CALURA, Bernardino Maria
Nato a Murano (Venezia) il 26 ott. 1756 dal medico Francesco e da Maria Grappini da unantica famiglia, originaria di Firenze ma "cittadina" e nobile di Murano, iniziò i propri studi nel collegio dei somaschi di S. Cipriano, ove si distinse sotto la guida del padre Vipao per la retorica e del padre Lucchesi per la filosofia (Zambaldi).
Ingegno indisciplinato ma fervido (Natali), a diciassette anni interruppe gli studi e incominciò a frequentare il foro veneto, nel quale fu ammesso alla professione di causidico, e nel 1781 fu abilitato a quell'esercizio che continuò fino al 1797, vantando ragguardevoli clientele anche nella Terraferma. Dopo la caduta di Venezia, nonostante avesse provveduto a far stampare una breve silloge di poesie di vario metro goffamente inneggianti a Bonaparte, a Venezia liberata, alla libertà, alla gloria, a Dio (Estribellici, s.l.[ma Venezia] 1797) e una retorica esortazione Alla veneta nazional guardia (Venezia, anno I della libertà italiana), il C. si vide costretto ad abbandonare la professione: nello stesso 1797 fu eletto giudice di pace, l'anno seguente venne nominato cancelliere dell'ufficio di polizia del sestiere veneziano di Dorsoduro e nel 1808 fu infine promosso giudice supplente presso la Corte di giustizia dell'Adriatico; ma nel 1811, divenuto nel frattempo quasi completamente sordo, chiese e ottenne meno gravosi incarichi presso la Corte medesima.
Fra le cure della professione e dei diversi impieghi pubblici coltivò continuamente gli studi letterari ("la amenissima letteratura occupò tutti gli intervalli di tempo che potei involare al tumulto del Foro", come scrive egli stesso nella presentazione al saggio Sulla grazia), e andò raccogliendo, con una scelta biblioteca di oltre duemila volumi, estese cognizioni in diversi rami dello scibile, soprattutto medicina, scienze naturali, chimica e filosofia, tanto che per la diffusa fama del suo sapere veniva spesso consultato per dare giudizi su elaborati nelle più diverse discipline, elaborati che anche, richiesto, rivedeva ed emendava sotto il profilo linguistico.
Buon conoscitore dell'inglese e del tedesco, si esercitò fin dai primi anni nella lettura di vari autori stranieri; tradusse poi in versi le Notti di E. Young e maggior impegno pose nella versione delle Stagioni di J. Thomson, alla cui correzione attendeva ancora negli ultimi anni della sua vita e che rimase inedita. Successivamente si cimentò nella composizione di poesie originali, nelle quali troppo scoperta è l'imitazione dai preromantici, soprattutto inglesi.
Dei propri limiti creativi ebbe del resto piena coscienza egli stesso, se in una lettera, datata da Venezia 14 apr. 1781, conservata nella Biblioteca civica di Bassano (Carteggio Remondini, VI.9.1510), scusandosi che i versi d'occasione che invia all'ignoto destinatario siano brutti (ma "sia in vostro arbitrio il disporne d'essi come vi aggrada: regolateli, correggeteli, mutilateli, essi sono in vostro potere"), il C. scrive che il proprio "estro ha esaurito tutte le sue fantasie": di tale esaurimento egli anche enumera poco appresso le cause, "brevità di tempo…, continue distrazioni forensi, disuso di comporre, mancanza di talento poetico". Siffatto impegno dimostrano, fra altri componimenti, i suoi versi stampati per i voti benedettini di M. Giuliana di Collalto (Ceneda 1781), per nozze Marinoni-Amalteo (Venezia 1795), per l'ingresso del patriarca di Venezia F. M. Giovanelli (Venezia 1776), del vescovo di Concordia P. C. Ciani (Padova 1820) e del titolare della parrocchia veneziana di S. Luca G. Bassi (Venezia 1796); migliore il pur enfatico canto celebrativo in versi sciolti Ilpallone aereostatico (Venezia 1784).
Insieme con buone traduzioni dal tedesco di Albrecht von Haller, di Johan Georg Jacobi e di Ewald Christian von Kleist e dall'inglese di Young, di Thomson e di Collins, il volume dei suoi Versi, pubblicato sotto il nome arcade di Enispe Frissonio a Venezia nel 1784 (l'anno successivo alla sua nomina a pastore) per volere di Angelo Dalmistro e da questo dedicato al nobile Niccolò Michiel, tra molti componimenti tetramente younghiani - ispirati da un "genio malinconico, amante delle scene tenebrose e lugubri eccitanti quella sensibilità ch'è la delizia del cuore umano" (come si legge nella dedica, p. 6) e successivamente dallo stesso autore considerati poco più che un errore di gioventù (Moschini) -, contiene tre canti in endecasillabi sciolti Della bellezza, che costituiscono senza dubbio la cosa più valida del C. - nei quali si lodano alla rinfusa Dante e Shakespeare, Klopstock e Haller, Milton e Sofocle, Ossian e Young, Voltaire e Metastasio, Gessner e Frugoni - e che non rimasero forse ignoti al Foscolo delle Grazie.
Questo carme era stato preparato da un saggio Sulla grazia (pubblicato in seguito a Venezia nel 1798), e forse per una sua prosecuzione il C. raccolse una specie di prolisso trattato in prosa, rimasto manoscritto in tre libri, dal titolo Grazia e bellezza colle loro vicende poste a disamina, dal quale vennero estratti postumi gli opuscoli per nozze Verecondia e vezzi - Eloquenza del sorriso (Conegliano 1852) e Amore (Treviso 1857) da tre capitoli del terzo libro. La tematica della supremazia femminile nell'apprezzamento e nella creazione della bellezza è trattata nell'enfatico elogio delle arti derivate dal disegno, dedicato alla moglie, In onore delle belle arti, abbozzi di laudazione (Venezia 1814) e nell'insulso saggio, pubblicato per nozze Revedin-Bassetti, Sul perfezionamento dell'umano consorzio (Venezia 1826). Notazioni e intonazioni autobiografiche posseggono le due memorie Intorno ai sogni e alle visioni (in Scelta di opuscoli scientifici e letterari, III, Venezia 1813, pp. 185-203), in cui sono poste in luce le cause fisiologiche della malinconia e delle inquietudini all'origine delle allucinazioni fantastiche, e sulla Sublimità delle tenebre (nel veneziano Mercurio filosofico, letterario e poetico, VIII, 1813), le quali, è detto romanticamente, intensificano ed esaltano le percezioni. La molteplicità delle nozioni filosofiche e letterarie accatastate in queste prose si esprime in uno stile artificioso, affettato e spesso di non chiara lettura, zeppo di vocaboli ricercati o desueti, di costruzioni abriormi e, in genere, d'una male intesa purezza di dettato.
Il 4 apr. 1803 il C. fu ascritto alla nuova Accademia letteraria veneta, nelle cui adunanze lesse con plauso alcune memorie, fra le quali qui ricordiamo quella sull'Eloquenza del silenzio in letteratura, nell'oratoria, nella musica e nell'amore (1803 ?), e le altre se L'idea del bello e del sublime debba esser propria di tutti gli uomini (1806) e su Quali debbano essere i caratteri del buon gusto italiano nelle belle lettere (1804), nella quale predica l'esigenza di uno stile semplice, efficace e persuasivo che si deve esprimere anche attraverso "immagini pittoresche".
Il C. sposò nel 1805 Maddalena Albrizzi, che gli diede tre figlie e un figlio, morto quando aveva appena iniziato gli studi legali all'università di Padova. Ebbe amici il Dalmistro, il naturalista Triffon-Novello, l'abate De Torres, il Cesarotti, il Gaspari, il Venanzio, il Beltrame, ed ebbe con essi e con altri corrispondenza, della quale però nulla ci è rimasto, perché la moglie, dopo la morte di lui e in ottemperanza a una sua precisa disposizione, distrusse, con i libri "proibiti" presenti nella sua biblioteca, tutte le lettere a lui indirizzate. Negli ultimi anni fu sofferente di cuore, e afflitto alla fine da idrotorace. Morì il 13 giugno 1830 a Portogruaro (Venezia), dove, ereditato un podere, aveva sistemato da vari anni la famiglia.
Fonti e Bibl.: Il testamento, in data 28 apr. 1806, rimase chiuso e si conserva nell'Archivio di Stato di Venezia (Notarile, Atti Not. Bellan, 147.16), insieme a quello della moglie, in pari data e pure chiuso (ibid., 147.5): ma sono entrambi attualmente irreperiti. Le memorie presentate all'Accademia letteraria veneta si leggono manoscritte nei codici Cicogna 2997 e 2998 della Biblioteca del Civico Museo Correr di Venezia, dove si conservano anche, con i documenti originali, i verbali dell'Accademia e quasi completo il corpus delle memorie. I tre canti Della bellezza, la traduzione da Young pubblicata nel cit. volume di Versi e altri componimenti ivi pubblicati sono alle pp. 21-29 e 36-44 del codice Correr 18 e alle pp. 335-432 del codice Correr 19della stessa Biblioteca (i due tomi del Corodelle Castalidi, con rime dei maggiori poeti italiani). V. anche G. A. Moschini, Della letter. venez. del secolo XVIII…, II, Venezia 1806, p. 291; A. Zambaldi, Memorie della vita e delle opere di B.M.C. veneziano, Verona 1832, ristampate col titolo Della vita e degli studi di B.M.C., in Delle storie patrie italiane…, San Vito 1845, pp. 19-24 (pp. 23-24: Elenco delle prose ined. lasciate da B.M.C.);V. A. Arullani, Lirica e lirici nel Settecento, Torino-Palermo 1893, pp. 167-173 (con utile essenziale scelta dei suoi versi); A. Pace, B. Franklin and Italy, Philadelphia 1958, pp. 142 s.; G. Natali, IlSettecento, Milano 1964, I, pp.542, 546; II, p. 38.