RUTILIO (de' Rudelli, Rudellio), Bernardino
RUTILIO (de’ Rudelli, Rudellio), Bernardino. – Nacque a Cologna Veneta, oggi in provincia di Verona, allora dominio diretto della Serenissima Repubblica di Venezia, nel 1504.
Suo padre fu Pietro Paolo Rutilio il quale, oltre a Bernardino, ebbe altri quattro figli: Giuliano, Francesco, Gabriello e Alvise, quest’ultimo noto per essere stato nominato provveditore di Cologna Veneta nel 1573.
Bernardino iniziò gli studi dedicandosi alle lettere, inizialmente a Verona e in seguito a Padova, dove ebbe come maestro Giampietro Crasso. Altro suo mentore negli studi letterari fu Giovanni Battista Cipelli (Battista Egnazio) a Venezia. Accanto alle lettere, iniziò a curare gli studi giuridici, studiando per tre anni le leggi civili e canoniche presso lo Studio patavino. Nel frattempo continuò a coltivare la sua prima passione, studiando filosofia e frequentando al tempo stesso le lezioni pubbliche di Romolo Quirino Amaseo sul De oratore di Cicerone. La sua prima opera, pubblicata nel 1528, fu così un lavoro prettamente filologico, dedicato a Maffeo Leoni e intitolato Decuria, in cui l’autore emendava una serie di luoghi della letteratura latina, in particolare passi delle opere di Cicerone, Marziale, Giovenale. Assieme alla Decuria Rutilio pubblicò le sue Adnotationes alle Epistolae familiares di Cicerone. Il dominante intento filologico di una corretta restituzione dei testi antichi non oscurava del tutto l’emergente interesse per il diritto, tanto che, nelle pagine della Decuria dedicate alla ricostituzione di una corretta lectio del De oratore, scriveva come la conoscenza di Cicerone fosse di grande aiuto al giurista. Non a caso, proprio il luogo emendato del De oratore fu oggetto di una corrispondenza tra Rutilio e il celebre giurista umanista Guillaume Budé, cui aveva inviato la propria opera (Laurent, 1952, pp. 239-247).
Negli anni seguenti la sua prima pubblicazione, la fama di Rutilio attirò l’attenzione del cardinale Niccolò Ridolfi, vescovo di Vicenza, che lo volle come suo segretario, creandolo nel contempo canonico di Vicenza. Al seguito del cardinale, Rutilio si recò a Roma dove ottenne la laurea con somma lode in utroque iure, intorno alla data della quale mancano però riferimenti precisi, tant’è che fu avanzata anche l’ipotesi che si fosse addottorato a Padova (Papadopoli, 1726, p. 44). Secondo un’altra notizia (Giovio, 1571, p. 226) non disputò mai nel foro, pur esercitando l’attività di «privato giureconsulto», chiamato occasionalmente ad assumere il ruolo di arbitro in alcune cause private (Papadopoli, 1726, p. 44; Sabbioni, 1737, p. 33).
Al cardinale Ridolfi, suo protettore, Rutilio dedicò la sua opera più celebre, le Iurisconsultorum vitae, una raccolta di biografie di giureconsulti romani che fu stampata per la prima volta a Roma nel 1536. Si segnalano inoltre le ulteriori edizioni di Basilea del 1537 (edizione delle Vitae assieme alla Decuria) e del 1539, di Lione del 1538, di Argentina (Strasburgo) sempre del 1538. Le Vitae furono poi inserite nel primo tomo dei Tractatus Universi Iuris di Francesco Ziletti, nell’edizione veneziana del 1584. È questa, come detto, l’opera che diede maggior lustro e celebrità a Rutilio, da molti riconosciuto come il primo a scrivere le vite degli antichi giureconsulti romani; un tale merito gli è attribuito, tra gli altri, da Christian Gottfried Hoffmann, nella prefazione al De claris legum interpretibus (1637) di Guido Panciroli, così come una lode dell’opera è fatta da Panciroli stesso. Alle Vitae, come recentemente dimostrato, fece ricorso anche Alberico Gentili nella sua difesa della giurisprudenza contro il teologo John Rainolds (Minnucci, 2015, pp. 229-234). Le snelle biografie, settantasette in tutto e disposte in ordine cronologico, coprono l’intera esperienza giuridica romana, dal giureconsulto Papirius Maius, vissuto durante il regno di Tarquinio il Superbo, fino a Triboniano. L’opera è animata dal medesimo spirito dei lavori più strettamente filologici di Rutilio, come dimostra la scrupolosa attenzione per le fonti, sottoposte al vaglio di una severa critica.
Giovambattista Sabbioni, nella sua dissertazione De’ letterati Colognesi, ricorda come a Rutilio sia stata attribuita anche una traduzione in lingua latina di alcuni libri della Bibliotheca historica di Diodoro Siculo (Sabbioni, 1737, pp. 41 s.). Tale opera, però, non fu mai stampata e di essa non abbiamo, allo stato, altri riscontri.
Durante la permanenza romana al servizio del cardinale Ridolfi, e con ogni probabilità sotto il pontificato di Clemente VII, Rutilio scrisse tre orazioni latine indirizzate all’imperatore Carlo V e consegnate personalmente al sovrano a Roma, con ogni probabilità nell’aprile del 1536. Le Pro pontifice romano ad quintum Carolum imperatorem orationes tres furono di seguito stampate a Roma per i tipi di Antonio Blado nell’agosto del 1536; un’altra edizione si ebbe a Vicenza, per i tipi di Giorgio Greco, nel 1603, a cura del nipote, Marzio Rutilio, professore di diritto canonico e poi di diritto civile a Padova tra il 1568 e il 1572.
Lo scopo dell’opera era di esortare l’imperatore a difendere la Chiesa e la Sede apostolica dall’attacco luterano alle funzioni e al potere del pontefice romano. Le prime due orazioni miravano così a provare la legittimità del potere spirituale del papa: nella prima si mostrava come a Pietro solo, tra tutti gli apostoli, Cristo volle affidare la guida della Chiesa; nella seconda il primato della sede romana era invece dimostrato attraverso l’ampio richiamo a una serie di auctoritates, ossia imperatori, concili e uomini dotti e sapienti. Nella terza orazione Rutilio si propose di difendere la legittimità del potere temporale esercitato dal papa, confutando, con un richiamo alle Sacre Scritture, l’opinione secondo la quale non sarebbe stato ammissibile un cumulo nella medesima persona dell’autorità spirituale e di quella temporale e in seguito mostrando come Cristo non avesse mai vietato ai cristiani in generale, e a chi esercitava il sacerdozio in particolare, di occuparsi degli affari temporali. L’ultimo argomento fondava la legittimità del potere temporale del papa sul giusto titolo giuridico rappresentato dalle donazioni che la Chiesa romana ricevette nel tempo da principi e altri fedeli.
Qualche tempo dopo l’incontro con l’imperatore, Rutilio lasciò Roma per tornare a Cologna, per motivi ancora ignoti, certo non a causa della morte di Ridolfi, come riportato da alcune fonti (Sabbioni, 1737, pp. 48 s.), poiché la morte del cardinale avvenne solo molti anni dopo. Fu in quegli anni coinvolto nell’organizzazione del concilio generale in difesa della cristiana religione e per riformare la disciplina ecclesiastica, voluto da Paolo III, convocato dapprima a Mantova il 3 maggio 1537 e per l’anno dopo a Vicenza. Com’è noto, quei tentativi di preparazione di un concilio generale non approdarono a nulla. Sempre in quegli anni, Rutilio si spostò a Venezia dove si proponeva di far stampare una sua ulteriore opera, nel frattempo composta, le Matutinarum, et Vespertinarum juris civilis lectionum annus quartus. Non riuscì tuttavia a vedere l’edizione delle proprie lezioni, che furono pubblicate solo dopo la sua morte, sempre a cura del nipote Marzio, a Vicenza nel 1604.
Come recita il titolo, si trattava di una raccolta di lectiones intorno a quei luoghi del Digesto e del Codice che, nell’ordinamento degli studi delle facoltà giuridiche del tempo, rappresentavano il programma del quarto anno, quando il docente leggeva nelle lezioni del mattino la seconda parte del Codice, e al pomeriggio la seconda parte del Digestum Infortiatum. In queste lezioni, Rutilio affrontava i vari argomenti con grande libertà critica, in un testo quasi privo di allegazioni. In relazione a ciascun luogo del corpus iuris civilis, dapprima egli cercò di rintracciare il significato originale del testo romano, poi discusse le interpretazioni dei maggiori giuristi dell’età dei commentatori e ciò sempre attraverso la mediazione della glossa accursiana, talvolta attaccata, talaltra difesa.
Mentre era impegnato a preparare quest’opera per la stampa, fu chiamato a coprire la prima cattedra di diritto civile all’Università di Avignone. Durante i preparativi in vista del trasferimento in terra francese, Rutilio fu colpito da un’improvvisa febbre che lo portò repentinamente alla morte nel 1538, all’età di 34 anni.
Nel 1593 i nipoti Pietro Paolo e Marzio ne trasportarono le reliquie da Venezia a Vicenza, dove furono tumulate nella cappella dell’Incoronata della chiesa cattedrale della città.
Fonti e Bibl.: P. Giovio, Elogia doctorum virorum ab avorum memoria publicatis ingenii monumentis illustrium, s.n.t., Basileae 1571, n. 96, pp. 226 s.; G.M. Toscano, Peplus Italiae, Ex officina Federici Morelli, Lutetiae Parisiorum 1578, II, n. 87, p. 54; A. Riccoboni, De Gymnasio patavino Commentariorum Libri Sex, Patavii 1598, II, cap. 6, p. 38rv; M. Rutilio, Vita Bernardini Rutilii, in B. Rutilio, Matutinarum, et vespertinarum iuris civilis lectionum annus quartus, Vicentia 1604; G. Panciroli, De claris legum interpretibus libri quatuor, Venetiis 1637, I, n. 34, p. 55; Giornale de’ Letterati d’Italia, XXXI, Venezia 1719, p. 356; C.G. Hoffmann, Praefatio, in G. Panciroli, De claris legum interpretibus libri quatuor, Leipzig 1721, p. b4r; N.C. Papadopoli, Historia Gymnasii Patavini, Venezia 1726, t. II, l. I, cap. XIII, n. 79, p. 44; G. Sabbioni, De’ letterati Colognesi che fiorirono, nel secolo sedicesimo, in Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici, XIV, Venezia 1737, pp. 3-55; C.G. Jöcher, Allgemeines Gelehrten Lexicon, Leipzig 1751, col. 2327; F. Barbarano de Mironi, Historia ecclesiastica della città, territorio, e diocese di Vicenza, IV, Vicenza 1760, pp. 137 s.; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VII, 4, Milano 1824, p. 2277; M.-H. Laurent, Guillaume Budé et le “De oratore” de Ciceron, in Mélanges d’archéologie et d’histoire, LXIV (1952), pp. 239-247; M. Danzi, La biblioteca del cardinal Pietro Bembo, Genève 2005, pp. 118 s.; G. Minnucci, Un discorso inedito di Alberico Gentili in difesa della “iurisprudentia”, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, XLIV (2015), 1, pp. 211-251.