ARIMONDI, Bernardo
Canonista, originario di Parma arcidiacono della Chiesa narbonese, quindi rettore in temporalibus della Marca anconitana. Si trovava presso la Curia romana quando, tra la fine di gennaio e la metà di aprile del 1276, venne nominato da papa Innocenzo V all'arcivescovado di Genova, vacante dal 26 sett. 1274 per la morte di Gualtiero da Vezzano e amministrato dal capitolo sotto il vicariato apostolico dei canonici maestro Enrico e Stefano da Voltaggio. Si attuò in tale modo la disposizione del 2giugno 1275 con la quale papa Gregorio X, a sostegno della parte guelfa genovese estromessa dal governo della città, aveva vietato ai Capitani del Comune e al clero locale di procedere, secondo l'antica consuetudine, all'elezione del nuovo arcivescovo, avocata alla Santa Sede.
L'A. fece l'ingresso solenne nella diocesi il 6 sett. 1276, dopo la conclusione della pace del 18 luglio di quell'anno tra il Comune, i fuorusciti guelfi e Carlo I d'Angiò. Secondo gli Annali genovesi non riuscì gradito né al governo della Repubblica né al popolo: probabilmente non tanto per la condotta personale, quanto perché egli apparve come il rappresentante di quell'accentramento della gerarchia episcopale con cui la Curia romana veniva a sottrarre all'autonomia cittadina una delle posizioni di maggior prestigio e più strettamente legate al gioco politico locale. Non è noto il suo atteggiamento nel conflitto tosto risorto tra il Comune e la parte guelfa e che portò nel 1278 il vescovo di Forlì, delegato papale nell, i vertenza, a lanciare l'interdetto sulla città. Comunque, non è improbabile un suo progressivo avvicinamento alle esigenze del governo in carica e dei concreti interessi della vita cittadina: nel 1281 proprio dall'archivio capitolare l'annalista Iacopo D'Oria trasse un dimenticato privilegio di papa Innocenzo IV che vietava la sanzione della scomunica sulla città di Genova senza espressa licenza del pontefice: ciò che permise ai Genovesi di dichiarare la nullità del divieto di celebrazione dei divini uffici, promulgato dal legato del pontefice Niccolò III.
Nella pratica dell'attività pastorale dell'A. si segnalano la concessione dell'indulgenza di quaranta giomi, accordata il 15 giugno 1277 a tutti i fedeli che visitassero la chiesa di San Giovanni della Palmaria, di fronte al castrum vetus di Portovenere, nel giorno della festa del santo e nell'ottava; l'azione arbitrale svolta nel 1278-81 in questione vertente tra i frati predicatori, i frati minori i canonici della cattedrale ed i canonici di Santa Maria delle Vigne per alcuni diritti parrocchiali; l'approvazione, nel 1278, dei nuovi statuti del capitolo di San Lorenzo; la concessione, il 28 maggio 1279, al vescovo suffraganeo di Albenga della facoltà di alienare i diritti della mensa vescovile sulla parte ad essa spettante nei beni degli uomini di Toirano e di Restagno che morissero senza legittimi discendenti; l'approvazione, nel 128 1, dei capitoli dei canonici di San Nazaro di Palazzolo; l'intervento, per delega papale del 25 sett. 1281, in questioni mosse dal priore di Paverano; la consacrazione, per delega papale del 22 febbr. 1284, del nuovo abate di San Gaudenzio di Cossano, nella diocesi di Alba; l'intervento, per delega papale del 23 luglio 1285, nella causa vertente tra il Comune genovese ed i conti di Lavagna.
Estraneo alla tradizione locale, l'A. ispirò il proprio operato alla concezione autocratica della dignità episcopale, di cui sono evidente espressione i ripetuti contrasti con il capitolo della cattedrale, ed esterna manifestazione le cure particolari dedicate all'apparato della sede arcivescovile. Fece ampliare l'antico palazzo della curia entro le mura cittadine; costruì una nuova residenza a Molazzana; condusse a termine l'edificio cominciato dal predecessore Gualtiero in Sanremo, dove l'episcopato genovese possedeva beni cospicui.
Aspirò alla dignità cardinalizia, recandosi a tale scopo, seppure inutilmente, a Roma nel 1286. Al ritorno a Genova per la via di Parma, fu assalito da grave infermità. Proseguì ugualmente il viaggio e morì in Genova il 6 dic. 1286, lasciando un cospicuo legato al capitolo della cattedrale.
Fonti e Bibl.: A. Ferretto, Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante (1265-1321), in Atti d. Soc. ligure di storia patria, XXXI, 1, Roma 1901, p. 224; 2, ibid. 1903, pp. 35, 157, 172, 195, 229, 269, 309. 316, 339, 388; Annali genovesi di Caffaro e de' suoi continuatori, IV, a cura di C. Imperiale di Sant'Angelo, Roma 1926, in Fonti per la storia d'Italia, XIV, pp. 176 s.; Iacopo da Varagine e la sua cronaca di Genova dalle origini al MCCXCVII, a cura di G. Monleone, II, Roma 1941, ibid., LXXXV, pp. 395 s.; D. Puncuh, Liber privilegiorum Ecclesiae Ianuensis, Alessandria 1962, passim; G. B. Semeria, Secoli cristiani della Liguria, I, Torino 1843, pp. 90 s.