PALLANTIERI, Bernardino
PALLANTIERI, Bernardino (in religione Girolamo). – Nacque il 20 maggio 1533 a Castel Bolognese da Francesco e da Lucrezia Volpi.
Avviò probabilmente gli studi nel convento francescano del luogo natale; nel 1547 entrò nell’Ordine e, compiuto il noviziato, pronunciò i voti religiosi a Ferrara. Frequentò successivamente la scuola di umane lettere di Cremona, dove ebbe come maestri l’oratore Marco Tartesio e il poeta Giovanni Musonio. Qui fornì le prime prove del suo talento, componendo poesie di argomento sacro, tra cui la Passio D. N. Iesu Christi carmine esametro et postea sapphico narrata (Franchini, 1693, p. 591). Approfondì gli studi di filosofia e teologia prima a Ferrara, con Filippo Braschi e Vincenzo Maggi, poi a Bologna, dove fu lettore di logica nella scuola conventuale sotto la supervisione del teologo Giovanni Antonio Delfini e del retore Francesco Visdomini. Fu apprezzato per la sua abilità oratoria nel capitolo generale di Assisi del 1559; l’anno seguente ricevette le insegne dottorali.
Nel capitolo generale di Milano del 1562 pronunciò la commemorazione funebre dell’imperatore Carlo V (Oratio Hieronymi Pallanterii, Franciscani conventualis a Castro Bononiensi theologiae professoris, dum comitia generalia Mediolani celebrantur,... pro Carolo quinto Imperatore maximo, s.l, s.d.) e si legò al ministro generale Antonio Sapienti da Aosta. Fece parte del seguito di confratelli che avrebbero dovuto accompagnare Sapienti in Spagna, ma, morto nel 1666 il ministro, il viaggio non fu più effettuato. Dal nuovo generale Felice Peretti, futuro papa Sisto V, fu nominato reggente della scuola monastica di Pavia e teologo pubblico presso l’Università; nel 1568 fu associato al Collegio dei teologi. Per la sua dottrina fu chiamato a Milano dall’arcivescovo Carlo Borromeo, all’epoca protettore dell’Ordine, il quale gli conferì la carica di reggente dello Studio francescano, lo fece suo theologus commensalis e se ne avvalse per la predicazione in duomo e per la formazione e l’educazione dei chierici che non potevano frequentare i regolari corsi seminariali.
Dopo essere rientrato a Pavia per riprendere l’insegnamento, nel 1575 si recò a Roma, su richiesta di Peretti, che, divenuto cardinale, intendeva impiegarlo come consigliere e segretario, nonché coinvolgerlo nell’edizione delle opere di s. Ambrogio cui stava lavorando. Tornò quindi a Bologna come reggente dello Studio francescano e custode del convento della città; nel 1582 fu nominato ministro della provincia bolognese. Passò poi a Padova per ricoprire la cattedra di teologia presso quella Università e il ruolo di superiore del convento di S. Antonio, che provvide a riorganizzare e a migliorare nelle strutture ricettive.
Durante il soggiorno padovano intrattenne buoni rapporti con gli ordinari della diocesi, cui prestò la propria opera in qualità di predicatore, di direttore spirituale, di esaminatore degli ordinandi e degli aspiranti rettori di benefici. Del clima di cordialità e di collaborazione instauratosi rendono testimonianza le sue orazioni Ad ill.mum et r.mum d.d. Marcum Cornelium episcopum Patavinum, in eius primo adventu pro sacro theologorum collegio habita e Ad ill.mum et r.mum d. d. Aloysium Cornelium episcopum coadiutorem Patavij (Padova, L. Pasquato, 1595).
È probabile che per qualche tempo abbia tenuto la cattedra di metafisica dell’Università di Torino. Fu a Roma durante il pontificato di Sisto V, in qualità di lettore alla Sapienza e di esaminatore dei vescovi, e poi per partecipare al capitolo generale del 1593, allorché Clemente VIII lo incluse nella terna di nomi proposti per ricoprire l’incarico di ministro generale dell’Ordine, ma venne eletto Filippo Gesualdo da Castrovillari per un lieve scarto di voti. Dallo stesso pontefice Pallantieri fu chiamato a prendere parte alla congregazione De auxiliis divinae gratiae, istituita per dirimere la controversia teologica insorta alla pubblicazione delle opere di Luis de Molina e alimentata dai contrasti divampati tra gesuiti e domenicani sul rapporto tra grazia e libero arbitrio in ordine alla giustificazione e alla salvezza.
Nel 1603 Clemente VIII lo nominò vescovo di Bitonto, diocesi suffraganea della metropolia di Bari. In deroga alle disposizioni tridentine sull’obbligo di residenza dei vescovi, non prese tempestivo possesso della sede assegnatagli, perché trattenuto in Roma dal protrarsi dei lavori della congregazione di cui faceva parte e vi si recò solo all’avvento di Paolo V.
Bitonto, sede di nomina papale e tra le più ambite di Terra di Bari per la discreta redditività della mensa vescovile e per il cospicuo numero di fedeli sottoposti alla giurisdizione dell’ordinario, era coinvolta nei progetti della S. Sede in quella provincia pugliese, trasformata nel primo Seicento in una sorta di «vasta colonia» (Rosa, 1969, p. 555) aperta a chi proveniva dallo Stato della Chiesa. Il reclutamento dei vescovi, di conseguenza, si effettuava prevalentemente tra coloro che, come Pallantieri, erano sudditi pontifici, spesso appartenenti a quel clero regolare valorizzato in età postridentina perché reputato di maggior prestigio e di più sicuro affidamento, muniti di una solida formazione teologica e di una pregressa attività curiale piuttosto che di esperienza pastorale.
Dell’attività svolta da Pallantieri a Bitonto restano cinque brevi Relationes ad limina che, presentate con puntuale regolarità alla scadenza di ogni triennio, ricalcavano gli schemi del genere, delineando un quadro stereotipato della diocesi. Pallantieri, pur rifacendosi idealmente al modello vescovile borromaico, non riuscì ad accogliere appieno e a tradurre in pratica le istanze di rinnovamento promosse dalla Riforma tridentina, ma si limitò a soddisfare le occorrenze della normale amministrazione. Favorì l’insediamento in città dei teatini e dei paolotti, celebrò il sinodo diocesano, provvide ai restauri della cattedrale e alla fondazione di nuove chiese. Riuscì a riscuotere ampi consensi tanto tra il clero locale, quanto tra i fedeli, conquistati dalle numerose iniziative benefiche che fu in grado di promuovere.
Morì a Bitonto il 25 agosto 1619 e fu sepolto nella cripta della cattedrale, mentre si diffondeva anche al di fuori della città la fama di santità del defunto.
Segnalazioni di grazie concesse per sua intercessione vennero raccolte per mano di Michele Giordano, medico fisico pubblico di Bitonto, per essere utilizzate nel processo informativo diocesano super fama sanctitatis avviato alcuni anni dopo la sua dipartita e mai condotto a termine. Ancora nella seconda metà del secolo scorso, nel clima generato dal concilio Vaticano II, monsignor Aurelio Marena procedeva a una ricognizione canonica – la terza dopo quelle effettuate nel corso del Seicento dai vescovi Carafa e Galli – dei resti del venerabile Pallantieri, come ricorda un’iscrizione apposta nella circostanza presso la tomba.
Tra le opere di Pallantieri vanno annoverate, oltre alcuni versi in lingua italiana e latina (Orlandi, 1764, p. 177; Fantuzzi, VI, 1788, p. 226), l’Epistola ad Fr. Archangelum Puteum a Burgo, Bologna, Benacci, 1564, nonché le Lectiones in primum Sententiarum e i Commentaria in Catechismum Romanu, rimasti manoscritti Negruzzo, 1995, pp. 241 s.).
Fonti e Bibl.: Arch. segreto Vaticano, Sacra Congregazione del Concilio, Visite ad Limina, Bituntina, fasc. I, 129A; Roma, Arch. gen. O.F.M. Conv., C.164: La travagliosa vita di fra Hieronimo Pallantieri e Nota delli miracoli o ver gratie; ibid., Sez. II B.1, f. 23, pp. 15-17: G.B. Morea, Relatione summaria; pp. 19-26: Grazie e miracoli; ibid., Regesta Ordinis, serie A, voll. 6 ss.; Bitonto, Arch. diocesano, Curia, Vescovi, b.V-I-3; ibid., Capitolo, Conclusioni capitolari, voll. V-VII; G. Franchini, Bibliosofia e memorie letterarie di scrittori francescani conventuali, Modena 1693, pp. 323, 355 s., 591 s.; F. Ughelli, Italia sacra, VII, Venetiis 1721, pp. 690 s.; P.A. Orlandi, Notizie degli scrittori bolognesi e dell’opere loro stampate e manoscritte, Bologna 1764, pp. 176 s.; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi, VI, Bologna 1788, pp. 223-227; Sigismondo da Venezia, Bibliografia serafica degli uomini illustri che fiorirono nel Francescano Istituto, Venezia 1846, p. 500; G.G. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad scriptores trium Ordinum S. Francisci a Waddingo aliisve descriptos, I, Roma 1908, pp. 370 s.; G. Abate, Series episcoporum ex O.F.M. Conv. assumptorum, in Miscellanea francescana, XXXI (1931), p. 112; F.A. Benoffi, Memorie minoritiche, ibid., XXXIII (1933), pp. 87-88, 104; P. Gauchat, Hierarchia Catholica, IV, Münster 1935, p. 116; G. Guastamacchia, Il Ven. G. P., O.F.M. Conv. vescovo di Bitonto, in Miscellanea francescana, LXI (1961), pp. 41-53; A. Castellano, La diocesi di Bitonto nella storia, Bitonto 1963, pp. 42-44; M. Rosa, Diocesi e vescovi nel Mezzogiorno durante il viceregno spagnolo, in Studi storici in onore di Gabriele Pepe, Bari 1969, pp. 531-580; G. Minardi, Il linguaggio secentesco dei fatti prodigiosi operati da monsignor Pallanterio fra scienza, religione e magia a Bitonto, in Cultura e società a Bitonto nel sec. XVII, Bitonto 1980, pp. 218-226; M. Spedicato, Episcopato, istituzioni ecclesiastiche e vita religiosa a Bitonto nel XVII secolo attraverso le «Relationes ad limina», ibid., pp. 62-94; S. Negruzzo, Theologiam discere et docere. La facoltà teologica di Pavia nel XVI secolo, Milano 1995, pp. 233-242.