi anche scabrosi per una malintesa opportunità di non suscitare scandalo fra gli ascoltatori che - si ricordi - erano uomini e donne, e d'ogni età. Si pensi, ad esempio, alle prediche relative alla vita matrimoniale, ove momenti e fatti delle relazionì fra i coniugi sono esaminati con acume e, insieme, con rigore, alla luce della morale cristiana.
Su queste prediche, in realtà, si basa ogni giudizio sull'oratoria di s. Bernardino, proprio perché son quasi le uniche ove il suo parlare possa essere esaminato da un punto di vista estetico.
Sono state, infatti, più volte poste in rilievo le qualità del suo discorso: la freschezza della parlata, che dal volgare senese trae una forza viva di espressione, affascinò i contemporanei, ma ancor oggi conserva un'attrattiva alla quale è difficile resistere.
A questa s'affianca una capacità di rappresentazione che prendeva e teneva avvinti, coi numerosi esempi, l'attenzione degli ascoltatori. La stessa discussione dei vari problemi riusciva così a conservare, dal principio alla fine, una capacità di persuasione, una forza d'attrazione che fa di molte prediche di B. capolavori del genere.
Il modo di porgere, infine, non era mai astratto e dimentico della presenza degli uditori: esso si traduceva quasi sempre, al di là di ogni esteriorità formale, in un dialogo continuo, seppure sottinteso, con la folla; diventava poi, spesso, esplicito, là dove circostanze improvvise lo rendevano necessario. Di ciò danno testimonianza precisa alcune interruzioni o apostrofi rivolte ora ad alcune donne, che chiacchieravano imperterrite durante la predica o agli ascoltatori (specialmente a donne) che non eran stati generosi, come il santo avrebbe voluto, nel portare indumenti per i carcerati e infine ai ricchi, che non avevano tutta la necessaria misericordia.
Nei momenti più felici di questo discorso-dialogo, il domandare ed il rispondere hanno, nel loro svolgersi, una verità, una penetrazione intuitiva nel pensiero degli altri, da raggiungere una forza di rappresentazione, che doveva trascinare - se si pensa anche al fascino indubbio della personalità stessa di B. - e avvincere gli ascoltatori.
Del tutto diverso è il discorso che bisogna fare a proposito delle prediche scritte in latino perché, ovviamente, danno piuttosto lo schema, sia pure amplissimo, della predica, che non l'andamento reale.
è stato anche posto a confronto dagli studiosi il testo di qualche predica latina con l'effettiva predica tenuta poi al popolo, quale ci è giunta ad opera di "riportatori" (come appunto quelle di Siena): si è visto così che il rapporto è senza dubbio assai stretto. Quel che, però, nelle prediche latine è connessione di idee e ragionamento, diventa, nel discorso parlato, vibrante di vita. Ciò premesso bisognerà però dire che le prediche latine hanno in ogni caso un'altissima importanza, sia perché ci consentono di farci un'idea dell'oratoria di B., sia, e ancor più, perché con la loro voluta sistematicità e organicità, ci consentono di approfondire e di cogliere, assai bene, gli aspetti dottrinali di Bernardino.
Ne viene, prima di tutto, confermata l'intenzione del santo, di evitare in pubblico ogni discussione teologicamente ardua o difficile e di dedicare, invece, tutta la sua attenzione ai problemi di natura teologica, morale o pastorale, che avessero stretto legame e riferimento alla vita del popolo. Anche gli stessi spunti teologici, che per la loro ricchezza e varietà hanno consentito di tracciare un quadro della sua dottrina, vengono sempre piegati e rivolti a scopi d'istruzione o di ammonimento spirituale, come è stato egregiamente indicato da C. Piana (San Bernardino da Siena teologo, in S. Bernardino da Siena, pp.139-201).
Ed è anche giusto precisare che proprio nella devozione al nome di Gesù B., riprendendo con sviluppi personali la tradizione francescana, volle col suo famoso trigramma, non fomentare un culto superstizioso, come fu affermato da avversari mossi dall'invidia del suo successo, ma piuttosto riportare Cristo al centro della vita e della devozione cristiana, ricordandone la sua Redenzione. Viene in tal modo riaffermata - è bene sottolinearlo - l'importanza dei Cristo non nella teologia del tempo, ma nella pietà popolare, troppo spesso deviata in mille direzioni, confinanti, queste davvero, con la superstizione.
Con l'importanza del Cristo è strettamente legata la devozione a Maria (in ciò riprendeva, in parte, uno dei maestri francescani più vicini al suo cuore, Pietro di Giovanni Olivi) e a s. Giuseppe.
Pure, come già si è osservato, l'importanza maggiore delle idee di B. si riscontra nel campo economico-sociale. Fedele alle linee maestre della morale cattolica. B. dispiega tuttavia una tale conoscenza del, proprio tempo nei suoi più vari e molteplici aspetti, da illuminare davvero ogni problema alla luce dell'etica cristiana. Senza poterli discutere tutti nei loro particolari accemeremo ad alcuni dei più importanti.
Studiosi ed economisti hanno mostrato l'importanza del santo per la sua penetrazione della realtà economica, vista sempre nella sua concretezza. è vero che egli, mantiene fermi alcuni concetti basilari della morale della Chiesa in materia di usura, ma si apre anche ad alcune considerazioni che, come è stato opportunamente ricordato (Capitani), sono considerevolmente mature: così proprio B. coglie acutamente la caratteristica dei capitale - la parola compare alla lettera nel testo - come "moneta destinata ad attività commerciale", avanzandosi e giustificandosi così le due altre idee del "lucrum cessans" e del "damnum emergens", da cui si deduce una qualche possibilità di lucro dall'impiego del danaro.
Non meno interessante nel suo Tractatus de contractibus et usuris, che occupa ben quattordici prediche del suo quaresimale De evangelio aeterno (Opera omnia, IV, pp. 117-416), è anche la parte riguardante la soccida degli animali. Ovunque e sempre, al di là di osservazioni spesso acute, B. cerca di cogliere la vivente realtà morale dell'uomo, per sospingerlo verso una più alta e cristiana concezione della vita, anche economica.
Vivacità e freschezza d'espressione, vigoria e coerenza di pensiero, vasta preparazione culturale fanno di B. una personalità d'altissimo rilievo nel suo tempo.
Nonostante l'amicizia viva di umanisti come Maffeo Vegio e l'ammirazione di Vespasiano da Bisticci, che gli dedicò una delle sue biografie, B. fu assai tiepido nei riguardi della cultura classica: nei due grandi quaresimali De christiana religione e De evangelio aeterno si fanno solo poche citazioni dalle Epistolae e dall'Arspoetica di Orazio e poche di più da Virgilio.
Colto solo nel suo aspetto esteriore, B. può esser certo collocato accanto ai grandi predicatori della fine del sec. XIV, come un s. Vincenzo Ferrer, ma da loro invece finisce col distaccarsi nettamente se noi guardiamo al contenuto delle sue prediche e al tono fondamentale della sua predicazione.
Lasciati da parte, come già s'è detto, i grandi problemi teologici ed ecclesiologici, come anche i terrori di un'impostazione apocalittica, egli s'accostò all'anima popolare, per viverne e comprenderne i problemi, per illuminarli e ravvivarli alla luce della tradizione più puramente evangelica, che finiva, per lui, col coincidere praticamente con la tradizione più viva del francescanesimo. Di questo egli riportò fra la folla quei valori che erano stati, per parte del sec. XIV, offuscati, come la povertà totale, l'umiltà, l'adesione a Gesù, posto al centro della vita cristiana (e null'altro in realtà voleva essere il trigramma); il successo ch'egli ottenne, come le opposizioni che incontrò - a non tener conto, ovviamente, delle meschine invidie personali - sono appunto la misura e indicano proprio la possibilità e, insomma, i limiti di una presa sulla folla, mentre nuove forze si affermavano e nuovi ideali venivano maturando.
In questo ambito B. è, dunque, ben più d'un affascinante predicatore, in quanto tentò, dopo s. Francesco, ancora una volta d'avvicinarsi alle masse popolari, per riconquistarne la fiducia e ricondurle al cristianesimo. Rappresenta perciò l'espressione più valida di quei rinnovamento cristiano, nel Quattrocento, che sviluppatosi, in molta parte, al di fuori della gerarchia, fu da questa ricuperato in gran parte solo dalla Controriforma.
Opere: Per le opere, rinunciando a indicare i numerosi incunaboli, per cui si veda il Gesamtkatalog der Wiegendrucke, III, Leipzig 1928, coll. 644-654,ci limitiamo a indicare le edizioni che contengono le opere complete, dando indicazioni delle singole opere solo a proposito dell'edizione critica; daremo poi un'indicazione di quelle italiane edite e, infine, accenneremo alle più importanti inedite.
La prima edizione è S. Bernardini Senensis… opera quae extant omnia in quatuor tomos distincta a F. Petro Rodulphio Episcopo Senogalliae restituta et apostillys illustrata, voll. 4,Venetiis 1591.Seguirono poi S. Bernardini Senensis operaomnia… opera et labore… Ioannis de La Haye…, voll. 4, Parisiis 1635; S. Bernardini Senensis… opera omnia… editio novissima…, 5 tomi in 2 voll., Lugduni 1650; S. Bernardini Senensis opera omnia editio novissima Lugdunensi postrema emendatior et nitidior, 5 tomi in 4 voll., Venetiis 1745.
Dopo un lunghissimo lavoro preparatorio, precisato nelle sue particolari indicazioni bibliografiche e compendiato nei suoi risultati da D. Pacetti, De Sancti Bernardini Senensis operibus. Ratio criticae editionis, ad Claras Aquas-Florentiae 1947, è uscita la splendida edizione critica, che per ora dà solo le opere già note, ma con un apparato critico e bibliografico di eccezionale valore.
I primi due volumi di S. Bernardini Senensis opera omnia… studio et cura patrum Collegi s. Bonaventurae, ad Claras Aquas-Florentiae 1950, comprendono il Quadragesimale de christiana religione, composto tra il 1430 e il 1436, in sessantasei sermoni; i tre successivi, editi nello stesso luogo nel 1956,contengono il Quadragesimale de evangelio aeterno, composto tra il 1430 e il 1444 in sessantacinque sermoni; il sesto, pubblicato nel 1959,contiene i trattati De vita christiana (prima dei 1430, in tre sermoni); De B. Virgine (tra il 1430 ed il 1440, in undici sermoni di cui uno, il IV, è tratto dal quaresimale De evangelio aeterno e due, il VII e l'VIII, da quello De christiana religione); De Spiritu Sancto et de inspirationibus (tra il 1441 ed il 1443, in sei sermoni) e l'ultimo, De beatitudinibus evangelicis (tra il 1441 e il 1443, in nove sermoni). Il settimo volume, edito ancora nello stesso luogo e nello stesso anno, contiene i sermoni De tempore (tra il 1440 ed il 1444 in diciotto sermoni) e quelli De diversis (in varie epoche: undici sermoni). L'ottavo, pubblicato ancora ad Claras Aquas-Florentiae nel 1963, comprende i Sermones imperfecti, le ventuno lettere, parte in latino e parte in italiano e infine l'Itinerarium anni, una specie d'indice dei sermoni predicabili nel corso dell'anno con le fonti relative. Il nono e ultimo volume (Quaracchi 1965) contiene le Postillae in Epistolas et Evangelia e i Selecta ex autographo budapestinensi.
A queste opere criticamente edite, che danno quelle certe di B., bisogna aggiungere un buon numero di altri sermoni, che non sembrano essere quelli già noti e che sono per ora perduti e i due opuscoli scritti contro il domenicano Manfredi da Vercelli.
Senza tener conto delle opere spurie, per le quali si rinvia appunto all'opera già citata di D. Pacetti, De Sancti Bernardini Senensis operibus…, pp.102-114, basterà qui ricordare che la critica discute sull'autenticità di un certo numero di operette scritte in latino, tra cui ci limitiamo a citare una specie di somma di confessione Confessio et pulchritudo, pubblicata in tutte le antiche edizioni, la Defensio sui ipsius facta coram Martino V, edita da E. Bulletti, in Vita inedita di S. Bernardino col testo dell'autodifesa dall'accusa di eresia per la causa dei nome di Gesù, in Boll. di studi bernardiniani, III(1937), pp. 179-186, un Tractatus de preceptis regulae fratrum minorum, pubblicato nelle antiche edizioni delle opere di Parigi, di Lione e di Venezia.
Accanto a queste opere latine sono di fondamentale importanza quelle in volgare, per le quali, non disponendo ancora di una edizione critica, siamo costretti a rinviare a quelle attualmente reperibili.
Due operette, che vogliono aiutare a ben confessarsi, il Trattato della confessione "Renovamini" e La divota confessione volgare o "Specchio di confessione" sono state edite, insieme con un Trattato dell'amore di Dio, a cura di D. Pacetti, in S. Bernardino da Siena, Opere volgari, Firenze 1938, pp. 47-316.
Più notevoli le reportationes delle prediche in volgare. Spicca fra tutte il quaresimale raccolto da Benedetto di maestro Bartolomeo, pubblicato in Le prediche volgari di S. Bernardino da Siena dette nella Piazza del Compo l'anno MCCCXXVII [sic] ora primamente edite da L. Banchi, 3 voll., Siena 1880-1888, ripresa in S. Bernardino da Siena, Le prediche volgari, a cura di P. Bargellini, Milano 1936; accanto vanno collocati i quaresimalì del 1424 e del 1425 raccolti da un anonimo e pubblicati in S. Bernardino da Siena, Le prediche volgari…, a cura di C. Cannarozzi: Quaresimale del 1424, 2 voll., Pistoia 1934; Quaresimale dei 1425, 3 voll., Firenze 1940. Per le altre opere volgari, inedite, si veda lo studio citato di D. Pacetti.
Fonti e Bibl.: Le biografie relative a B. sono raccolte in Acta Sanct. Maii, V, Antwerpiae 1685, pp. 257-318, a cui bisogna aggiungere quella di Leonardo Benvoglienti in Analecta Bollandiana, XXI (1902), pp. 52-80, e quelle di Giovanni da Capestrano e di un anonimo, edita da Lorenzo Surio, entrambe pubblicate nella citata edizione veneziana del 1745 delle opere di B., I, alle pp. XVII-XXXIII e XXXIV-XLIII. Su di loro si vedano le indicazioni di D. Pacetti, in De Sancti Bernardini Senensis…, pp. 210-216, con ulteriore bibliografia. Ma i dati più sicuri e più importanti sulla biografia di B. ci vengono dai sicuri atti dei processi di canonizzazione, che sono stati pubblicati nelle loro parti essenziali, con importanti note, da C. Piana, I processi di canonizzazione su la vita di S. Bernardino da Siena, in Arch. franc. histor., XLIV (1951), pp. 87-160 e 383-435.
C'è appena bisogno di avvertire che numerose e importanti indicazioni autobiografiche si trovano nelle opere, stesse di B., che sono state precedentemente segnalate.
Vari documenti che illustrano e precisano dati e fatti biografici tra il 1430 ed il 1445 sono poi stati editi da B. Bughetti, Documenta inedita de s. Bernardino senensis, O.F.M.(1430-1445), in Arch. franc. histor., XXIX(1936), pp. 478-500.
La bibliografia su B. è immensa; si possono trovare indicate le opere e gli articoli più importanti in V. Facchinetti, S. Bernardino da Siena, in Aevum, IV(1931), pp. 319-381, a cui bisogna affiancare M. Bertagna, Rassegna bibliografica, in Boll. di studi bernard., X(1944-50), pp. 175-204.
Numerosissime le biografie, tra le quali, escluse quelle scritte a scopo d'edificazione, ricordiamo: P. Thureau-Dangin, Un prédicateur populaire dans l'Italie de la Renaissance, saint Bernardin de Sienne, 1380-1444, Paris 1896; A. Ferrea Howel, S. Bernardino of Siena, London 1913; V. Facchinetti, S. Bernardino mistico solo del sec. XV, Milano 1933; P. Bargellini, San Bernardino da Siena, Brescia s. a. Una visione complessiva del pensiero di B. è in M. Sticco, Il pensiero di S. Bernardino da Siena, Milano 1924, mentre la sua import. nello sfondo della predic. quattrocentesca è stata studiata da K. Hefele, Der hl. Bernardin von Siena und die franziskanische Wanderpredigt in Italien während des XV. Jahrhunderts, Freiburg i. B. 1912, e da A. Galletti, L'eloquenza (Dalle origini al XVI secolo), Milano s. a. (ma 1938), pp. 199-233 e 613-675 (note). B. di fronte ai problemi dell'Ordine è stato studiato specialmente da H. Holzapfel, Manuale historiae Ordinis fratrum minorum, Freiburg i. B. 1909, pp. 106-111. Ma tutti questi lavori sono stati utilizzati, discussi e spesso superati dal fondamentale volume S. Bernardino da Siena. Saggi e ricerche pubblicati nel quinto centenario della morte (1444-1944), Milano 1945, ove quasi tutti i più valenti studiosi di B. hanno esaminato un aspetto della sua vita o della sua cultura; aggiungeremo perciò solo alcuni lavori successivi, che aggiornano o completano il volume indicato, al quale rinviamo anche per i molti saggi particolari, che lì son citati, relativi agli spostamenti, incessanti e spesso mal noti, del santo come a punti particolari della sua dottrina.
Per le opere e la cultura di B. rinviamo al fondamentale volume citato di D. Pacetti, De sancti Bernardini Senensis operibus…, che va completato con un articolo dello stesso Pacetti, Le postille autografe sopra l'Apocalisse di S. Bernardino da Siena recentemente scoperte nella Biblioteca Nazionale di Napoli, in Arch. frane. histor., LVI(1963), pp. 40-70, relativo appunto ad un lavoro inedito del santo, e con un altro, dello stesso autore, che completa il quadro della cultura bernardiniana. L'"Expositio super Apocalypsim" di Mattia di Svezia, precipua fonte dottrinale di s. Bernardino da Siena,in Arch. franc. histor., LIV (1961), pp. 273-302. Per l'importanza di B. nella considerazione della vita economica, oltre al lavoro di A. E. Trutenberger, San Bernardino da Siena. Considerazioni sullo sviluppo dell'etica economica cristiana nel primo Rinascimento, Bern 1951, non sempre sicuro nell'interpretazione del pensiero del santo, si vedano specialmente J. T. Noonan, The Scolastic Analysis of Usury, Cambridge Mass., pp. 71-77 e 126-128 (tenendo conto delle importanti osservazioni, specialmente valide proprio per B., di O. Capitani, nella sua recensione in Bull. dell'Ist. stor. ital. per il Medio Evo e Archivio Muratoriano, 70 [1958], pp. 546, 557, 561 s.) e Un traité de morale économique au XIVe siècle. Le Tractatus de usuris de maître Alexandre d'Alexandrie, a cura di A.-M. Hamelin, Louvain - Montréal-Canada-Lille 1962, pp. 6, 30, 43, 48 s., 60, 85, 93 s., 98, 101, 104, 113.