GIRAUD, Bernardino
Nacque a Roma il 14 luglio 1721 dal conte Pietro e da Altilia dei conti Zagaroli, terzogenito di cinque figli (con Alessio, Stefano, Ferdinando e Plautilla). La famiglia, d'origine francese (ma il cognome era pronunciato, all'italiana, Giràud), si era trasferita a Roma da Lione, dove si era arricchita con la mercatura, verso la metà del secolo XVII con Jean, il cui figlio Pietro sopra menzionato (il primo nato a Roma) fece grandi acquisti di beni immobili nel Lazio, conseguendo col titolo comitale una solida posizione sociale, sottolineata dall'acquisto (per 14.000 scudi) del monumentale palazzo di Borgo (oggi in via della Conciliazione), già attribuito al Bramante, e in seguito della villa del Vascello.
Della prima educazione del G. non si sa molto. Studiò filosofia e teologia nel collegio Tolomei di Siena con Lorenzo Ricci, futuro generale dei gesuiti, laureandosi in utroque iure nell'Università di quella città l'11 sett. 1738. Rientrato a Roma nel 1739 ricevette la tonsura dal vicegerente F. Spada. Protetto dal card. L.M. Torrigiani e godendo della benevolenza di Benedetto XIV e Clemente XIII, entrò subito nella carriera prelatizia, facendovi rapidi progressi: referendario utriusque Signaturae, delegato apostolico a Norcia, ponente della congregazione del Buon Governo, giudice della Fabbrica di S. Pietro, luogotenente della Camera apostolica, votante del supremo tribunale della Segnatura di giustizia; finalmente il 26 apr. 1763, avendo dimostrato di possedere una rendita di 2000 ducati, venne accolto uditore di Rota al posto del defunto P. Frangipane. Ordinato sacerdote il 19 marzo 1767, il 6 aprile successivo Clemente XIII lo preconizzò arcivescovo di Damasco inpartibus infidelium, ordinandolo personalmente il 26 dello stesso mese e nominandolo il 28 seguente nunzio apostolico presso la corte di Francia, carica cui aggiunse il 28 giugno il titolo di assistente al soglio pontificio.
Abile e insinuante, il G. riuscì presto ad accattivarsi la simpatia di Luigi XV (al cui tavolo da gioco era spesso ammesso) e, soprattutto, la protezione di Marie-Jeanne Bécu contessa Du Barry, astro nascente di quella corte, che assecondò in delicate questioni ottenendo in cambio favori e prebende, fra cui la ricca abbazia di Gorze, che conservò come commendatario anche dopo la fine della missione in Francia. Dimostrandosi abile diplomatico, riuscì comunque a mantenere rapporti abbastanza buoni anche col ministro C. de Choiseul, che avversava la favorita, anche se non mancarono con quello alcuni scontri. Erano momenti difficilissimi per i rapporti fra la S. Sede e gli Stati borbonici, specialmente per la questione dei gesuiti. Il G. si trovò a gestire l'intricata situazione destreggiandosi fra le parti, pur essendo noto a Roma il suo attaccamento alla Compagnia e al cardinal Torrigiani, al quale era debitore della sua fortuna. Sembra inoltre che a un certo punto, quando la questione dei gesuiti si avviava ormai a conclusione, Clemente XIV evitasse di tenerlo al corrente degli sviluppi a Roma, perché lo sospettava di relazioni occulte col Torrigiani e con il padre Ricci; e forse non fu casuale che il suo richiamo avvenisse proprio alla vigilia della soppressione, cui assisté appena rientrato a Roma. Infatti la sua presenza a Parigi aveva sempre destato preoccupazioni nei rappresentanti spagnoli a Roma, specialmente in J. de Moñino (successivamente conte di Floridablanca) e nel ministro G. Grimaldi.
Nella sua qualità di nunzio il G. godeva per tradizione della carica di superiore generale delle carmelitane di Francia: ciò gli permise di vivere da protagonista un avvenimento di grande rilievo per la corte di Versailles, quando la figlia prediletta del re, Luisa Maria di Francia, decise di farsi religiosa nel Carmelo. Egli poté così presiedere le solenni cerimonie della vestizione della principessa, con la quale aveva familiarità, e un anno dopo, nel settembre 1771, assistito da tre arcivescovi e quindici vescovi, alla sua professione a Saint-Denis, per la quale con speciale breve era stato delegato a rappresentare il papa stesso e autorizzato a vestire per l'occasione paramenti cardinalizi, ricevendo una gratifica di 20.000 franchi.
La sua missione diplomatica seppe comunque mietere qualche successo in altre controversie, come quella assai aspra che sottrasse al Parlamento di Parigi la trasmissione ai vescovi della bolla per l'indizione del giubileo, o quella sulle nuove costituzioni degli ordini regolari in Francia, o quella sulla collazione dei vescovi della Corsica e sulla restituzione di Avignone.
Certo però egli dedicò molte energie e abilità anche alle sue questioni personali, riuscendo a creare un'efficace rete di pressioni per ottenere il cardinalato: manovravano da Versailles la Du Barry e, dopo la caduta di Choiseul (20 dic. 1770), il nuovo ministro degli esteri duca A. d'Aiguillon, e da Roma l'ambasciatore F.-J. de Pierre de Bernis, in ottimi rapporti col Giraud. Inoltre, siccome il papa resisteva, il re stesso arrivò a scrivergli personalmente, per ricordargli che, sulla base di alcune vaghe promesse fattegli da Clemente XIV in una lettera del 26 sett. 1770, egli aveva impegnato la propria parola al nunzio di ottenergli la porpora. Così il papa, obtortocollo, nel concistoro segreto del 17 giugno 1771 lo creò cardinale dell'ordine dei preti, riservandosi però la nomina in pectore (lasciò trasparire il suo dispetto al momento della pubblicazione, dichiarando maliziosamente che aveva voluto premiare la sua abilità, "in rebus praesertim suis"). Lo pubblicò nel concistoro del 19 apr. 1773, solo dopo averlo preconizzato il 15 marzo precedente, mentre il G. stava lasciando la Francia, essendo stato nominato arcivescovo di Ferrara. Infatti la berretta gli fu recata nel corso del viaggio, a Viterbo, dal fratello Stefano, nominato per l'occasione ablegato apostolico. Nel concistoro pubblico del 15 luglio gli fu imposto il galero, in quello del 20 dicembre gli venne attribuito il titolo della Ss. Trinità al Monte Pincio, e il 26 gli fu concesso il pallio.
Non avendo alcuna attitudine ed esperienza pastorale, il G. non fu entusiasta della nomina a Ferrara, la cui sede vacava da 5 anni: spedì da Parigi la sua prima lettera pastorale il 4 aprile, e fece prendere possesso della diocesi per procura dall'arciprete della metropolitana G.B. Bonacossi il 27 dello stesso mese. A Ferrara andò solo nel gennaio 1774, conducendo con sé l'eruditissimo F. Cancellieri, e fece il solenne ingresso il giorno 19. Elesse subito a suo teologo e guida il dotto domenicano A. Chignoli, che a suo nome promosse un vasto tentativo di riordino degli istituti religiosi ferraresi. Ma l'amministrazione del G. fu breve: in ottobre, mentre si trovava a Bertinoro, la notizia della morte di Clemente XIV lo spinse a partire immediatamente per Roma. A Ferrara tornò dopo il conclave solo per un breve periodo, nel settembre 1775, intimando il 29 una visita pastorale e impartendo le cresime; ma subito dopo tornò a Roma, da dove il 19 febbr. 1776 inviò come vicario generale un mons. Antonini.
Il ruolo del G. nel lungo conclave che portò all'elezione di Pio VI nel febbraio 1775 fu di notevole rilievo, specialmente se si considera che egli era un cardinale di recente nomina: si dimostrò molto attivo come membro del partito moderato, spalleggiando con la sua esperienza diplomatica i cardinali A. Albani e F.S. de Zelada in appoggio alla candidatura di G.A. Braschi. Sembra addirittura che riuscisse a impedire all'ambasciatore francese di far uso dell'"esclusiva" di Francia che quello aveva in serbo per il Braschi, esibendo una lettera autografa di Luigi XVI in cui il re dichiarava di non avere alcuna riserva per quel cardinale. Sta di fatto che Pio VI mostrò la più viva riconoscenza per il G., offrendogli qualsiasi carica che volesse richiedere: egli scelse (e la conservò fino alla morte) quella di pro-uditore (auditor Sanctissimi), che lo rendeva in pratica giudice onnipotente in tutti i campi come rappresentante della suprema volontà papale, specialmente con un segretario di Stato debole e smemorato come il cardinale L.O. Pallavicini, che lasciava tutto nelle mani di altri prelati, dei quali il G. fu il più attivo. Molte altre concessioni egli ebbe dalla benevolenza di Pio VI (che più volte si spinse a rendergli visita nel suo palazzo di Borgo), non ultima l'agognata accettazione delle sue dimissioni dalla sede ferrarese, sancita nel concistoro del 17 febbr. 1777 (v. la Pastorale del card. B. Giraud arcivescovo di Ferrara annunciante le dimissioni da quella diocesi, s.l. 1777, 2 pp. n.n.). Il G. fece parte delle congregazioni del Concistoro, dell'Esame dei vescovi, del Concilio, dei Vescovi e regolari, della Reverenda Fabbrica, delle Indulgenze e Sacre Reliquie; già protettore dell'Ordine gerosolimitano, dal 10 genn. 1776 lo fu dell'Ordine di S. Gerolamo della Congregazione dell'osservanza di Lombardia, dal 13 genn. 1777 del Terz'Ordine regolare di S. Francesco e dal 14 dei frati minori osservanti, nonché di innumerevoli cittadine e conventi degli Stati pontifici. Il 2 apr. 1781 venne nominato camerlengo del S. Collegio.
La situazione cambiò però radicalmente nel 1782, quando il papa decise la discussa visita all'imperatore Giuseppe II a Vienna: il G. vi si oppose strenuamente, fino a creare serie tensioni, al punto che all'udienza di commiato non si presentò, mandandovi il suo uditore mons. A. Roverella. Durante l'assenza di Pio VI circolarono a Roma insistenti voci sul fatto che a Vienna il papa avesse scoperto gravissime irregolarità commesse dal suo prouditore (rescritti di concessioni fatte a sua insaputa all'imperatore, in una situazione tanto delicata e controversa) e che fosse furioso con lui, minacciando gravissime punizioni al suo ritorno. Perciò quando, prima di tale ritorno, la notte del 3 maggio 1782, dopo una colica improvvisa, il G. venne a morte nel suo palazzo, corsero dicerie insistenti e romanzesche. Si disse che non era morto ma fuggito in Francia, dove godeva di potenti protezioni, e che il cadavere sepolto con gran cerimonie cardinalizie nella cappella di famiglia in S. Maria in Vallicella fosse quello di un morto prelevato nel vicino ospedale di S. Spirito in Saxia, cui era stata imposta una maschera di cera con le sembianze del cardinale. A prova della falsità di tali sospetti fu addotto il suo testamento: salvo cospicui legati ai familiari e ai domestici, egli nominava eredi universali i poveri nella persona di Pio VI, che accettò l'eredità destinandola al Conservatorio Pio per l'erezione di una scuola a S. Salvatore in Lauro. Da altri però tale fatto venne considerato un'ulteriore astuzia del Giraud. Risulta comunque che il papa rimase in buoni rapporti coi fratelli del cardinale, Alessio e Ferdinando, che nel 1796, quando egli chiese aiuto militare ai sudditi, si offrirono volontari e fornirono a loro spese 30 uomini armati a cavallo.
Fonti e Bibl.: Arch. segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Francia, 1767-1773, cifre (spec. 455, c. 118; 461, c. 137); Archivo general de Simancas, Estado, legajos 5044, 5233. Purtroppo il vol. IV delle lettere di Clemente XIV (19 maggio 1772 - 19 maggio 1773), della massima importanza per la storia della nunziatura del G., è scomparso dagli archivi vati-cani. Diario di Roma, 1771, nn. 8226 e 8318; 1778, n. 8468; 1782, n. 768; 1787, n. 1324; G. Manini Ferranti, Compendio della storia sacra e politica di Ferrara, V, Ferrara 1809, pp. 129-139; F.L. Bertoldi, Vescovi e arcivescovi di Ferrara, Ferrara 1818, pp. 52-54; G. Cappelletti, Le Chiese d'Italia, IV, Venezia 1846, pp. 180 s.; A. Theiner, Storia del pontificato di Clemente XIV, II-III, Milano 1855, passim (in partic.: II, pp. 24 s., 28 s., 39 s., 112 s., 119 s., 123 s., 129-149, 237-240, 281 ss., 291 ss., 308, 367, 374 ss.; III, pp. 154 ss.); F. Masson, Le cardinal de Bernis depuis son ministère, de 1758 à 1794, Paris 1884, pp. 196 s. e passim; E. Pacheco y de Leyva, El conclave de 1774-75, Madrid 1915, p. 485 e passim; L. von Pastor, Storia dei papi, XVI, 1-3, Roma 1933-34, ad indicem; H. Hoberg, Der Amtsantritt des Rotarichters B. G. (1762-63), in La Bibliofilia, LX (1958), pp. 142-164 (ripreso in Studi e ricerche in memoria del card. G. Mercati, Firenze 1959, pp. 141-165); G. Meluzzi, Gli arcivescovi di Ferrara, Bologna 1970, pp. 52-56; D. Silvagni, La corte pontificia e la società romana nei secoli XVIII e XIX, Roma 1971, I, p. 165; II, p. 242 (con ritratto in incisione recante la data di morte errata del 5 maggio 1781); III, pp. 74, 252, 260 s.; IV, p. 277; G. Moroni, Diz. di erudizione storico-ecclesiastica, XXXI, pp. 81-83; XXIV, p. 184; R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia catholica…, VI, Patavii 1958, pp. 27 n. 40, 28 n. 41, 191 e n. 4, 215 e n. 6 (che lo dice erroneamente morto il 5 maggio 1782); Enc. cattolica, VI, col. 651; Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XX, col. 1486.