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VARISCO, Bernardino

di Pantaleo Carabellese - Enciclopedia Italiana (1937)
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VARISCO, Bernardino

Pantaleo Carabellese

Filosofo. Nato a Chiari (Brescia), il 20 aprile 1850, ivi morto il 21 ottobre 1933. La famiglia, "molto religiosa e aliena da ogni setta, era italianamente patriottica". Laureatosi in ingegneria, insegnò prima matematica in istituti tecnici, poi filosofia nell'università di Roma dal 1905 al 1925. Di filosofia si era "dilettato" fin da giovanissimo, come di matematica continuò a "dilettarsi" (è parola da lui adoperata), anche quando interesse principale della sua vita divenne la soluzione filosofica del "massimo problema", di fronte al quale la sua fede religiosa l'aveva portato. Con l'esemplare sua vita, spesa in intensa continua opera di apprendimento scientifico umanistico filosofico e di fecondo insegnamento orale e scritto, fu, per la rigorosa autocritica, nobile esempio di probità intellettuale.

Ebbe due pubblici riconoscimenti del suo valore di studioso e di uomo: il premio reale dei Lincei per la filosofia nel 1900, la nomina a senatore, per aver illustrata la patria, nel 1928.

Il V. s'impose come pensatore con Scienza e Opinioni (1901), volume che gli valse il premio reale, la notorietà, la cattedra romana. E si rivelò, si dice, positivista, in quanto traeva dal fatto, naturalisticamente inteso, la legge che lo regola. In verità il volume fu forse la prima autocritica del positivismo italiano: dimostrò l'astrattezza della spiegazione positivistica della realtà. Il V. infatti in esso sostiene che entro l'uomo, che sa ciò che gli consta come scienza e la cui verità è quindi inoppugnabile, al di là della pur esauriente spiegazione scientifica della sua essenza di uomo, rimane l'uomo che opina, e opinando crede, e che, in questo suo opinare, non è né spiegato dalla scienza, perché l'opinione non è ridotta a incontrastabile verità, né soppresso, perché l'opinione rimane, come opinione che si eleva a fede, ineliminabile. L'uomo, quindi, che, come la rimanente realtà, è spiegato dalla scienza positiva, della quale il V. dà, nel detto volume, una specie di enciclopedia filosofica, è un uomo astratto; non è l'uomo vivo concreto. Questo ha in sé qualcosa che la scienza deve dichiararsi impotente a giustificare o sopprimere, e che pur investe il principio stesso di ogni legge scientifica, perché riguarda il principio stesso di ogni realtà di fatto, Dio. Così il puro fatto viene ad essere scosso nella sua validità di principio della realtà e del suo sapere. Questo il primo valore dell'affermarsi del pensiero del V.: un richiamarsi alla realtà concreta dell'uomo come tale, oltre la realtà astratta che sola di lui può darci la scienza.

E questo riassume il motivo fondamentale di tutto il pensiero del V. motivo che, in questa prima fase del suo pensiero (alcuni scritti che precedono Scienza e Opinioni, ci dànno ragione del successivo pronto sviluppo idealistico del pensiero varischiano, pur senza costituirne forse una fase organica), affida dunque la giustificazione dell'insopprimibile religiosità umana e di Dio al sentimento, irriducibile a ragione, anzi in contrasto con questa. Ora però, quando il V. faceva quell'autocritica del positivismo, ancora non si era affermato il neohegelismo: non c'era ancora stata in Italia l'aperta e piena ribellione idealistica contro il positivismo. Tale ribellione idealistica dà al pensiero del V. coscienza esplicita dell'astrattezza positivistica.

Così l'autocritica positivistica del V. ritrova la sua giustificazione. La ragione stessa può render conto di quello che il sentimento richiede. Giacché in verità non consta il fatto, ma la conoscenza del fatto; e quindi il concreto accadere è la conoscenza dell'accadere, e perciò richiede il concetto che è la legge non caduca (estemporanea) dell'accadere (temporaneo). Il fatto, quindi, di là dalla conoscenza non è principio di realtà e tanto meno di conoscenza: principio è l'idea immanente alla conoscenza stessa: idea, che è lo stesso Essere, che condiziona l'esistenza. Il qualcosa, che la scienza positiva non poteva né espugnare né rinnegare, si rivela e si giustifica nella filosofia idealistica, che è più comprensiva e più concreta di ogni scienza particolare, giacché "a rigore, la scienza, di cui tanti parlano con enfasi, non esiste". Il V. è fuori del positivismo, per il quale esiste la scienza, a cui si riduce la filosofia. Siamo ai Massimi Problemi (1910): l'uomo astratto della filosofia come scienza positiva è tolto di mezzo, per l'uomo concreto che ha in sé quell'opinabile, divenuto gnoseologicamente vero, razionalmente costante.

La ragione non è soltanto quella della scienza positiva di natura: il sentimento (dottrina varischiana del valore) e la sua richiesta (principio spirituale della realtà) sono traducibili e da tradurre in terminì di ragione: il Dio del sentimento ci risulta nella ragione almeno come assoluto Pensiero che è assoluto Essere.

Il V. così è fuori del positivismo, ma non per questo è senz'altro in quell'idealismo neohegeliano che ha dichiarata la ribellione e mossa la lotta e che ha dato al V. la consapevolezza della sua critica al positivismo. In esso il V. sente un astrattismo, per quanto di diversa natura, pure non meno grave di quello positivistico (Conosci te stesso, 1912).

E questa denunzia di astrattismo nell'idealismo postkantiano in genere il V. fa fin dai suoi primi passi verso la fase idealistica (1907), quando si domanda che cosa significasse mai in una filosofia dell'immanenza una coscienza universale, che non si capisce qual soggetto mai possa essere. Il concreto è invece che io soggetto particolare, pensando tra soggetti particolari, attuo con la mia realtà di persona pensante il concetto di essere come legge. Di qui l'impostazione del problema dei soggetti nella stessa speculazione idealistica, su terreno critico. Quindi lo speciale carattere dell'idealismo varischiano che si oppone all'astrattezza del fatto da una parte e a quella dell'autoconcetto dall'altra. La stessa esigenza idealistica, appunto perché esclude un oggetto eterogeneo a sé stante, appunto perché elimina il dualismo soggetto-oggetto, richiede il rapporto soggetto-soggetto, cioè la pluralità dei soggetti, ammessi come "unità primitive di coscienza" "che ci sono state sempre", "centri di spontaneità", la cui "ragion d'essere si riduce alla impossibilità che l'Essere non ci sia", e che perciò hanno tutte come loro costitutivo l'Essere. Il quale esiste nelle sue determinazioni, cioè nei detti centri di spontaneità, la cui individualità è costituita dal sentimento. "Il soggetto non sarebbe spontaneo, se il suo essere così o così, e il suo variare così o così, non fossero, dal soggetto medesimo, vissuti come un bene o come un male. La spontaneità è inseparabile dal sentimento".

Se però ci fermiamo a questa esigenza per la quale "il mondo fenomenico è un insieme di soggetti più o meno sviluppati"... implicante, col suo accadere, "dei fattori alogici che sono le spontaneità dei soggetti singoli e un fattore logico... su cui si fonda la necessità del pensiero, e che è l'Unità suprema dell'universo", noi, secondo il V., non superando il panteismo, non rendiamo ancora razionalmente conto dell'esigenza religiosa.

Il Dio Persona che adoriamo, superando con tale Personalità quell'assoluta unità, resta ancora affidato soltanto al sentimento.

Una piena giustificazione razionale di questo invece il V. dà poi, quando da queste concrete persone nella loro realtà metafisica e manifesta, sale a Dio come Soggetto assoluto, proprio attraverso quell'essere ideale unificatore di queste singole persone pensanti. Con questo soggetto assoluto come Persona (Unità e molteplicità, 1920; Linee di filosofia critica, 1925; Sommario di filosofia, 1927) è resa possibile la rivelazione e, con questa, la religione, in cui si salda esplicito il nesso dei soggetti particolari con Quello universale ed assoluto, senza che i primi debbano nulla rinnegare della loro personale autonomia.

Che una vera e propria spiritualità, col suo carattere di libertà, si attui nell'uomo, che la tesi del Dio personale non importi nella spiritualità umana nessuna rinunzia ai caratteri della spiritualità stessa, il V. dimostra con quella che egli dice trascendenza relativa di Dio, per la quale Dio, continuando da una parte a costituire la sopra notata necessità logica del pensiero umano, dall'altra non resta circoscritto in essa. Quanto ci è dimostrato proprio dall'esigenza idealistica, la quale richiede che le cose siano pensieri: l'imprescindibilità della subcoscienza nell'uomo esige che tali cose siano pensieri espliciti in una Coscienza assoluta che non è quella umana.

Il V. così ritiene di aver ottenuta la piena giustificazione razionale di quel sentimento religioso, che egli già salvaguardava, pur contro la ragione, anche nella prima fase del suo pensiero. E che questa sia l'unica possibile apologia della religione cristiana, egli cercò dimostrare in numerosi articoli e studî composti negli ultimi anni di sua vita, nei quali veniva anche componendo il volume, che vuol essere la presentazione piena e totale della sua dottrina, Dall'uomo a Dio, di cui si attende prossima la pubblicazione.

In conformità a questa dottrina metafisica il V. pose il problema pedagogico e quello politico (La scuola per la vita, 1922, 1927; Discorsi politici, 1926).

Bibl.: P. Carabellese, L'Essere e il problema religioso (a proposito del Conosci te stesso, di B. V.), Bari 1914; E. De Negri, La metafisica di B. V., Firenze 1929; C. Librini, La filosofia di B. V., parte 1ª, Catania 1936, e molti saggi sulle varie riviste filosofiche italiane contemporanee, tra i quali notevoli quelli di G. Alliney.

Vedi anche
Amedeo Crivellucci Storico italiano (Acquaviva Picena 1850 - Roma 1914). Prof. di storia medievale e moderna nelle univ. di Pisa (1885-1907) e di Roma (dal 1907). Socio corrispondente dei Lincei (1903). Studiò i rapporti tra Stato e Chiesa nel primo Medioevo (Storia delle relazioni tra lo Stato e la Chiesa, I e II, 1885-86: ... Giovanni Gentile Filosofo e storico della filosofia (Castelvetrano 1875 - Firenze 1944). Discepolo alla Scuola normale superiore di Pisa di D. Jaja (che lo avvicinò al pensiero di B. Spaventa), di A. D'Ancona e di A. Crivellucci; professore nelle università di Palermo (1906-13), Pisa (1914-16), Roma (dal 1917); direttore ... filosofia Attività di pensiero che attinge ciò che è costante e uniforme al di là del variare dei fenomeni, con l’ambizione di definire le strutture permanenti della realtà e di indicare norme universali di comportamento. 1. Definizioni La filosofia può definirsi come una forma di sapere che, pur nella grande ... Carlo Cantóni Cantóni, Carlo. - Filosofo italiano (Gropello 1840 - ivi 1906); allievo in Germania di H. Lotze, prof. dal 1878 alla morte all'università di Pavia, fondatore (1899) della Rivista filosofica; socio nazionale dei Lincei (1888). Oltre a un fortunato manuale di filosofia per i licei e a varî saggi di pedagogia ...
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bernardino
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variare
variare v. tr. e intr. [dal lat. variare, tr. e intr., der. di varius «vario»] (io vàrio, ecc.). – 1. tr. a. Cambiare, mutare, apportando modificazioni per lo più parziali ed esteriori: v. la disposizione dei mobili di una stanza, dei libri...
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