PETRELLA, Bernardino
PETRELLA, Bernardino. – Nacque nel 1529 a Borgo del Santo Sepolcro (oggi Sansepolcro, in provincia di Arezzo), da Domenico Petrella; non è noto il nome della madre.
Fu allievo di Francesco di Niccolò Piccolomini all’Università di Padova, dove nel 1563 (non nel 1564 o nel 1562, come scrivono rispettivamente Antonio Riccoboni e Charles Lohr) cominciò a insegnare logica «in secundo loco» (succedendo a Bernardino Tomitano con lo stipendio annuo di 40 fiorini e avendo come concorrente Jacopo Zabarella) e poi filosofia, sempre «in secundo loco», quale collega di Arcangelo Mercenario (1567). Nel gennaio 1569 tornò sulla cattedra di logica, questa volta «in primo loco», avendo come concorrente Ottavio Amalteo e succedendo a Zabarella con uno stipendio annuo di 140 fiorini (Zabarella in precedenza ne prendeva solo 60) che, con progressivi aumenti, giunse nel 1589 alla cifra assai elevata di 500 fiorini, a condizione che non fosse richiesto un ulteriore aumento.
A differenza delle altre università italiane, dove la logica era solo una disciplina propedeutica e come tale veniva affidata a docenti all’inizio della loro carriera, a Padova, nel corso del Cinquecento, questa disciplina godeva di grande attenzione (anche sul piano delle retribuzioni) presso i Riformatori dello Studio, che ricorrevano a professori di provata fama ed esperienza, incrementando così il numero degli studenti forestieri. Una riforma sul modello padovano, intesa a valorizzare di più l’insegnamento della logica, fu proposta invano nel 1587 ai maggiorenti dello Studio di Pisa da Francesco Verino il Secondo che, oltre a Bernardino Tomitano, citò a mo’ di esempio il caso di Petrella e la sua lunga esperienza nell’insegnamento di una disciplina frequentata da «una infinità d’anni con gran sua reputazione et utilità et con gran frutto degli scholari» (Grendler, 2002, p. 256).
Dopo aver collaborato a una raccolta encomiastica in versi dedicata a Geronima Colonna d’Aragona (Tempio, Padova 1568), nel 1571 pubblicò a Padova, «apud J. Jordanum, L. Pasquatus excudebat», le Quaestiones logicae de intentione Philosophi in II libro Posteriorum, de medio demonstrationis potissimae, de speciebus demonstrationis (in 8°, cc. 51), dirette, sia pure in maniera non esplicita, contro i testi di Zabarella che circolavano manoscritti fra gli studenti padovani, cui seguirono i Logicarum disputationum libri septem (Patavii, apud Paulum Meietum, 1584, seconda edizione, accresciuta dallo stesso autore, Venetiis, apud F. Valgrisium, 1591, in fo., cc. [10], 95), dedicati in buona parte alla confutazione delle tesi di Zabarella, che nel frattempo aveva dato alle stampe l’Opera logica (1578).
In effetti la fama di Petrella è legata alla lunga polemica con Zabarella e i suoi sostenitori, riflesso dell’affinamento del discorso metodologico nonché nel clima di forte competizione che caratterizzava in quegli anni l’insegnamento della logica a Padova. La polemica, che raggiunse l’acme fra il 1579 e il 1587, fu avviata in sordina da Petrella nel 1571 nelle citate Quaestiones logicae; Zabarella evitò di rispondere direttamente, lasciando questo compito ad Ascanio Persio (docente di lingua greca a Bologna e fratello del telesiano Antonio Persio), che nel 1585 pubblicò a Venezia, presso Felice Valgrisio, i Logicarum exercitationum libri II, cui fece seguito il Logicarum exercitationum liber III, apologeticus primus, in quo de natura logicae disputatur (Bononiae, apud. J. Rossium, 1586).
Con la discesa in campo di Persio la polemica si fece più vivace, assumendo anche toni acri. A sostegno di Petrella apparve nel 1587 la Propugnatio di un certo Giulio Marziale, dietro il quale, a detta di Persio, si celava lo stesso Petrella: l’opera risulta oggi introvabile, ma essa è ampiamente citata da Persio. Questi replicò, infatti, alla Propugnatio con le Defensiones criticorum et apologetici primi adversus Bernardini Petrellae logicam (Bononiae, typis Rossii, 1587). Nel frattempo anche Piccolomini era intervenuto nella polemica a partire dal 1583, allargando l’ambito della discussione al metodo della filosofia morale e della teoria politica.
Le critiche di Petrella a Zabarella sono a pieno raggio, a partire dal tema più generale, ossia la definizione e il soggetto della logica (con la distinzione fra il «soggetto dell’arte», ovvero i concetti, che esprimono la realtà, e il «soggetto dell’artefice», le intentiones secundae ovvero i puri termini). La discussione si spostava poi sulla distinzione fra la definitio (cui era attribuita una propria capacità conoscitiva, mentre Zabarella l’aveva ridotta a un semplice supporto alla dimostrazione) e la demonstratio; sulla teoria della dimostrazione (Petrella separava nettamente la demonstratio potissima, che prendeva avvio da principi indimostrabili, dalla dimostrazione propter quid o causale, e contro i logici recentiores rivalutava quest’ultima rispetto alla demonstratio quia, che invece risaliva dagli effetti alla causa); sui quattro metodi della logica (risolutivo, divisivo, dimostrativo e compositivo), che Zabarella aveva ridotto a due (compositivo e risolutivo); sulla classificazione delle «scienze subalterne e subalternanti», nonché sul termine medio del sillogismo. Pietro Ragnisco (1886), che sul finire dell’Ottocento dedicò un ampio studio a questa polemica fra logici padovani, diede un giudizio poco positivo su Petrella, denunciandone «la sottigliezza arida, la lungaggine delle distinzioni, la debolezza del ragionare» (Giacomo Zabarella, p. 467). In realtà Petrella, che rifuggiva da una considerazione tecnica e formalistica dello strumento logico, nella sua polemica contro Zabarella e i logici recentiores si richiamò al tradizionale legame tra logica, metafisica e filosofia della natura, sostenuto in particolare dagli scotisti. Per lui la logica, in quanto scientia al pari delle altre scientiae, aveva come suo campo d’indagine i concetti che definiscono la realtà (ossia le intentiones primae) e non le intentiones secundae; ma in tal modo, mantenendo lo stretto legame fra il termine e la cosa, egli si precludeva l’effettiva conoscenza della realtà sensibile, limitando l’indagine alla «scomposizione negli elementi che già vi erano», e alla loro ricomposizione, sicché il metodo della logica si riduceva «a un circolo vizioso, a un dibattito astratto su forme ideali separate» (Garin, 1978, p. 556).
Morì nel 1595 lasciando numerosi scritti sulla logica aristotelica, in parte inediti.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Padova, Archivio notarile, 4851, c. 621r; Padova, Archivio storico dell’Università, Mss., 651, c. 244r-v (bollettario 1564, relativo all’anno accademico 1563-64); A. Riccoboni, De Gymnasio Patavino commentariorum libri sex, Patavii, apud Franciscum Bolzetam, 1598, c. 51v; G.F. Tomasini, Gymnasium Patavinum libris V comprehensum, Utini 1654 (rist. anast. Bologna 1986), p. 333; L. Jacobillus, Bibliotheca Umbriae, I, Fulginiae 1658 (rist. anast. Bologna 1973), p. 72; C. Cinelli Calvoli, Biblioteca volante, IV, Venezia 1747 (rist. anast. Bologna 1979), p. 56; J. Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini […] collecti ab anno MDXVII, quo restitutae scholae sunt, ad MDCCLVI, Patavii 1757 (rist. anast. Bologna 1978), pp. 296-97 e 303.
P. Ragnisco, Giacomo Zabarella il filosofo. Una polemica di logica nell’Università di Padova nelle scuole di B. P. e di G. Zabarella, in Atti del r. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, serie 6, 1886, vol. 4, pp. 463-502; Id., La polemica tra Francesco Piccolomini e Giacomo Zabarella nella Università di Padova, ibid., pp. 1217-1252; A. Crescini, Le origini del metodo analitico: il Cinquecento, Udine 1965, pp. 182-188; E. Garin, Storia della filosofia italiana, Torino 1978, pp. 555 s.; C. Vasoli, La logica, in Storia della cultura veneta, III, 3, a cura di G. Arnaldi - M. Pastore Stocchi, Vicenza 1981, pp. 71 s., nota 158; Ch.H. Lohr, Latin Aristotle Commentaries, II, Renaissance Authors, Firenze 1988, pp. 325-327; A. Poppi, Introduzione all’aristotelismo padovano, Padova 1991, p. 37; G. Santinello, Tradizione e dissenso nella filosofia veneta fra Rinascimento e modernità, Padova 1991, pp. 65, 145, 162; P.F. Grendler, The Universities of Italian Renaissance, Baltimore-London 2002, pp. 253, 255 s.; E. Veronese, Gli illustri ingegni dello Studio di Padova nel 1563. Una canzone di Giacomo Balamio, in Quaderni per la storia dell’Università di Padova, XXXVII (2004), pp. 139-163 (p. 153, nota 43, con ulteriori indicazioni sulle fonti e sulla bibliografia); D. Bouillon, L’interprétation de Jacques Zabarella le philosophe, Paris 2009, pp. 41, 69, 71 s., 587.