LONATI (Lunati, da Lunà), Bernardino
Nacque a Pavia nel 1451 o 1452 da Filippina Beccaria e da Antonio, miles auratus, importante condottiero dell'esercito visconteo che parteggiò per la successione di Francesco I Sforza nel Ducato di Milano.
L'esistenza del L. fu strettamente intrecciata a quella del protonotario e poi cardinale Ascanio Maria Sforza (fratello di Ludovico il Moro), di poco più giovane, il quale trascorse a Pavia la prima parte della sua vita e accolse nella sua familia diversi esponenti della locale aristocrazia, fra cui almeno un altro membro di casa Lonati. Di tutti costoro, il L. sarebbe divenuto il più fidato, vero e proprio alter ego del grande prelato, al cui servizio egli compare a partire dai primi anni Ottanta del XV secolo con la qualifica di segretario. Questa mansione presupponeva, oltre a una totale fedeltà, il possesso di requisiti come l'abilità calligrafica e un'infarinatura letteraria; non restano però tracce di sue presumibili competenze umanistiche.
Il L. associò in sé le funzioni di segretario e di agente fiduciario di Ascanio, e fu impegnato in missioni diplomatiche per conto di lui. Nel novembre 1483 fu mandato a Roma per sovrintendere ai negoziati per la promozione cardinalizia dello Sforza. Questi, ottenuta l'importante dignità il 14 marzo 1484, nell'agosto successivo si trasferì a Roma per partecipare al conclave che doveva eleggere il successore di Sisto IV e portò con sé il L. come proprio conclavista.
Stabilitosi nella dimora romana del cardinale Sforza, il L. vi svolse ordinariamente le funzioni di cancelliere, sottoscrivendo le missive che questi gli dettava. All'occorrenza, fu impiegato in missioni diplomatiche private: nella primavera-estate 1486 fu inviato a Napoli per adoperarsi per la cessazione della guerra dei baroni; nel luglio 1487 venne mandato a Milano per valutare le possibilità che il suo padrone aveva di farsi nominare reggente del Ducato in caso di morte di Ludovico il Moro. Raggiunto da Ascanio nel novembre, il L. vi sarebbe rimasto con lui per quasi un anno.
Rientrato a Roma nell'autunno 1488 insieme con Ascanio, il L. ne divenne l'attivissimo portavoce durante i negoziati segreti che portarono alla creazione cardinalizia del tredicenne Giovanni de' Medici (futuro Leone X). A questo grande successo negoziale lo Sforza ne aggiunse uno maggiore, al conclave del 1492, dove riuscì a fare eleggere papa il suo amico Rodrigo Borgia che assunse il nome di Alessandro VI. Il L., che era stato nuovamente suo conclavista, fu associato al trionfo.
Chiamato a vivere al palazzo apostolico a fianco del padrone, che aveva conseguito la dignità di cardinale palatino e la carica importantissima di vicecancelliere, il L. fu investito del titolo di protonotario apostolico e poté fungere da intercessore per l'ottenimento di bolle e di brevi apostolici di contenuto ordinario. Da questo momento, il suo avanzamento nella carriera curiale sarebbe divenuto un elemento ausiliario di primaria importanza nella strategia di avvicinamento alla successione papale, che Ascanio intraprese grazie a un obbligo di gratitudine che Alessandro VI, almeno inizialmente, non poté disconoscere.
Con una segreta promessa fatta in conclave, R. Borgia si era impegnato, una volta papa, a creare il L. cardinale alla prima occasione utile. Tuttavia, egli non era ben disposto verso il ligio segretario del suo grande elettore e dovette essere persuaso dalle insistenze di Adriana Del Milà, sua parente e amica dello Sforza. Alla fine la manovra riuscì: il 20 sett. 1493 il L. fu compreso nella rosa dei dodici nuovi cardinali, ricevendo il titolo diaconale di S. Ciriaco in Thermis.
La promozione cardinalizia del L. non ebbe altro fine se non quello di preparare ad Ascanio una stabile base di voti nel futuro conclave. Ne fu riprova il comportamento che il L. mantenne anche dopo l'elevazione alla porpora, sempre improntato all'esecuzione degli ordini dello Sforza. Nella fama pubblica egli fu sempre designato come il cardinale creato "a requisitione" di Ascanio (Sanuto, 1873); anche F. Guicciardini, dopo la sua morte, lo ricordò come "cardinale dependente in tutto da Ascanio".
Ubbidendo ai suoi doveri di patrono, al momento della promozione cardinalizia lo Sforza donò al L. una somma di denaro e molte suppellettili per allestire una casa in proprio, che sarebbe stata presa in affitto. Era però chiaro che la nuova condizione non significava la fuoruscita del L. dalla domesticità con Ascanio, nella cui dimora egli continuò a risiedere. Ufficialmente dovette passare la carica di cancelliere a un altro servitore dello Sforza; ma per il resto, continuò a esserne l'uomo di fiducia dentro e fuori il concistoro.
Il L. poté comunque costituirsi una propria familia, che, per quanto di ridotte dimensioni, annoverò almeno un membro di spicco in Agostino Somenzi, futuro animatore del partito antifrancese in Curia romana.
Protesse anche l'umanista milanese Michele Ferno, che gli dedicò l'edizione da lui curata della Vita di Pio II, scritta da Giovanni Antonio Campano, stampata a Roma presso E. Silber nel 1495; nell'epistola dedicatoria (riportata nell'ed. Zimolo), Ferno esalta il L. come gloria della patria lombarda in corte di Roma e collaboratore di Ascanio in ogni incombenza.
A testimonianza della perdurante dipendenza anche economica da Ascanio, il L. rimase "cardinale povero" e la sua dotazione beneficiaria, sempre molto scarsa, non comprese mai un vescovado. Nel luglio 1495 riuscì a ottenere la piccola diocesi di Aquino, ma nel novembre dovette cederla.
Godette però, in quanto porporato, del prestigio sufficiente a ottenere il disbrigo di una questione di grande impatto simbolico come l'assoluzione di Pavia dai residui ancora pendenti dell'interdetto lanciato da Giovanni XXII ai tempi delle guerre viscontee: una gratifica morale che Ascanio gli accordò contestualmente ad altre incombenze, più perigliose e meno degne dell'onore cardinalizio.
Venuto in urto con Alessandro VI durante le fasi preliminari della calata di Carlo VIII di Francia, lo Sforza allacciò contatti con il fronte antipapale e nella primavera 1494 mandò il L. a Milano al fine di accertare per suo tramite le possibilità di indire un concilio gallicano con cui mettere sotto processo il pontefice. Rientrato a Roma, il L. fu impegnato, tra l'estate e l'autunno successivo, ad assicurare la copertura diplomatica alle mosse antipapali che il suo padrone, fuggito dalla città per paura delle ritorsioni, ordiva nella clandestinità. Quando poi Ascanio, cadendo in un tranello, accettò ai primi di dicembre di rientrare nell'Urbe, il L. venne imprigionato insieme con lui. Liberato per ordine di Alessandro VI (che pensò di utilizzarlo per intimare la resa ai ribelli filofrancesi), il L. approfittò dell'occasione per dileguarsi e andare a rinsaldare le fila della rivolta antipapale. Il 31 dic. 1494 Carlo VIII entrava a Roma, e il L., con altri cardinali, faceva parte del suo seguito.
La devozione allo Sforza non solo tornò a discapito della reputazione del L. come uomo di Chiesa, ma lo costrinse anche a rocambolesche giravolte. Il 16 genn. 1495, insieme con lui fuggì da una Roma occupata dalle truppe di Carlo VIII, da amico improvvisamente divenuto nemico dei Milanesi. Il 27 maggio il L. e Ascanio figuravano tra i cardinali al fianco del papa che abbandonava Roma per Orvieto. Nell'autunno dello stesso anno, in vista della riscossa antifrancese promossa da Ascanio, il L. venne inviato nel Regno di Napoli ad appoggiare la guerra di riconquista aragonese.
A modesto compenso di così compromettenti fatiche, per il successivo anno 1496 lo Sforza gli fece ottenere la Legazione di Terni, ufficio di rango secondario che normalmente si attribuiva a un vescovo, ma che gli venne dato in considerazione della sua condizione di "cardinale povero".
Nella seconda metà del 1496 prese forma, nei piani architettati tra lo Sforza e Alessandro VI, ritornati temporaneamente alleati, l'idea di confiscare Bracciano agli Orsini, per investirne Giovanni Borgia duca di Gandía, figlio del papa: il progetto fu duramente contestato sul piano del diritto nei dibattimenti concistoriali e le grandi difficoltà che comportava dal punto di vista militare furono sottostimate. A rappresentare la Chiesa sul campo delle operazioni fu designato il docile L., investito il 26 ott. 1496 del titolo di legatus de latere.
Dopo un esordio positivo, durante il quale vennero occupati diversi castelli degli Orsini, la campagna finì in un disastro: le truppe papali non riuscirono a espugnare Bracciano e furono sbaragliate dalla controffensiva che nel gennaio 1497 gli Orsini lanciarono con il sostegno di alleati e partigiani dell'area centroitalica. Il L. riparò a Ronciglione e di lì rientrò ingloriosamente in Roma, mentre il papa dovette piegarsi a sottoscrivere un trattato di pace, stipulato il 5 febbr. 1497, dalla cui negoziazione furono estromessi tanto il L. quanto lo Sforza.
I due cardinali scontarono alla corte pontificia un momento di disgrazia a cui si sovrappose, nella primavera, una grave malattia di Ascanio. Tra gli affari correnti che il L. dovette sbrigare in sua vece, vi fu la composizione della vertenza sul vescovado di Sion, procurata dagli Sforza per assicurarsi la pace alle frontiere svizzere. Mentre attendeva a tali incombenze, nel maggio il L. venne a sua volta colpito da un accesso di febbre da cui non si risollevò più. Consunto da settimane di agonia, morì a Roma il 7 ag. 1497.
Accorso a dargli l'estremo commiato, Ascanio dovette provvedere alla tutela degli interessi postumi del suo protetto, che non disponeva di sostanze liquide e aveva un figlio naturale, Alessandro, che viveva a Pavia. Dei due benefici lasciati vacanti dal defunto, l'abbazia di S. Savino di Piacenza e la precettoria di S. Antonio di Pavia, lo Sforza si adoperò per far pervenire il primo nelle mani del giovane, che venne destinato alla carriera ecclesiastica.
Sempre ubbidendo ai suoi doveri di patrono, Ascanio si assunse le spese dei funerali, che si svolsero in forma solenne in S. Maria del Popolo e videro la partecipazione della Confraternita romana di S. Ambrogio dei Lombardi, indizio della ascrizione del L. a essa. Alla munificenza, non priva di un sottile intento apologetico, con cui lo Sforza interpretò il proprio ruolo, dovrebbe presumibilmente risalire anche la committenza del monumento funebre, tuttora esistente, nel transetto di S. Maria del Popolo, opera marmorea di notevole formato e di gusto aggiornato, benché di esecuzione non accuratissima. Il tributo che attraverso di essa lo Sforza volle rendere all'onorabilità personale del L., bersaglio in Curia dalla disistima di chi usava vedere in lui un semplice fantoccio, spiega forse l'assenza dall'epigrafe di allusioni ai legami clientelari del defunto con il potente vicecancelliere. In compenso, vi è sottolineato il carattere acerbo della sua fine, in totale contrasto con il promettente dinamismo di cui aveva dato prova nella sua breve carriera di prelato.
Fonti e Bibl.: Pavia, Arch. stor. civico, Schedario nobiliare Marozzi, Alberi genealogici, Famiglia Lonati; Le vite di Pio II di G.A. Campano e B. Platina, a cura di G.C. Zimolo, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., III, 3, pp. 3-5; I. Burcardus, Liber notarum, a cura di E. Celani, ibid., XXXII, 1, vol. II, pp. 9, 15, 22, 45-49; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese… di Roma, I, Roma 1869, p. 328 n. 1238; M. Sanuto, La spedizione di Carlo VIII, a cura di R. Fulin, Venezia 1873, pp. 63 s., 149; Id., I diarii, I, ibid. 1879, pp. 6, 369, 372, 419, 496, 710, 737, 832; F. Guicciardini, Storia d'Italia, a cura di S. Seidel Menchi, Torino 1971, I, p. 307; R. Maiocchi, L'assoluzione di Pavia dall'interdetto di papa Giovanni XXII, in Arch. stor. lombardo, XXIV (1897), pp. 59-61; M. Pellegrini, Ascanio Maria Sforza, Roma 2002, ad ind.; Hierarchia catholica, II, p. 104.