BARBARIGO, Bernardo
Figlio di Marco doge, nacque, secondo la biografia del Barbaro, nel 1463, e, grazie alla grande potenza del casato, ebbe una carriera politica facile e precoce.
Le leggi della Repubblica gli impedirono di accedere alle cariche pubbliche finché visse il padre. Questi morì nel 1486, assistito nella lunga malattia dai figli con tanta sollecitudine, che G. B. Egnazio li citò come esempio di amore filiale. Succeduto nel dogato lo zio paterno Agostino, il B. fu eletto nel 1487 podestà e capitano a Crema, e, al suo ritomo, nel Senato, in cui poi sedette quasi in continuazione.
Ma negli anni successivi la sua attività fu dedicata prevalentemente, più che agli affari politici, al grande commercio internazionale. Per i mercanti veneziani erano quelli tempi difficili, e anche il B. dovette subire colpi assai duri e trovarsi spesso in difficoltà. Sappiamo infatti che nel 1497 non poté far fronte all'impegno assunto con i provveditori alle Biade di importare 10.000 staia di frumento dalla Turchia e da Cipro, cadendo nella penalità di 10.000 lire, ridotte dal Consiglio dei Dieci a 1.000. Nell'ottobre 1498 una sua nave, che, dopo aver portato a Venezia zucchero di Madera, era ripartita diretta a Salonicco per caricare frumento, fu catturata all'imbocco dell'Adriatico da corsari portoghesi, i quali, impadronitisi di 1.400 ducati e di altro bottino, la lasciarono libera con pochi uomini. Due mesi più tardi un'altra sua nave, proveniente da Candia e diretta a Venezia con carico di vini, naufragò presso Cherso. Una terza nave del B., andata forse a Aigues-Mortes, fu sequestrata in Provenza dai Francesi, e non sappiamo se le pratiche diplomatiche, avviate per ottenerne il rilascio, avessero esito positivo.
È probabile che il B., come altri mercanti veneti di quegli anni, abbia finito per ritirarsi, o quanto meno per ridurre la sua partecipazione a così rischiose attività. Certo è che dal 1500, con la sua elezione a savio di Terraferma, inizia una intensa attività politica al governo della Repubblica, avvicendandosi al Collegio (fu più volte savio di Terraferma) e al Consiglio dei Dieci, nel quale fu eletto la prima volta nel 1501.
Dal gennaio 1506 alla fine del 1507 fu capitano e provveditore a Corfù, occupato a rafforzare le difese di quella importante base navale e a sorvegliare i movimenti dei Turchi e dei corsari. Nell'agosto del 1510 fu eletto capitano in Candia; parti da Venezia per raggiungere l'isola il 17 apr. 1511, e rimase in tale carica più a lungo del consueto, anche in seguito al naufragio del successore; dal marzo 1514, in seguito alla morte del duca di Candia, assunse anche le funzioni di viceduca; ritornò a Venezia nell'ottobre del 1514, e il 24 dello stesso mese fece la relazione al Collegio, che replicò l'ii novembre in Senato. La sua opera nel governo dell'isola, che era uno dei più importanti possedimenti veneziani, fu dedicata in particolare all'armamento delle galee, a migliorare le entrate fiscali e a recuperare i beni demaniali usurpati dai privati.
Nel corso della sua attività politica dimotrò particolare predilezione e competenza per i problemi finanziari. Nel 1500, prima come semplice senatore, poi come savio di Terraferma, propugnò invano una riforma fiscale, proponendo di abbandonare il sistema delle decime e delle tasse e di istituire una imposta sui "fuochi", cioè su ogni capo famiglia, da un minimo di un ducato al massimo di 200 ducati per "fuoco", in base all'accertamento fatto in ogni contrada da una commissione mista di due nobili e due popolari. Egli difese con ostinazione il progetto ("ne ha gran fantasia", commentava il Sanuto), ma il Senato lo respinse il 17 genn. 150i. Nel 1509, mentre era governatore delle Entrate, ripropose ancora, sempre inutilmente, la stessa tassazione sui "fuochi". Diverse volte il Sanuto registra suoi interventi in materia di finanza; occupò anche varie magistrature finanziarie: fu provveditore al Sale (1503), membro della commissione dei dieci savi per tassare la città (1509), governatore delle Entrate (1509), membro della giunta straordinaria dei Consiglio dei Dieci per reperire denari (1510).
Di fronte alle avverse vicende politiche e militari, che in quegli anni costrinsero Venezia a dolorose perdite, il B. si atteggiò a intransigente difensore dell'integrità territoriale. Nel maggio 1503 fu tra coloro che si opposero invano in Senato, proponendo tattiche dilatorie, alla ratifica della pace col Turco che sanciva la perdita delle preziose basi di Modone e Corone. Nel maggio i 509, dopo la disfatta di Agnadello, inutilmente si oppose in Senato alla restituzione al re di Spagna delle città della Puglia, sacrificio ormai inevitabile per cercare di rompere la soffocante stretta della lega di Cambrai; e fu contrario, questa volta con successo, ad avviare nel 150g trattative con la Francia, tramite il cardinale di Rouen. Con fermezza ancora maggiore cercò d'impedire nel 1510 la liberazione del marchese di Mantova, prigioniero dei Veneziani, e la sua nomina a capitano generale dell'esercito della Repubblica, che la maggioranza ritenne necessarie per compiacere a papa Giulio II.
Al suo ritorno da Candia fu dal 10 febbr. 1515 consigliere ducale per il sestriere di Dorsoduro. Nel 1516 una sua lettera datata da Corfù il 9 luglio testimonia di un suo viaggio, probabilmente verso il levante, per ragioni commerciali. Il 10 ottobre dello stesso anno era già di ritorno a Venezia, e il Consiglio dei Dieci lo elesse nella propria giunta. Nel 1517 fu eletto nel Consiglio dei Dieci, e ne faceva ancora parte al momento della morte, avvenuta alcuni giorni prima del 20 giugno 1518, data in cui il Maggior Consiglio elesse il suo successore.
Aveva sposato nel 1486 Angela, figlia di Pietro Foscarini.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro, Arbori de' patritii veneti, I, p. 172; Venezia, Civico Museo Correr, cod. Cicogna 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti del Maggior Consiglio, I, IPI). 13 s. (altra copia alla Oesterreichische Nationalbibliotek di Vienna, cod. Foscarini 6093); Arch. di Stato di Venezia, Capi del Consiglio dei Dieci, Lettere di rettori, B. 285, ff. 5-8, 10-11 (da Candia); B. 291, ff.37-47, 49-55, 59-61, 64-67 (da Corfù); M. Sanuto, Diarii, I-XII, XV, XVIII-XXV, Venezia 1879-1889, passim; J.B. Egnatius, De exemplis illustrium virorum venetae civitatis atque aliarum gentium, Venetiis 1554, p. 173.