Telesio, Bernardino
Naturalista e filosofo (Cosenza 1509 - ivi 1588).
Primogenito di sette figli, si allontanò ben presto dalla città natale, seguendo a Milano (1518 ca.) e a Roma (1521 ca.-1527) lo zio Antonio, umanista e letterato. Nel 1527 risulta essere stato per due mesi prigioniero delle truppe che misero in atto il sacco di Roma. Passato poco dopo lo zio a insegnare a Venezia, si fermò all’univ. di Padova, dedicandosi principalmente a studi di matematica, ottica, medicina e filosofia. A Padova era allora dominante l’aristotelismo di tipo alessandrista, pur sopravvivendo qualche eco averroista. Dopo circa un decennio, lasciata Padova, si ritirò in solitudine in un convento benedettino, forse nella Grancia di Seminara, dove trascorse un lungo periodo di meditazione e ricerca. Più tardi (1553) sposò a Cosenza Diana Sersale, vedova con due figli, ma dopo pochi anni (1561) essa morì, lasciandogli altri quattro figli suoi. Difficili erano anche le condizioni economiche di T., che, risiedendo a Cosenza (dove nel 1554 era sindaco dei nobili), attendeva ai lavori dell’Accademia cosentina (alla quale diede vivo impulso modificandone l’orientamento, dapprima letterario, verso la filosofia naturale), ma non troppo alla cura del patrimonio di famiglia. Quando (1564) Pio IV gli offrì l‘arcivescovado di Cosenza, T. lo declinò in favore del fratello; e neppure accettò pienamente l’invito, che gli venne prima da Roma a nome di Gregorio XIII e poi da Napoli, di tenervi un insegnamento pubblico sul suo De rerum natura, limitandosi a esporre il suo pensiero in conversazioni. Nonostante il conforto di una fama crescente, l’ultimo decennio della vita fu gravemente segnato dal dolore per l’assassinio del suo primogenito Prospero (1576). Della sua opera fondamentale, il De rerum natura iuxta propria principia (trad. it. La natura secondo i suoi principi), T. pubblicò a Roma (1565) i primi due libri, che ristampò rielaborati a Napoli (1570); l’opera completa, in nove libri, fu pubblicata a Napoli (1586). T. compose inoltre una serie di opuscoli di argomento naturalistico; nel 1570 pubblicò il De his quae in aere fiunt et de terraemotibus, il De colorum generatione e il De mari, che furono ristampati da Persio nel 1590 insieme ad altri scritti: De cometis et lacteo circulo, De iride, Quod animal universum ab unica animae substantia gubernatur contra Galenum, De usu respirationis, De saporibus, De somno. Nel 1596 il De rerum natura, il Quod animal universum e il De somno vennero inclusi nell’Indice dei libri proibiti «donec expurgentur»; il nome di T. fu espunto dall’Indice soltanto nel 1990.
L’opera di T. rappresenta uno dei momenti più significativi del naturalismo rinascimentale; il suo pensiero è fortemente caratterizzato da un acceso antiaristotelismo e dall’aspirazione a costruire una sapienza tutta umana, capace di indagare la natura e scoprire «quanto il senso rivela e quanto è raggiungibile per somiglianza del sensibile» (Proemio all’ed. 1586 del De rerum natura). In opposizione alla dottrina aristotelica degli elementi e del moto, costruita su ragionamenti a suo parere arbitrari, T. rivendica l’importanza della sensibilità quale fonte primaria ed esclusiva di ogni conoscenza: di qui il programma di costruire una fisica «iuxta propria principia», secondo quei principi, cioè, che operano all’interno stesso della natura. La natura infatti agisce in modo costante, «concordando sempre con sé stessa», producendo sempre gli stessi fenomeni; tale omogeneità della natura, fondata sul disegno razionale di Dio, è all’origine quindi della stessa possibilità della conoscenza umana di cogliere le forme del divenire naturale. E la natura si presenta come costituita da due principi, il caldo e il freddo, nature agenti, forze attive che ineriscono a un sostrato inerte, la materia. Tutti gli esseri naturali sono dunque costituiti da una stessa materia passiva e da due principi attivi che producono il nascere e il morire di tutte le cose. La realtà naturale è così dotata di movimento (il principio motore è interno, non esterno come il motore della fisica aristotelica) a causa del calore che tutto pervade come spiritus, e che ha la sua sede nei cieli (soprattutto nel Sole: qui una suggestione stoica sembra coniugarsi al tema aristotelico del calore celeste, principio di vita); tale spiritus è anche principio di sensibilità, sicché tutti gli esseri sentono: non c’è più differenza sostanziale tra organico e inorganico, ma una scalarità, un sentire più e meno. Il conoscere intellettivo non soltanto è legato alla sensibilità, ma è propriamente una forma di sentire, sicché anche l’uomo è allineato sotto questo aspetto con gli altri esseri naturali. Tuttavia c’è nell’uomo, oltre allo spiritus di cui tutti gli esseri naturali partecipano, un’anima razionale creata direttamente da Dio: due ordini interferiscono così nell’uomo, per cui egli è legato alla sfera della natura ma ha anche una tensione verso il soprasensibile, agisce secondo una morale naturale del piacere (che garantisce l’autoconservazione) e insieme secondo una morale che conduce a Dio. Tutto il sistema telesiano appare sospeso tra il meccanicismo e il sensismo postulati dall’indagine naturalistica, e le sue esigenze di sincero credente. Nelle sue ipotesi fisiche e cosmologiche un certo finalismo finisce con l’innestarsi sulla tendenza originaria a limitare la conoscenza all’ambito dell’empiria, mentre la provvidenza divina si affaccia a dirigere l’azione meccanica degli elementi. Il finalismo sembra configurarsi come il risultato provvidenziale del meccanicismo naturalistico. La stessa ammissione dell’esistenza di un’anima coincidente con il calore materiale e di un’anima intesa come sostanza spirituale e immortale presente soltanto nell’uomo rappresenta una soluzione vacillante all’annosa questione dell’immortalità dell’anima tanto discussa nel Rinascimento.
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