ZACCAGNI, Bernardino
– Nacque a Torrechiara (Parma) da Francesco, anch’egli «muratore», verso il 1460, come suggeriscono la data di nascita della prima di otto figli di Bernardino stesso (Parma, 1° maggio 1486) e la sua prima attività architettonica, documentata a partire dai primi anni Novanta del Quattrocento; non risulta noto il nome della madre. Si ricordano altri due figli entrambi architetti: Benedetto (v. la voce in questo Dizionario) e Giovan Francesco (Parma, 21 febbraio 1491-1543).
Dal 1493 al 1502 Bernardino lavorò con Cristoforo Zaneschi e «m. Giacomo» alla facciata (distrutta) e al completamento delle volte dell’interno della chiesa di S. Maria del Carmine a Parma.
Dal 1498 al 1501 fu pagato dai monaci benedettini di S. Giovanni Evangelista a Parma per il cantiere della chiesa di S. Benedetto nell’attuale via Saffi, già iniziata nel 1491. Di quel periodo rimane solamente la semplice facciata a capanna incorniciata da esili lesene di larghezza differenziata senza capitello, che, pur reggendo una trabeazione con fregio in terracotta e una sorta di frontone, non riescono a dare l’idea del tempio antico.
Il 9 giugno 1509 fu saldato dagli stessi monaci per lavori riferiti a partire dal 1507 relativi al cantiere della chiesa di Pedrignano, appena fuori le mura di Parma, che appare ancora più digiuna di sentori rinascimentali.
Zaccagni lavorò all’ospedale Grande, voluto dalla Comunità di Parma verso il 1470 per unificare i numerosi enti assistenziali presenti in città e nella diocesi, dal 1500 fino al 1510 circa, seguendo il primitivo progetto di Giovanni Antonio da Erba ma con la facoltà di migliorarlo. Quindi è da presumere qualche suo intervento progettuale, difficile però da individuare.
Con atto del notaio Benedetto del Bono del 4 settembre 1510, «m° Bernardino da Torchiara e m° Pietro Cavazzolo muratori in Parma» furono incaricati dai benedettini cassinesi di S. Giovanni Evangelista di completare la fabbrica della loro chiesa (essenzialmente le volte e la cupola), cosa che fecero fino al 1519, in tempo per consegnarla ai pennelli del Correggio, di Michelangelo Anselmi e del Parmigianino.
Gli stessi monaci, dopo aver aderito alla Congregazione di S. Giustina di Padova nel 1477, avevano iniziato il rinnovamento del loro monastero e della chiesa almeno dal 1490, con i lavori appaltati a Gigliolo dell’Argine da Reggio, già presente a Parma come capomastro e forse come architetto nella certosa e nel monastero di S. Sepolcro dei canonici lateranensi di s. Agostino. Il nuovo tempio s’ispirò alla complessa disposizione spaziale del vicino duomo romanico. Presto, però, ci dovette essere un ripensamento guardando alla cultura fiorentina, come si legge chiaramente nei pilastri corinzi e compositi scanalati e rudentati, forse in occasione del passaggio nel 1492 di Giuliano da Sangallo, incaricato da Lorenzo il Magnifico di portare a Ludovico il Moro il modello di un palazzo «da signore». In quella occasione Sangallo potrebbe aver proposto anche nuove coperture a botte. Infatti quando Zaccagni e il socio assunsero l’incarico di completare la chiesa, i benedettini si riservarono di decidere se costruire le volte a crociera o «a fassa», cioè a botte. Probabilmente consigliati dallo stesso Zaccagni, essi decisero poi per le crociere, a suggerire che egli seguisse piuttosto il primitivo progetto ‘neoromanico’.
A giudicare da un elemento presumibilmente della fase iniziale, il cornicione esterno del presbiterio, con modiglioni che inquadrano formelle, quasi delle metope, con teste maschili, Zaccagni deve avere semplificato la decorazione esterna in linea con le sue opere precedenti.
Nel 1525 Bernardino e il figlio Giovan Francesco erano impegnati in lavori di ampliamento del monastero.
Sempre in ambito benedettino, il 15 luglio 1514 Zaccagni fu impegnato a misurare murature in S. Alessandro, una chiesa doppia con il coro delle monache separato dalla chiesa pubblica; incaricato di finirne la costruzione, nel 1527 fu completamente saldato. Rimane traccia dell’intervento soltanto nel fianco sud e nel coro delle monache, poiché l’interno della chiesa pubblica e la facciata furono completamente rifatti nel primo Seicento da Giovanni Battista Magnani.
In definitiva Zaccagni nel primo Cinquecento sembra muoversi nella tradizione locale legata ancora alla grande stagione romanica e alla cultura architettonica lombarda più tradizionale della seconda metà del Quattrocento, tanto da giustificare l’efficace espressione di Mario Salmi (1918): «un mite maestro, più romanico che classico (p. 106).
Proprio per questo, se in S. Giovanni Evangelista tutto sommato si riesce a ricostruire il suo apporto culturale e progettuale, più problematico appare il suo ruolo rispetto alla chiesa centralizzata di S. Maria della Steccata, nonostante la documentazione lo indichi esplicitamente come progettista oltre che costruttore. Dato per acquisito il proto, sembra necessario trovare altrove la responsabilità di un progetto culturalmente più aggiornato come quello eseguito.
Nella sua monografia sulla Steccata, del 1922, Laudedeo Testi, forzando in tutti i modi la documentazione anche con l’uso dei caratteri a stampa, tentò di risolvere il problema sminuendo il contributo progettuale del padre, che passerebbe perciò al figlio Giovan Francesco, più giovane e quindi, ipso facto, più aggiornato, ma quel poco della sua attività autonoma ricostruibile non sembra indicare un architetto più capace del padre, sotto la cui ombra sembra essere rimasto.
La posa della prima pietra avvenne il 4 aprile 1521 sui disegni esecutivi di Bernardino Zaccagni, ma probabilmente la decisione di costruire un nuovo e più ampio tempio civico era maturata quando il governatore apostolico di Parma Giovanni Gozzadini nel 1513-14 decise, nell’ambito di una generale riqualificazione della viabilità urbana, di distruggere il precedente oratorio della Steccata per aprire una nuova strada. Già nel 1515, infatti, i confratelli dell’Annunciazione, proprietari della chiesa, chiesero alla S. Sede di poter stornare fondi dalla loro attività assistenziale (la dote a sedici fanciulle povere) per costruire una nuova più grande chiesa, e a quello scopo acquistarono alcuni edifici in loco per abbatterli. Questo permette di avanzare qualche ipotesi sulla effettiva paternità progettuale del tempio. La prima è che sia attendibile Giorgio Vasari, informato probabilmente da Gerolamo Bedoli, quando scrive: «chiesa, stata fatta, come si dice, con disegno ed ordine di Bramante» (Le vite, a cura di G. Milanesi, VI, Firenze 1881, p. 487; ed. a cura di R. Bettarrini - P. Barocchi, V, Firenze 1984, p. 422). Se la richiesta fosse arrivata al grande architetto di S. Pietro prima della morte, avvenuta l’11 marzo 1514, potrebbe spettare a lui il suggerimento di sovrapporre l’attico all’antica all’ordine gigante esterno e di utilizzare il breve smusso angolare nei piloni interni di sostegno alla cupola, elementi elaborati proprio da Bramante nelle sue opere romane. Nel caso la richiesta non fosse arrivata in tempo, si potrebbe ripiegare su un artista in vario contatto con Parma e ancora in salute per qualche anno, Leonardo da Vinci, che, come è noto, aveva quasi un’ossessione per il ‘tempio ideale’ di Leon Battista Alberti, soprattutto per l’organismo a croce greca parzialmente iscritto nel quadrato, come alla Steccata. Egli stesso potrebbe aver ulteriormente aggiornato questo tema fra il 1513 e il 1516, quando rivide Bramante a Roma, come artista di Giuliano de’ Medici, fratello di papa Leone X. Niccolò Machiavelli riferisce che il papa pensava di promuovere Giuliano non solamente a governatore perpetuo, ma addirittura a signore di Parma (e Piacenza, Reggio e Modena), progetto ostacolato dalla vittoria di Francesco I a Marignano e dalla morte di Giuliano poco dopo.
Il Medici avrebbe avuto due ottimi motivi per favorire con l’opera del proprio architetto i confratelli della Steccata: risarcire il danno provocato dal suo predecessore, Giovanni Gozzadini, e imprimere un proprio segno indelebile nel cuore della capitale della sua futura signoria. Comunque, problemi di natura tecnico-strutturale e forse ancor più di natura culturale portarono all’allontanamento degli Zaccagni dalla fabbrica nel 1525. Si sa che essi avevano proposto una serie di varianti all’esterno che prevedevano «corridori» al posto dell’attico almeno nei quattro bracci, scelta probabilmente ripresa dalle gallerie del duomo romanico, a ulteriore riprova della loro cultura attardata. Restò così campo libero per l’intervento di Antonio da Sangallo il Giovane che, nella primavera del 1526, lasciò un parere molto competente sulla fabbrica e un progetto per la cupola, con un tamburo a loggiato ionico che anticipa le soluzioni degli ultimi progetti per S. Pietro.
Bernardino Zaccagni nel novembre e dicembre del 1521, insieme ad altri capomastri e architetti parmigiani, si occupò di migliorare le fortificazioni cittadine in vista dell’imminente guerra di Parma (Benassi, 1899-1906, IV, p. 25).
Secondo Salmi, nel 1523 e dopo l’allontanamento dalla Steccata, Zaccagni lavorò al campanile di S. Francesco del Prato, per la costruzione del quale il 20 marzo 1506 gli Anziani del Comune di Parma donarono ai fabbricieri della chiesa 125 lire imperiali. La torre ha una semplice ma efficace stereometria, con il parallelepipedo inferiore scandito da ordini sovrapposti semplificati e con una cella campanaria aperta da trifore, pure semplificate, a sostegno di un prisma ottagonale.
Nel 1525 (o nel 1521?) Zaccagni, insieme a Stefano Lottici, fu impegnato nella costruzione di un palazzo a Gualtieri (Reggio Emilia; Benassi, 1899-1906, V, p. 328 nota 1).
Morì fra il 19 giugno 1529 e il 23 novembre 1531.
Fonti e Bibl.: U. Benassi, Storia di Parma, I-V, Parma 1899-1906, IV, 1899, p. 25, V, 1906, p. 328 nota 1; M. Salmi, B. Z. e l’architettura del Rinascimento a Parma, in Bollettino d’arte, XII (1918), pp. 85-169; L. Testi, B. Z. e l’architettura del Rinascimento a Parma, in Archivio storico per le province parmensi, XIII (1918), pp. 147-242 (recensione a M. Salmi); L’abbazia benedettina di San Giovanni Evangelista a Parma, a cura di B. Adorni, Cinisello Balsamo 1979, ad ind.; Santa Maria della Steccata a Parma. Da chiesa civica a basilica magistrale dell’Ordine costantiniano, a cura di B. Adorni, Milano 2008, ad ind.; B. Adorni, Architettura, città e territorio nel Quattrocento, in Storia di Parma, VIII, t. 1, La storia dell’arte: secoli XI-XV, a cura di A.C. Quintavalle, Parma 2019, pp. 545-555; Id., Architettura, città e territorio nel Cinquecento e nel Seicento, ibid., VIII, t. 2, La storia dell’arte: secoli XVI-XX, a cura di A.C. Quintavalle, Parma 2020, ad indicem.