BUCCI, Bernardo
Nato a Roma intorno al 1695 (Mazzuchelli), studiò presso il Collegio Romano, per poi passare alla scuola del Gravina: sarà questa l'esperienza decisiva sul piano delle scelte culturali e l'occasione prima dell'ideazione del vasto poema della Vita umana. Non abbiamo molte notizie sul B., che ricoprì mansioni di impiegato e segretario presso vari cardinali, in modo particolare presso il cardinale Giovanni Patrizi, legato a Ferrara, ove visse a lungo. Fu poi segretario del cardinale T. Acquaviva d'Aragona.
Benché il B. poco pubblicasse in vita, pure riuscì a conquistare la stima di molte accademie che lo vollero tra i propri soci: seguì il Gravina nello scisma dell'Arcadia, entrando nell'Accademia dei Quirini; fu membro della Selva di Ferrara, poi arcade "fedele", col nome di Falanto Partenio: Riuscì pure a conquistare riconoscimenti pubblici, quando fu nominato maestro di cerimonie di sua maestà cattolica e agente del serenissimo infante suo figliolo: ricopriva ancora queste cariche nel 1755. Si ignora la data della sua morte.
Le sue opere non sono molte: alcuni sonetti in Rime scelte di poeti illustri, Lucca 1720; una Cantata da recitarsila notte del Santissimo Natale nel Palazzo Apostolico, Roma 1731: opera questa che segna il limite massimo dell'accostamento del B. ai criteri estetici dell'Arcadia media crescimbeniana, anche se presenta non pochi scarti in direzione di quella poetica più complessa espressa nella Vita umana. Importante per valutare la scelta compiuta dal B. d'un esercizio di poesia didascalica e filosofica, di chiara derivazione graviniana, è la traduzione dell'Artepoetica d'Orazio in versi sciolti (in L'arte poetica di B. Menzini, Roma 1748, pp. 67-90).
L'opera fondamentale del B., cui dedicò tutta la sua vita, è il poema La vita umana, per il quale conquistò la stima dei contemporanei: costruito sull'esempio dantesco, con una tripartizione in Inferno,Purgatorio e Paradiso per un totale di 106 canti, il poema non giunto a noi che in minima parte, solo sette canti (il I, II e III dell'Inferno; il XXXII, XXXIII, XXXIV del Paradiso, editi in Rime degli arcadi, X, Roma 1747; il XVI del Purgatorio, in I giuochi olimpicicelebrati in Arcadia... in onoredegli arcadi illustri defunti, Roma 1754). Eppure non dovrebbero esservi dubbi sulla circolazione manoscritta dell'opera integrale (tanto che l'editore dell'Artepoetica menziniana, nella "prefazione" al lettore, afferma che il B. è "autore assai chiaro e per il suo poema ad imitazione di Dante e per altri suoi nobilissimi componimenti"), che non riuscì mai a trovare uno sbocco editoriale sia per ragioni pratiche collegate all'impegno severo del B. nel riordinare, riscrivere, limare il proprio materiale, sia per più generali e importanti motivi d'ordine culturale e storico. Il destino del B. è strettamente collegato a quello del Gravina e appare analogo a quello di altri discepoli graviniani, costretti all'esilio o alla dispersione.
Dai tre canti iniziali dell'Inferno è possibile definire il senso iniziale dell'opera, che narra la visione che il B. ha mentre sta leggendo proprio Dante: cosicché il viaggio oltramondano segue il rituale dello smarrimento, dell'assalto di bestie feroci, dell'arrivo d'un salvatore, in questo caso Dante in persona, il "buon padre" che assicura lo spaventato B. col suo "dolce aspetto", per poi guidarlo nel viaggio attraverso l'inferno.
Da un punto di vista strutturale, l'inferno del B. è molto diverso da quello dantesco: qui è un luogo unico, cinto da ogni parte da alte mura, attraversate da sette porte, cui giungono sette diverse vie, quelle dei peccati capitali. Il B. sottopone a un'azione di decisa riduzione il complesso apparato dantesco di proporzione tra peccato e pena, seguendo una scelta teorica esienzialmente razionalistica, per cui eguale è il peccato ed eguale è la colpa in ogni caso. Il repertorio iconografico infernale dantesco è poi attentamente filtrato dal B., che isola nettamente il momento descrittivo per ampliare di conseguenza lo scambio discorsivo con Dante: e ciò è spia eloquente d'un adeguamento moralistico del poema del B. (si confrontino in particolare i canti II e III dell'Inferno, che si distendono in un fitto dialogare che rivela un intento didascalico).
Nel complesso il B. tenta una mediazione delle istanze graviniane di una poesia "filosofica", in senso sia didascalico sia gnoseologico, nei confronti della condizione razionalistica arcadica, assumendone integralmente (certi connotati "aspri" del paesaggio infernale hanno un valore descrittivo esterno) la direzione melodico-cantabile, tentandone una amplificazione in un contesto figurativo più vario e sostenuto nel tono: un tono grave.
Bibl.: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, pp. 2261-2262; G. Cenzatti, Un imitatore di Dante nel Settecento, Montebello Vicentino 1907; L. Cambini, Il pastore Aligerio, Città di Castello 1913.