GRAZZINI, Bernardino
Nacque presumibilmente a Firenze nel secondo decennio del secolo XVI da ser Matteo di Tommaso, notaio, e da Lisabetta di ser Francesco Muzzi.
La famiglia Grazzini era originaria di Staggia, in Valdelsa, da cui alcuni antenati del G. si erano trasferiti a Firenze ai primi del Quattrocento. Grazie alla professione di notaio, tradizionalmente esercitata da molti di loro, si erano inseriti nell'apparato burocratico del governo comunale, ricoprendo a più riprese l'ufficio di notaio della Signoria e altri uffici notarili. A un secolo di distanza dall'emigrazione in città la famiglia conservava ancora importanti interessi economici a Staggia, dove anche il G. effettuò investimenti immobiliari e commissionò manufatti per la chiesa parrocchiale.
Poco si sa dei primi anni del G., trascorsi presumibilmente nella casa paterna; ancora molto giovane fu però costretto a lasciare Firenze per trasferirsi a Roma. Il motivo del forzato trasferimento va senza dubbio ricondotto al suo coinvolgimento in una rissa in cui fu ferito gravemente un certo Giovanni, detto Piloto, di professione orafo, che in seguito a tali ferite morì il 4 ag. 1536 (Arch. di Stato di Firenze, Arte dei medici e speziali, 250, alla data). Il primo documento che testimonia la presenza a Roma del G. è un atto di procura a favore del padre del 5 apr. 1537, con cui lo delega a ottenere il beneficio della pace dagli eredi del suddetto Giovanni (Ibid., Notarile antecosimiano, 8843, c. 36v).
A Roma il G. condusse a termine la sua formazione, presumibilmente già indirizzata fin dagli anni fiorentini al conseguimento dello status sacerdotale: in un documento dell'8 apr. 1542 viene definito "clericus Florentinus". Contemporaneamente dovette incominciare a frequentare gli ambienti della Curia pontificia, legandosi, fin dai primi tempi del suo soggiorno romano, agli Ardinghelli, potente famiglia di origine fiorentina che dal pontificato di Leone X si era stabilmente insediata ai più alti livelli prelatizi e affaristici della Curia. In particolare, l'8 apr. 1542 fu incaricato da Niccolò Ardinghelli, datario apostolico, vescovo di Fossombrone e vicelegato di Perugia, di recarsi ad amministrare, in qualità di suo "negotiorum gestor" uno dei numerosi benefici ecclesiastici di cui era titolare, quello della chiesa di S. Giorgio, a Luzzara, nella diocesi di Mantova. Qui il G. rimase per alcuni anni e poi fece ritorno a Roma. In seguito, almeno dal 1551, appare al servizio in qualità di segretario di Ascanio Della Cornia, condottiero e uomo politico, nipote di papa Giulio III, che in suo beneficio aveva eretto in feudo la città di Castel della Pieve (oggi Città della Pieve), staccandolo dalla Legazione di Perugia. Nel suo ruolo di segretario il G. seguiva il Della Cornia nei suoi spostamenti e fu con lui anche alla guerra di Siena, dove il Della Cornia militava per la parte imperiale. Così il G. fu testimone oculare dei fatti avvenuti il 23 marzo 1554 presso Chiusi, quando il Della Cornia, vittima del tradimento di Santaccio da Pistoia, cadde prigioniero dei Senesi. Di questo episodio il G., che si salvò a stento dalla stessa sorte fuggendo a Castel della Pieve, fece pochi giorni dopo un dettagliato resoconto destinato al fratello del Della Cornia, il cardinale Fulvio (pubblicato in Prunai, pp. 44-51, dove il G. è considerato per errore un militare).
Dopo l'elezione al papato di Giovan Pietro Carafa, nel maggio 1555, il Della Cornia fu privato del suo feudo umbro e, trovandosi contemporaneamente sprovvisto anche di commesse militari, pensò di rivolgersi al duca di Firenze, grande amico della sua famiglia; a questo scopo inviò il G. come latore di una richiesta di aiuto. Nella lettera di istruzioni che doveva indirizzare l'operato del G. (ora senza data, ma originariamente allegata alla lettera del Della Cornia a Cosimo I de' Medici del 22 luglio 1555), si parlava genericamente di chiedere al duca di intervenire per quanto in suo potere per migliorare la situazione. Il viaggio del G. a Firenze fece però nascere sospetti su presunte trame del Della Cornia per riprendersi manu militari il suo feudo con l'aiuto di Cosimo; ciò indusse i suoi nemici, primo fra tutti il cardinal nipote, Carlo Carafa, a far controllare attentamente i movimenti, tanto del Della Cornia quanto del Grazzini. Nel successivo mese di febbraio fu intercettata una lettera scritta dal G. al conte Sforza di Santa Fiora, in cui si accennava ai mezzi di vettovagliamento delle truppe pontificie e questo fatto fornì il pretesto per arrestarlo con l'accusa di aver rivelato notizie riservate concernenti la sicurezza dello Stato della Chiesa. Il 14 febbr. 1556 fu rinchiuso in Castel Sant'Angelo e poi trasferito nelle segrete di Tor di Nona. Vittima di duri interrogatori (i verbali si conservano nell'Arch. di Stato di Roma, Tribunale del governatore, Processi del XVI secolo, voll. 30, f. 10; 99, f. 1; 105, f. 4; 111, f. 11) corredati anche da tratti di fune, finì per ammettere che un progetto per un colpo di mano su Castel della Pieve c'era stato davvero, ma che poi il Della Cornia vi aveva rinunciato per non compromettere ulteriormente la sua posizione presso il pontefice. Le ammissioni del G. ebbero pesanti conseguenze per il Della Cornia che, oggetto a sua volta di mandato di cattura, si salvò a stento con la fuga, riparando a Napoli.
Dopo alcune settimane trascorse nella prigione romana, il G. fu tradotto a Napoli, dove fu messo "sopra a due galere che vi si fabricano per la religione [gerosolimitana]" (dispaccio dell'oratore fiorentino a Roma B. Gianfigliazzi al duca Cosimo I del 9 maggio 1556, Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 3275, non cartulato). Dopo quasi quattro mesi fu liberato per intercessione di Cosimo I e tornò a Firenze presso la famiglia. Il 6 sett. 1556 indirizzò al duca una lettera di ringraziamento e, benché gli fosse stata prospettata la possibilità di tornare al servizio del Della Cornia, chiese di entrare nella Cancelleria medicea.
L'8 dicembre di quello stesso anno fu inviato come addetto d'ambasciata in Inghilterra, in aiuto di Alfonso Tornabuoni, vescovo di Borgo San Sepolcro che già vi si trovava. Il G. fu espressamente incaricato, prima di dirigersi nell'isola, di passare per la Germania e di consegnare una considerevole somma di denaro al condottiero Giovan Battista d'Arco perché arruolasse truppe per conto del duca di Firenze, che intendeva armarsi per poter meglio difendere il possesso di Siena.
Il 7 giugno 1557 il G. giunse effettivamente a Londra, ma vi si trattenne pochi giorni: era nel frattempo ripresa la guerra tra i Francesi e gli Imperiali e la necessità di riferirne puntualmente al sovrano gli impose di ritornare insieme con il Tornabuoni sul continente.
Era il G. che, a preferenza dell'ambasciatore titolare, relazionava sui movimenti degli eserciti e fu lui che in data 27 ag. 1557 annunciò con toni entusiastici al suo sovrano la vittoria degli Imperiali a San Quintino. Nel successivo mese di settembre l'ambasciatore Tornabuoni fu sostituito da Bernardo Minerbetti, vescovo di Arezzo, mentre il G. rimase come segretario anche con quest'ultimo. Terminata la guerra, compito precipuo del G. divenne quello di inviare a Firenze dettagli e anticipazioni sulle trattative di pace, firmata a Cateau Cambrésis il 2 apr. 1559.
Dopo la separazione della Spagna e dei territori italiani dal resto dell'Impero, la rappresentanza diplomatica toscana si sdoppiò: il Minerbetti e il G. furono destinati alla Spagna e pertanto si stanziarono a Madrid, dove Filippo II aveva fissato la propria residenza.
Il carteggio del G. di questo periodo, ormai risolta la questione di Siena, è incentrato su questioni di minore rilevanza: la cessione a Cosimo della rocca di Sovana, ancora in mano del conte di Pitigliano, Niccolò Orsini, alleato dei Francesi, l'importazione di grano dalla Sicilia, una convenzione per l'utilizzo da parte del re di Spagna delle galere toscane, il matrimonio del principe ereditario Francesco de' Medici con una delle arciduchesse austriache.
Il G. tornò a Firenze nel dicembre 1562 e per alcuni mesi rimase presso quella corte, occupandosi della corrispondenza del duca Cosimo e del principe Francesco. Il 1° maggio 1563 ripartì per la Spagna al seguito di un altro ambasciatore toscano, Chiappino Vitelli, inviato per perorare l'assegnazione al duca di Firenze della contea di Pitigliano, che in quel periodo si era ribellata al suo conte, Niccolò Orsini, e che Cosimo de' Medici aveva fatto occupare militarmente. Avviate positivamente le trattative con Filippo II, il Vitelli fece ritorno in Toscana nel dicembre di quello stesso anno, lasciando il G. in qualità di ambasciatore ad interim, a sbrigare le incombenze ordinarie.
Il soggiorno del G. a Madrid si protrasse fino all'8 maggio 1565. Dopo di allora sembra non essersi più mosso dalla Toscana, limitando i suoi spostamenti alle varie residenze ducali e occupandosi, fino alla fine della sua vita, della corrispondenza ordinaria prima del duca Cosimo, poi del suo successore.
Nel frattempo aveva fatto assumere alla Corte medicea anche due suoi fratelli: Francesco come scrivano presso l'amministrazione delle miniere, Orazio come scalco del duca. La morte di quest'ultimo ai primi di luglio del 1581 lo indusse a dettare il suo testamento, in data 6 luglio di quell'anno, con il quale divise le sue proprietà tra il fratello superstite e le nipoti, figlie di quello defunto. Previde anche un modesto legato a favore di una donna, da lui stesso riportata a una vita onesta e indotta a entrare nel monastero fiorentino delle convertite.
Il G. morì a Firenze il 3 dic. 1581 e fu sepolto nella tomba di famiglia nella chiesa del monastero di S. Pier Maggiore.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 636, c. 8; 447, c. 761; 462, c. 692; 3275 (non cartulato, alle date 15 febbr. 1555, 6 e 9 maggio 1556); 455, c. 104; 456, cc. 622, 721; 2634, cc. 421, 492; Notarile antecosimiano, 8843, c. 36v; 8844, c. 60v; 6646, cc. 170, 326, 355; 8847, cc. 319, 378; Notarile moderno, 2436, c. 32v; Carte Strozziane, s. 1, 353, pp. 57-67; Diplomatico, Dono Torrigiani, 8 e 24 apr. 1542; Carte Sebregondi, 2729; Decima granducale, 2594, c. 104; 3593, cc. 319, 351; 2283, c. 120; 2273, c. 1; 2295, c. 8; Manoscritti, 321, p. 152; Archivio Mediceo del principato. Inventario sommario, Roma 1951, ad indicem; Arch. di Stato di Firenze, Carteggio universale di Cosimo I de' Medici, Firenze 1990-98, V, VIII-IX, ad indices; G. Coggiola, Ascanio Della Cornia e la sua condotta negli avvenimenti del 1555-56, in Bollettino della R. Deputazione di storia patria per l'Umbria, X (1904), pp. 109-112, 144-147; R. Marzini, Antico castello e terra di Staggia, in Miscellanea storica della Valdelsa, XXXI (1923), p. 106; G. Prunai, Ascanio Della Cornia e la sorpresa di Chiusi, in Bullettino senese di storia patria, XLV (1938), pp. 6, 16-18, 35, 44-51; M. Del Piazzo, Gli ambasciatoritoscani del principato, Roma 1953, pp. 77, 98, 106, 143; R. Cantagalli, La guerra di Siena. 1552-1559, Siena 1962, pp. XXX, 491, 551, 555; I. Polverini Fosi, Della Cornia, Ascanio, in Diz. biografico degli Italiani, XXXVI, Roma 1988, pp. 761-767.