DELLA CHIESA, Bernardino (al secolo, Antonio; in cinese, I Ta-jen)
Nato a Venezia l'8 maggio 1644 da Gaspare e da Anna Giugali (Libro novo dei battezzati della Collegiata e Parrocchia di S. Thomà Apostolo, citato in Cimino, 1921, 5, p. 132, in cui il cognome del padre figura come "Dalla Chiesa"), entrò nel convento dei frati minori di Spineta (Fratta di Todi) il 6 ag. 1663 e nel 1671 prese gli ordini sacri. Eletto guardiano del convento di S. Lorenzo in Orvieto il 28 maggio 1674, vi rimase per tre anni durante i quali fu anche il confessore della regina Maria Cristina di Svezia (Congregazione di Propaganda Fide, Acta Congreg. particul., 1, fol. 36). Nel 1679 chiese alla Congregazione di Propaganda di essere destinato alle missioni in Cina. Fu aggregato al gruppo di francescani italiani in partenza per l'Estremo Oriente, di cui fecero parte G. F. Nicolai, G. B. Morelli, A. d'Albano e B. Brollo, venendo però ad essi preposto a seguito della nomina a vescovo di Argolis (20 marzo 1680) e a coadiutore di F. Pallu, vicario apostolico del Fukien ed amministratore di otto province della Cina meridionale (17 aprile).
Il viaggio, cominciato il 25 ottobre a Venezia, fu particolarmente lungo e travagliato. Giunti soltanto il 27 giugno 1681 a Tripoli di Siria ed il 25 luglio ad Aleppo, i cinque francescani proseguirono per Surat (22 febbr. 1682), dove si divisero. Il D., insieme con il Brollo e con il Nicolai, si imbarcò il 18 aprile sulla nave inglese "The Oliphant", che l'8 luglio fece naufragio nei pressi di Batavia. Ripresero il viaggio e, fatta una lunga sosta nel Siam (19 ott. 1682 - 17 luglio 1684), finalmente il D. arrivò a Canton il 27 ag. 1684, quasi quattro anni dopo la sua partenza da Venezia.
Il D. arrivava in Cina in un momento assai difficile per le missioni, dati i contrasti che andavano sviluppandosi tra il Portogallo - che, forte delle sue basi di Goa e di Macao, sedi rispettivamente arcivescovile e vescovile, intendeva esercitare di là il patronato sulle missioni della Cina - e la Congregazione di Propaganda, che mirava ad affermare i diritti della S. Sede e si proponeva di ridurre il patronato portoghese con l'istituzione del vicariato apostolico.
V'erano poi le rivalità fra i missionari di differenti nazionalità, in particolare fra i portoghesi, i francesi e gli spagnoli, e di differenti Ordini, gesuiti, francescani, domenicani, appartenenti alla Società delle missioni estere di Parigi e altri. Infine mancava l'accordo fra gli stessi vicari apostolici: G. Lopez, un domenicano cinese, vicario apostolico di Nanchino ed amministratore delle province settentrionali, e il Pallu, e poi fra quest'ultimo e il provicario D. e fra questi e l'altro provicario C. Maigrot. L'estrema lentezza delle comunicazioni con l'Europa; l'accavallarsi dei decreti di nomina, sovente portati a conoscenza degli interessati con eccessivi ritardi o addirittura quando i destinatari erano già deceduti; la malafede e gli intrighi delle autorità portoghesi e infine una sconcertante mancanza di coordinazione fra la Curia romana, il governo portoghese e i responsabili delle missioni finivano per complicare una situazione già di per sé assai complessa, cosicché ciascuno si riteneva investito di funzioni e di responsabilità spettanti sovente ad altri.
Con il breve Illis quae ad felicem del 16 marzo 1682, conosciuto in Cina molto più tardi, Innocenzo XI aveva disposto la divisione delle nove province cinesi meridionali (Kwangtung, Kwangsi, Yünnan, Szechwan, Kweichow, Fukien, Kiangsi, Hukuang e Chekiang) fra due vicari apostolici: il D. e J. Duchesne, ma senza specificare quali sarebbero spettate a ciascuno, mentre il Pallu, privato della giurisdizione diretta, sarebbe rimasto come amministratore generale delle missioni cinesi. Questi a sua volta, caduto ammalato e sentendosi vicino a morire, aveva disposto nel luglio 1684 per la sua successione, designando come provicari il D. per le prime cinque province sopraindicate e C. Maigrot per le restanti quattro, ma quest'ultimo con funzioni di viceamministratore generale. Il Duchesne era morto il 17 giugno 1684 e poco dopo, il 25 ottobre, morì anche il Pallu.
Avuta notizia nel gennaio 1685 della sua morte, il D., forte del breve di cui era a conoscenza, assunse le funzioni di vicario apostolico per tutte le nove province; ma ciò non bastò per chiarire la situazione, dato il susseguirsi di altri brevi con i quali la Curia modificava ogni volta la ripartizione delle competenze dei vicari apostolici sulle nove province, procedendo nel contempo a nuove designazioni per ricoprire tali funzioni. Così con il breve Cum nos alias dell'11 ott. 1685, Innocenzo XI, ignorando evidentemente la morte del Pallu, suddivise nuovamente le nove province fra lui e il D., cui sarebbero spettate le province del Chekiang, Hukuang, Szechwan. e Kweichow. Appresa poi la morte del Pallu, pubblicò il 5 febbr. 1687 altri tre brevi, con i quali nominava C. Maigrot vicario apostolico del Fukien, J. Pin del Kiangsi e F. Varo del Kwangtung, del Kwangsi e dello Yünnan. Ma prima ancora che quest'ultimo breve fosse reso noto in Cina, il Varo era morto, cosicché nuovi contrasti scoppiarono fra i restanti vicari, sopratutto fra il Maigrot e il D., ciascuno dei quali ritenendo di poter annettere alla propria competenza le province già assegnate al Varo.
Nonostante questi contrasti il D. visitò intensamente le province di sua competenza o che riteneva fossero tali. Effettuò così tre lunghi viaggi (4 maggio 1685-26 febbr. 1686; 20 apr.-20 ott. 1686; dicembre 1687-31 maggio 1690), inframezzati da periodi di sosta a Canton. Dopo il terzo viaggio rimase per circa due anni in questa città, impegnato nei lavori della missione e nelle polemiche col Maigrot.
I contrasti cominciarono ad appianarsi quando i vicari apostolici dovettero far fronte comune per difendersi da un nuovo pericolo. Un punto a vantaggio della politica portoghese del patronato era stato segnato infatti quando papa Alessandro VIII, aderendo a richiesta del re del Portogallo Pietro II e nonostante il contrario parere della Congregazione di Propaganda, istituì il 10 apr. 1690 le diocesi di Pechino e di Nanchino, in aggiunta a quella di Macao (quest'ultima, scoperta da anni, avrebbe avuto giurisdizione sulle attuali province del Kwangtung e del Kwangsi, mentre i limiti della giurisdizione delle altre due diocesi non erano specificati). Come titolari delle tre diocesi - suffraganei dell'arcivescovo di Goa e soggetti quindi al patronato portoghese - erano designati J. de Cazal per Macao, G. Lopez per Nanchino e il D. per Pechino, ciò che per questi ultimi due avrebbe comportato la decadenza della funzione di vicario apostolico.
Si trattava indubbiamente di un'abile mossa della diplomazia portoghese, che però non ebbe immediata completa attuazione, forse a causa di intrighi da parte di chi non aveva interesse a che un francescano occupasse la sede vescovile di Pechino. Infatti soltanto il Cazal prese possesso della sua diocesi nel 1692, mentre gli altri due vennero lasciati in una posizione di equivoca incertezza, non essendo state fatte loro pervenire le bolle di nomina.
Nell'attesa il Lopez morì nel 1691, designando prima di morire G. F. Nicolai come vicario apostolico di Nanchino; mentre al D., cui era stata già data notizia dalla Congregazione di Propaganda della sua nomina a Pechino fin dal febbraio 1690, venne fatto intendere in un secondo tempo che era stato nominato vescovo di Nanchino, anziché di Pechino. Tale notizia gli fu confermata da una lettera a firma di Pietro II in data 23 marzo 1691, cosicché sulla base di essa e delle assicurazioni ricevute anche dal Cazal al suo arrivo dall'Europa nel luglio 1692, si recò il 29 novembre a Nanchino, dove aveva fatto comperare una casa. Ci rimase sette anni, sempre in attesa delle bolle di nomina, in una posizione indubbiamente imbarazzante, inviso alle autorità portoghesi che lo avevano fatto nominare vescovo solo per privarlo della sua qualità di vicario apostolico e che ora, ritenendo di aver raggiunto lo scopo, cercavano di allontanarlo dalla Cina. Fu così che il governo portoghese propose alla S. Sede di trasferirlo a Malacca e per forzar la mano designò nuovi vescovi per Pechino nella persona di F. Grimaldi, gesuita, che però non fu confermato, e per Nanchino nella persona di A. Ciceri, anch'egli gesuita, nominato con disposizione di Pietro II del 3 ott. 1693, confermata il 25 genn. 1694 da papa Innocenzo XII.
Il Ciceri arrivò a Nanchino il 25 giugno 1696 e, date le premesse, entrò subito in contrasto con il Della Chiesa. Gli mostrò le bolle della sua nomina il 17 nov. 1696, cosicché soltanto allora questi gli concesse "libero l'uso della sua giurisdittione ordinaria", riservandosi però la propria in quanto compatibile con l'ordinaria "per non constare in modo alcuno la di lei revocatione" (lettera del D. al cardinale A. Fabroni del 7 ott. 1697, in Sinica franciscana, V [1954], pp. 358-361). Così avevano fatto gli altri vicari apostolici, i quali, pur riconoscendo il Ciceri come vescovo, non ritenevano di aver perduto le proprie facoltà, come se accanto alla giurisdizione ordinaria dei vescovi titolari, vi fosse stato posto anche per quella straordinaria dei vicari apostolici. Il Ciceri volle allora piegarne le resistenze, indirizzando loro e a chi ne seguiva le parti un "monitum" in data 29 apr. 1698, che equivaleva a una minaccia di scomunica.
I contrasti erano però destinati ad attenuarsi man mano che diventava nota in Cina la nuova bolla di Innocenzo XII del 15 ott. 1696, per la quale la giurisdizione delle tre diocesi del patronato portoghese non era estesa a tutta la Cina, come pretendeva Pietro II, ma veniva limitata a sei province (il Kiangnan e lo Honan alla diocesi di Nanchino; il Chihli [oggi Hopei] e lo Shantung alla diocesi di Pechino e il Kwangtung ed il Kwangsi alla diocesi di Macao), mentre il resto della Cina veniva lasciato ai vicari apostolici. Frattanto difficoltà finanziarie, causate dalla irregolare rimessa da parte portoghese dei fondi per il mantenimento della sede vescovile, costrinsero il Ciceri ad assentarsi da Nanchino per quasi tutto l'anno 1699, da lui trascorso a Macao. Quando fece ritorno alla sua sede, il D. era ormai prossimo a partire, essendogli finalmente pervenute il 30 sett. 1699 le bolle che lo nominavano vescovo di Pechino. In effetti egli lasciò Nanchino il 25 giugno 1700; il 19 settembre arrivò a Pechino.
Il D. non doveva aver vita facile neppure nella sua nuova sede. Anzitutto non poté porvi la sua residenza, per disposizione del governo portoghese, che in tal modo accoglieva la richiesta di chi non gradiva un vescovo francescano a Pechino. La stabilì pertanto a Lintsing: nella provincia dello Shantung, dove acquistò una casa. Inoltre non poté aver a Pechino una cattedrale, che, in virtù dell'istituto del patronato, il governo portoghese avrebbe dovuto mettere a sua disposizione. L'unica chiesa disponibile, infatti, apparteneva ai gesuiti, i quali ovviamente non avevano intenzione di cedergliela. Infine, fu costantemente afflitto dai problemi causati dalla irregolare e discontinua rimessa di fondi da parte delle autorità portoghesi di Macao ed ai quali poté far fronte perché fu assistito dalla Congregazione di Propaganda.
La missione di Ch.-Th. Maillard de Tournon in Cina doveva farlo compartecipe, suo malgrado, delle conseguenze della malinformata politica della Curia romana che credette poter trattare l'imperatore K'ang-hsi come un qualsiasi sovrano europeo, e di cui il legato piemontese fu il rigido e disciplinato esecutore. Con il decreto del 20 nov. 1704, infatti, il S. Offizio aveva solennemente condannato i cosiddetti "riti cinesi", cioè, fra l'altro, i sacrifici in onore di Confucio e degli antenati, che Matteo Ricci ed i missionari più aperti avevano considerato come semplici cerimonie civili, non incompatibili col culto cristiano, e che ora venivano invece condannati come pratiche superstiziose, da proibire ad ogni fedele. Il decreto rappresentava il trionfo di quanti, ignorando la realtà della Cina, si erano sempre opposti alla strategia ricciana di cercare di convertire la Cina accettando quanto più possibile del confucianesimo, considerato come una morale, una dottrina dello Stato e non come una fede religiosa.
Sbarcato a Canton il 6 apr. 1705 e direttosi subito al Nord, il Tournon incontrò il D. nella sua sede di Lintsing. Arrivato a Pechino il 4 dicembre e cadutovi ammalato, venne raggiunto dal D. che lo assisté a lungo e che gli consigliò, ma invano, di assumere un atteggiamento conciliante con l'imperatore quando questi lo avrebbe ricevuto. Tutto fu inutile. Dopo l'udienza del 29 giugno 1706, durante la quale fu trattato con cortesia, il Tournon ricevette l'ordine di lasciare la Cina. Mentre da un lato il 17 dic. 1706 K'ang-hsi disponeva che i missionari desiderosi di restare in Cina dovessero munirsi di uno speciale diploma imperiale, il Tournon pubblicò il 7 febbr. 1707 il noto "mandato" con il quale richiedeva a tutti i missionari di giurare obbedienza a quanto disposto dal decreto del S. Offizio prima di richiedere il rilascio del diploma imperiale. Il D., che si era affrettato a farsi rilasciare il diploma, ottenendolo il 4 febbraio, giurò anche lui disciplinatamente di obbedire al mandato (2 aprile) e impartì a tutti i missionari da lui dipendenti l'ordine di fare altrettanto; ma non mancava di esprimere in una relazione del 12 novembre inviata a Roma le sue critiche al Tournon che, a suo dire, aveva causato la "perdita della missione" (Sinica franciscana, V, pp. 520-534). ovverossia la fine dell'esperimento tentato da Matteo Ricci forse con troppo anticipo sui tempi.
Nei suoi ultimi anni il D. fu impegnato a parare i contraccolpi che la politica della Curia romana aveva provocato in Cina e a comporre le immancabili controversie fra i missionari. Vecchio e stanco, non svolse alcuna parte di rilievo in occasione della missione in Cina di C. A. Mezzabarba (23 sett. 1720-9 dic. 1721), al quale aveva consigliato prima della partenza dall'Europa - ma anche in questo caso non ascoltato - di non assumere un atteggiamento negativo nei riguardi della questione dei "riti". In una sua lettera del 17 ag. 1719 (Sinica franciscana, V, pp. 736-738)così gli scriveva: "Se V.S.Illma tiene autorità da Sua Santità di permettere li riti, tutte le cose anderanno bene. Se no, umanamente non possiamo aspettare cosa buona...".
Il D. morì il 20 dic. 1721 a Lintsing, dove fu sepolto, finché nel 1920 le sue ossa e la lapide, con una iscrizione latina di C. Orazi da Castorano, vennero trasferite a Tsinan.
Il D. non ha lasciato scritti in lingua cinese, di cui d'altra parte non era profondo conoscitore. Le sue lettere, relazioni, memorie in lingue occidentali sono state pubblicate pressoché totalmente in Sinica franciscana, V (1954): Relationes et epistolas Illmi D. Fr. Bernardini Della Chiesa, a cura di A. Van den Wyngaert-G. Mensaert, e VI (1961): 1, pp. 419-786: Relationes et epistolas primorum fratrum minorum Italorum in Sinis: D. Fr. Bernardini Della Chiesa, a cura di G. Mensaert-F. Margiotti-S. Rosso.
Fonti e Bibl.: Lettera a Madama di Lionne sopra il libello de' Gesuiti contro a Monsignore vescovo di Rosalia suo figliolo, Roma 1701, pp. 29-40; G. F. Gemelli Careri, Giro intorno al mondo, Venezia 1719, IV, pp. 51 s., 63; Marcellino da Civezza, Saggio di bibliogr. geogr., stor., etnografica sanfrancescana, Prato 1879, n. 136; A. Launay, Lettres de Mgr. Pallu, Paris 1904, passim; Illmus et Revmus Bernardinus D., episcopus Pekinensis (1644-1722). Docum. authentica de eius vita et sepultura, a cura di S. Cimino, in Acta Ordinis minorum (Romae), XL (1921), 5, pp. 132-138; B. Bazzocchini, Cronaca della Provincia serafica di S. Chiara d'Assisi, Firenze 1921, pp. 402-405; J. J. Heeren, The romance of a bishop's grave, in The Chinese Recorder, luglio 1923; Id., Bishop D. and the story of his lost grave, in Journal of the North China Branch of the Royal Asiatic Society, LVI (1923), pp. 182-199; Id., Some new light on the life and times of bishop D., ibid., LVIII (1925), pp. 87-109; A. Thomas, Histoire de la mission de Pékin, I-II, Paris 1923, passim; A. Schmucker, Duo errores corrigendi circa sepulchrum Illmi ac Rmi episcopi Bernardini D., in Acta Ordinis minorum, XLIV (1925), pp. 283 ss.; K. Menz, Episoda e tempore Mgr. Bernardini D., in Communicationes, VIII (1929), pp. 19-22; R. Streit, Bibliotheca missionum, V, Freiburg 1929, ad Ind.; VII, Aachen 1931, ad Ind.; P. Teepe, Mgr. Bernardinus D. ultimus episcopus O. F. M. Pekinensis, in Apostolicum, III (1932), pp. 88-93, 140-143, 471-477; L. Baudiment, François Pallu, principal fondateur de la Société des missions etrangères, Paris 1934, ad Ind.; A. Van den Wyngaert, Mgr. François Pallu et Mgr. Bernardin D., in Arch. franciscanum historicum, XXXI (1938), pp. 17-47; Id., Le patronat portugais et Mgr. Bernardin D., ibid., XXXV (1942), pp. 3-34; Id., Les dernières années de Mgr. D., ibid., XXXVIII (1945), pp. 82-105; Id., Mgr. B. D. évêque de Pékin et Mgr. Ch.-Th. Maillard de Tournon, patriarche d'Antioche, in Antonianum, XXII (1947), pp. 65-91; A. S. Rosso, Apostolic legations to China of the Eighteenth Century, South Pasadena-Roma, 1948, ad Indicem; G. Mensaert, Létabliss. de la hiérarchie catholique en Chine de 1682 à 1721, in Arch. franciscanum historicum, XLVI (1953), pp. 369-416; Id., Les franciscains au service de la Propagande dans la Province de Pékin, 1705-1785, ibid., LI (1958), pp. 273-311; Encicl. cattolica, IV, col. 1371.