OCHINO, Bernardino
Predicatore, riformatore, scrittore. Nato nel 1487 a Siena, nella contrada dell'Oca (donde Ochino), dal barbiere Domenico Tommasini, dopo aver trascorso qualche anno, pare, nella casa di Pandolfo Petrucci, fu condotto, dal suo intenso desiderio di vivere come Cristo, a entrare fra i minori osservanti, segnalandovisi per le sue pratiche ascetiche, che gli valsero ben presto fama di santo. Studî di medicina, nella quale si addottorò a Perugia (1510 circa) e, molto più, della Scrittura e dei filosofi scolastici, specie di Bonaventura, lo occuparono fino al 1534, anno in cui passò nell'altra famiglia francescana dei cappuccini, dei quali dal 1538 al 1542 fu generale. Le sue straordinarie qualità di predicatore gli procurarono un numero sempre crescente di ammiratori a Roma, Napoli, Venezia, Siena, Modena, Lucca, Perugia, Ferrara, Mantova, Palermo; e, senza dubbio, sarebbe asceso ai gradi più alti della gerarchia cattolica, se, forse già incline al luteranesimo, non avesse conosciuto a Napoli nel 1536 Juan de Valdés, dal quale fu iniziato alla conoscenza delle idee di Erasmo e di parecchi riformatori. Onde, malgrado la prudenza con cui nel predicare trattò il tema della giustificazione per la fede, fu più volte dai teatini accusato di eresia: accuse salite siffattamente di tono nel 1541, dopo un suo clamoroso incidente a Venezia con quel nunzio, da indurre la corte pontificia a chiamarlo con un pretesto a Roma, ove tutto fa supporre lo si volesse processare. Pur molto irresoluto, da Verona, ov'era ospite del Giberti, mosse verso la città eterna (1542); sennonché un colloquio a Bologna col cardinale G. Contarini morente e, più ancora, un altro, drammaticissimo, a Firenze con Pietro Martire Vermigli lo indussero a tornare indietro e rifugiarsi a Ginevra, ove, bene accolto da Calvino, volle, col prender moglie, romperla definitivamente con la Chiesa romana. Nel 1545 era ad Augusta, donde, dopo la battaglia di Mühlberg (1547), accettando un invito di T. Cranmer, riparò a Londra; e là, insignito d'un canonicato, godé di non poca considerazione, finché l'avvento di Maria la Sanguinaria al trono (1553) non lo costrinse a tornare sul continente. Negli anni seguenti fu successivamente a Strasburgo, Ginevra, Basilea e Zurigo, dove divenne anche pastore d'una comunità italiana. Tuttavia le sue idee sulla predestinazione e sulla Trinità, più sociniane che calvinistiche, e segnatamente certi suoi accenni non ostili alla poligamia, provocarono scandali, un'inchiesta e la sua espulsione dalla Svizzera protestante. Si rifugiò allora in Polonia e, fatto cacciare anche di là dal nunzio pontificio G. F. Commendone, a Schlachau (Slavkov) in Moravia, ove, dopo aver perduto tre figli di peste, morì verso la fine del 1564.
Moltissime le sue opere, divenute oggi estremamente rare, sebbene parecchie fossero, nel Cinquecento, tradotte in latino, in francese, in tedesco e in inglese. I lunghissimi titoli si possono leggere nei cataloghi bibliografici dati dal Benrath e da altri (v. Bibl.). Per ricordare qui soltanto le più notevoli, furono anteriori all'apostasia le Prediche nove (Venezia 1539 e 1541) e i Dialoghi sette (ivi 1542). Dopo la fuga, l'O. pubblicò a Ginevra, oltre a opuscoli polemici e commentarî alle epistole paoline, altri due volumi di Prediche (Ginevra 1542 segg.). Del soggiorno inglese è la Tragedie sulle usurpazioni del vescovo di Roma (Londra 1549); della seconda dimora svizzera altri tre volumi di Prediche (Basilea 1549 segg.); gli Apologi (Ginevra 1554); il Dialogo del Purgatorio (Zurigo 1556); la Disputa... intorno alla presenza del corpo di Giesù Christo nel sacramento della Cena (Basilea 1561); i Labirinti del libero o servo arbitrio (ivi 1561), tanto lodati dal Leibniz e dal Bayle; il Calechismo (ivi 1561), sospetto di antitrinitarismo; e i Dialogi XXX, di cui il XXIX sulla poligamia, apparsi soltanto (ivi 1563) nella traduzione latina di S. Castellion.
Poiché, fra le tante polemiche ch'egli condusse in tutti questi scritti, ricorre incessante quella contro la filosofia e i filosofi, sarebbe vano voler cercare in essi un pensiero sistematico. Tuttavia, poiché il desiderio stesso di conoscere i problemi teologici non poteva non condurre l'O., per riluttante che fosse, verso la speculazione filosofica, è pur possibile, lavorando di mosaico, cavare dall'insieme delle opere un certo qual pensiero ochiniano, i cui elementi fondamentali sono questi: Dio, creatore e ottimo reggitore del mondo, ha voluto subordinare questo all'uomo e alla ragione umana. E poiché, nell'universo, tutto (fiamma del fuoco, acqua, terra, piante, animali, ecc.), conforme la natura stessa del Creatore, è in perenne movimento (guai se Dio stesse "in otio per un batter d'occhio solamente", perché allora Dio cesserebbe di amare, "non sarebbe più Dio" e "tutte le creature andrebbero in niente"), "ne segue che, per essere l'huomo delle altre creature più nobile, dovrebbe sopra tutte le altre muoversi, massime con la agil mente et volontà, seguendo così il fine per cui Dio l'ha creato". Ma, col peccato, ossia col rompere il patto con Dio, l'uomo ha infranto altresì l'armonia del mondo: armonia che la cecità morale, in cui è caduto, non gli consente più di scorgere. Per soccorrerlo, Dio, dopo il peccato, gli ha dato una legge, le cui diverse manifestazioni giovano all'O. per ripartire triadicamente la storia dell'umanità. Prima epoca è quella "dei gentili" o della legge naturale non scritta; seconda, quella "degli ebrei" o della legge scritta, comunicata da Dio agli uomini, fattisi incapaci d'osservare la legge naturale, per mezzo di Mosè; terza, quella "dei cristiani" o "della gratia", le cui leggi dal Figliuol di Dio venuto in terra furono scolpite, non in tavole, ma nel cuore stesso dell'uomo. Da siffatta configurazione della storia consegue che l'O. consideri la vita come un dramma, la cui, per dir così, lieta catastrofe è il raggiungimento di Dio. Giacché di raggiungerlo l'uomo è tanto capace che a Dio appunto tendono inconsciamente gli uomini allorché si sforzano di conseguire quegli attributi divini che sono grandezza, potenza e gloria (precisamente perciò Temistocle lasciò ai suoi soldati tutto il bottino di guerra, dicendo: "A me basti, et è assai, la gloria"). E che Dio sia pienamente raggiungibile dall'uomo vien provato altresì dalla natura stessa dell'anima umana, ch'è cosa tanto bella che Dio ne ha fatto il proprio tempio, di cui Cristo è il sacerdote: Cristo, ch'è mediatore fra Dio e l'uomo, e mercé il cui cruento sacrificio è ben possibile all'uomo salvarsi. Avendo dunque fede (fede che è attività, pensiero e pienezza di vita), e fede segnatamente nella giustificazione per il sacrificio di Cristo, l'uomo acquista intera la coscienza della propria dignità. E con siffatta fede, con siffatta coscienza, il cristiano può sentire Dio come bene immanente e, per questo fatto stesso, godere d'una compiuta felicità, raggiungibile anche in questo basso mondo, solo che la vita sia concepita e attuata come perenne e fruttuoso operare in Cristo e per Cristo. Per tal modo, l'uomo perviene veramente a reputarsi quale è, figlio di Dio; procede di continuo verso la perfezione e fa della sua casa un paradiso terrestre.
Bibl.: K. Benrath, B. O. von Siena, 2a ed., Brunswick 1892; D. Bertand Barraud, Les idées philosophiques de B. O. de Sienne, Parigi 1924; D. Cantimori, B. O. uomo del Rinascimento e riformatore (estr. dagli Annali della R. Scuola normale sup.), Pisa 1929. Documenti varî intorno alla vita sono stati pubblicati da P. Piccolomini nell'Archivio romano di storia patria, XXXVIII (1905), e nel Bullettino senese di storia patria, XV (1908) e XVII (1910). Cfr. inoltre E. Solmi, in Bullett., cit., XV (1908); P. Negri, in Atti d. R. Accad. d. scienze di Torino, XLVII (1912). Brevi antologie di scritti ochiniani hanno date G. Paladino, in Opuscoli e lettere di riform. ital. del Cinquecento, I, Bari 1913, e P. Chiminelli, in Scritti religiosi dei rif. ital. del Cinquecento, Torino 1925.