CABRERA, Bernardo
Figlio di Bernardo (III) morto nel 1368 e di Margherita di Foix, divenne, giovanissimo, il capo di uno dei casati più prestigiosi dell'alta nobiltà catalana. La famiglia aveva superato da pochi anni il momento più critico dei suoi rapporti con la Corona, culminato nel 1364 con la decapitazione per tradimento del famoso ammiraglio Bernardo (II), e il giovane nipote riuscì ad ottenere la restituzione degli immensi beni confiscatigli, rinsaldando i vincoli che lo legavano al ramo secondogenito della casa reale aragonese. Egli infatti non solo diede in moglie sua sorella Giovanna a Pietro de Prades (e da quel matrimonio nascerà la futura regina Margherita), ma ne sposò in prime nozze la sorella Timbora. Dopo essersi distinto nel 1389 nella difesa della contea di Besalù per respingere l'invasione, nel nord della Catalogna, delle bande del conte di Armagnac, riebbe il titolo di ammiraglio, tradizionale nel casato, e seppe esercitarne le funzioni, acquistando nel settore una progrediente competenza: ciò gli varrà nel 1391 la "capitania general" dell'armata organizzata da Martino d'Aragona, duca di Montblanc, per affrontare decisamente lo spinoso problema siciliano che, attraverso l'anarchia baronale conseguente alla lotta tra i quattro vicari, si trascinava sin dalla morte di Federico il Semplice (1377).
La fuga in Catalogna della regina Maria e il suo matrimonio col giovane principe Martino, figlio dell'omonimo duca di Montblanc, a sua volta fratello ed erede di Giovanni I d'Aragona, avevano ridato forza - rinvigorendone le basi giuridiche - alle pretese aragonesi nell'isola. Ciò non di meno, la "riconquista" fu molto più difficile di quanto non apparisse agli inizi e la perizia e la fedeltà del C. assunsero nell'impresa una parte decisiva, che non fu mai dimenticata dal principe aragonese quando, assunto al trono, dovette difendere da Barcellona in non poche occasioni l'operato del C. che egli considerò sempre come un suo fiduciario nella politica siciliana.
Per intanto, il sollecito riconoscimento da parte degli isolani della sovranità della coppia reale, sotto la tutela effettiva del duca di Montblanc, consolidava la fortuna del C. che, dopo la condanna e la decapitazione di colui che era stato l'anima della resistenza palermitana, Andrea Chiaramonte, ebbe in feudo i beni confiscati al ribelle. Ma, nel corso del 1393, mentre Messina, Siracusa e il castello di Catania rimanevano fedeli agli Aragonesi, la rivolta divampò di nuovo. Sotto la direzione animatrice di Enrico Chiaramonte si sollevarono la città di Palermo e tutta la valle di Mazara; Catania fece altrettanto ad opera del vescovo Simone Dal Pozzo; altri ribelli si aggiunsero via via, e gli Aragonesi furono costretti a difendersi in poche fortezze, mentre i loro avversari organizzavano una specie di governo provvisorio, tentando di rafforzare la propria posizione mediante accordi con Milano, con Napoli e con il pontefice romano. Agli inizi del 1394 la situazione parve insostenibile. Il C. venne inviato aBarcellona per richiedere i soccorsi di re Giovanni I, ma non tardò a rendersi conto dell'indecisione del sovrano. Di qui un meditato gesto che gli varrà per sempre la riconoscenza del duca di Montblanc: il ricorso massiccio ai propri beni catalani per allestire un valido reparto di armati che svolsero un'azione decisiva nella lotta civile siciliana. E per questa sua prova di fedeltà e per il coraggio mostrato contro gli insorti, l'ammiraglio, fu ricompensato con la concessione dell'importante contea di Modica che rimase per lunghi anni in possesso della famiglia, e poi nel ramo degli Enriques-Cabrera fino al 1702.
Seguirono tre anni di dura e difficile lotta che non possono tuttavia considerarsi, seguendo l'impostazione della storiografia romantica e risorgimentale siciliana, come l'ultimo sforzo dell'isola per salvaguardare la propria indipendenza ed individualità nazionale, quasi come il retaggio dei Vespri. Se tali motivi infatti vennero agitati insieme con quelli religiosi - la fedeltà al papa di Roma Bonifacio IX contro l'antipapa protetto dagli Aragona -, i ribelli si muovevano soprattutto per la difesa delle posizioni di privilegio conquistate durante l'anarchia, contro cui si muoveva la Corona.
La morte di Giovanni I (maggio 1396), ponendo nelle mani del duca di Montblanc il trono d'Aragona, consentiva a quest'ultimo di concludere rapidamente, con l'apporto delle risorse catalane, l'impresa siciliana. Il C. nel gennaio 1397 lasciò la Sicilia, seguendo il nuovo re in Barcellona, con le funzioni di consigliere e camerario. Ma due anni dopo, di fronte ad un nuovo pericolo di ribellione, questa volta fomentata da Raimondo Moncada, conte di Augusta, Martino il Vecchio rimandò il C. in Sicilia, a capo di un'armata e col titolo di capitano generale per fargli assumere nei consigli del re di Sicilia una posizione di preminenza.
Evidentemente la funzione di tutela che, attraverso il C., il re d'Aragona intendeva esercitare sul figlio non dové riuscire gradita al re di Sicilia se, malgrado le nuove benemerenze acquisite dall'ammiraglio sia a Cipro, sia a capo d'Orlando contro la rivolta del duca di Cammarata, legato a re Ladislao di Napoli, Martino il Giovane fu sempre riluttante a seguirne le direttive. La morte della regina Maria, ponendo in discussione le stesse basi giuridiche della sovranità del giovane principe aragonese, rese ancora più delicata la situazione (maggio 1401); per iniziare una politica di pace con Napoli, alcuni ambienti siciliani auspicavano le nozze del sovrano con Giovanna, sorella ed erede di Ladislao. Giacomo Campo si recò appositamente in Catalogna per prospettare i vantaggi di tale richiesta; ma il re d'Aragona non poteva abbandonare la sua politica ostile ai Durazzeschi e filoangioina e nel febbraio 1402 stipulò nuove nozze per il figlio, scegliendo Bianca di Navarra.
Nel settembre dello stesso anno il C. come capitano generale fu destinato ad accompagnare la sposa in Sicilia, al comando di sei galee. Durante il viaggio, secondo una tradizione dura a morire della storiografia romantica - che non ha alcun fondamento, a parte alcuni accenni del Valla -, egli si sarebbe invaghito della giovane sovrana e da allora avrebbe osato porre le mire su di lei e sullo stesso Regno di Sicilia. La realtà è che nella corte di Martino il Giovane apparivano sempre più evidenti i sintomi di una crisi di assestamento nella classe dirigente feudale che aveva responsabilità di governo. Si tratta di un conflitto interno alla feudalità catalana che sfocia addirittura nella rivolta contro il re quando sembra che di volta in volta egli si appoggi ad un gruppo ai danni di altri: il C., che si riteneva investito dal re d'Aragona di un mandato di supervisione e di controllo, si scontra non solo con la nobiltà siciliana, che, per la situazione internazionale perennemente fluida, si sente stimolata a tentare la riscossa, ma con la stessa nobiltà catalana, divisa da profondi contrasti e da malcontenti che determinano un vero esodo di gentiluomini insoddisfatti verso la madrepatria, privando la corte di alcune sicure riserve. Il C. vede soprattutto con malcelata gelosia l'influenza che presso Martino il Giovane acquista sempre di più Sancho Ruiz de Lihori. Notizie di questi contrasti e dell'atteggiamento non riguardoso tenuto nei confronti del giovane sovrano da parte del C. giungono a Barcellona e nel luglio 1403 Gerardo Alemano de Cervellon viene inviato da Martino il Vecchio alla corte siciliana per dirimere la contesa fra le due parti, ed analoga missione viene svolta nel maggio 1404 da Dalmazzo de Viert. Martino di Sicilia aveva posto l'assedio al castello di Palazzolo, ove si era asserragliato il già ricordato Giacomo Campo, e, per l'intervento del Cervellon, il C. fece opera d'intercessione presso il ribelle per la cessione del castello alla Corona, e per suo conto chiese perdono al sovrano per il suo precedente atteggiamento. Un processo intentato contro il C. venne annullato da Martino, il Vecchio; il C., imprigionato dal re di Sicilia in Catania, venne liberato e fu ristabilito un modus vivendi o quanto meno una tregua fra le due parti. Posteriormente un viaggio a Barcellona (gennaio-settembre 1405) del re di Sicilia, accompagnato dal C. e dal Lihori, parve sanzionare l'avvenuta concordia. Si ebbe poi la comune partecipazione all'impresa di Sardegna: il C. fu inviato nel novembre 1408 a Barcellona per la richiesta di soccorsi e con l'incarico di sollecitare l'intervento di una flotta che agisse di conserva con quella proveniente dalla Sicilia. Contemporaneamente egli svolse una missione per richieste d'aiuto anche presso l'antipapa Benedetto XIII. Ritornato in Sardegna nell'aprile 1409, egli poté distinguersi nel giugno nella battaglia di Sanluri.
Ma alla morte di Martino il Giovane (25 luglio 1409) riprese aspra la lotta fra il C. e Libori. Martino il Vecchio, ereditando dal figlio il trono di Sicilia, confermò la regina Bianca nel "vicariato" concessole dal marito alla partenza per l'impresa sarda e rinnovatole nel testamento. Insieme, nominò gran giustiziere di Sicilia il C., pregandolo - attraverso l'invio nell'isola nell'agosto 1409 di un suo fiduciario, Giacomo Roure - di mettere da parte ogni rancore personale, per rendersi utile alla Corona in un momento particolarmente difficile. E in realtà gli urti fra le fazioni baronali, le gelosie tra le maggiori città, le minacce e le pretese papali, i fermenti autonomistici sempre vivi nella nobiltà locale che ora sembrava si indirizzassero verso il piccolo Federico de Luna, bastardo legittimato di Martino il Giovane, rendevano la situazione non solo fluida, ma oltremodo intricata. Essa era resa ancora più grave dall'esistenza, di due centri "catalani" di potere: uno a Palermo accanto al C., e l'altro a Catania, a lato della regina, centri che avrebbero dovuto nell'intento del sovrano, non scontrarsi, ma unificarsi. Era necessario, ed urgente che tra essi si stabilisse, se non un'intesa, almeno un qualche equilibrio. Ed a questo, nellasostanza, parve tendere inquel primo momento lo stesso C., che sarebbe stato disposto ad affiancare la regina, condividendone l'esercizio del potere. L'accomodamento non fu possibile per colpa dell'irrigidimento delle due parti, e allorché il C. vide fortificata la sua posizione in Catalogna per le nozze della ventunenne nipote Margherita de Prades col maturo e sofferente re d'Aragona, celebrate il 17 sett. 1409, nella vana speranza di assicurare al trono una discendenza legittima, ritenne quasi come un affronto personale la nomina da parte della vicaria del rivale Lihori a grande ammiraglio di Sicilia (1º nov. 1409). Da quel momento egli contestò apertamente le stesse basi giuridiche del vicariato della regina Bianca; ed invano il re Martino, perché la rottura non apparisse evidente e fosse ulteriormente sperimentata la possibilità di un'intesa, pregò il C. di non muoversi dai suoi feudi.
La situazione precipitò alla morte di Martino il Vecchio (3 maggio 1410), nel periodo di vero e proprio "interregno" che si protrasse non solo negli Stati catalano-aragonesi, ma nella stessa Sicilia fino alle decisioni del Parlamento di Caspe (28 giugno 1412), con l'assunzione al trono di Ferdinando I di Trastámara. In quei due anni il C., dopo aver rivendicato in un documento del 24 giugno 1411 il diritto dei "gran giustizieri" di rappresentare l'autorità regia nel periodo di vacanza del Regno, lottò decisamente contro la fazione opposta, riuscendo in un primo tempo ad avere quasi tutta l'isola con sé; poi le azioni della regina, anche per l'atteggiamento tenuto dal gran giustiziere di fronte alle decisioni del Parlamento di Taormina dell'agosto 1411, risalirono, e nel giugno del 1412 le truppe di Bianca riuscirono ad imprigionare il Cabrera.
La storiografia più recente ha chiaramente scagionato il C. dalla vecchia accusa di tradimento e di mire personali sul Regnodi Sicilia: anche se le sue rivendicazioni circa il diritto consuetudinario del gran giustizieread assumere la rappresentanza dell'autoritàregia in caso di vacanza non erano né giuridicamente, né storicamente fondate, fragili basi avevano anche i diritti al vicariato da parte di Bianca di Navarra, dopo la morte di Martino il Vecchio. Il rifiuto di lui a partecipare al Parlamento generale di Taormina, promosso dai Messinesi e ben visto dalle stesse Cortes di Barcellona, fu determinato dalla coscienza della sua forza e dalla sua sfiducia nelle vane, promesse di Bianca e dei baroni del suo entourage.Le possibilità di un accordo, fallirono per la riluttanza da parte del C. di restituire i beni demaniali e della Camera reginale in suo possesso, dopo la ribellione di Siracusa contro la regina. L'accordo raggiunto a Solanto nel maggio 1412 fu rotto dalla regina, mentre il C. sembrava disposto a rimettersi al giudizio della missione catalana inviata nell'isola circa il suo dissidio con Bianca. In sostanza, il C. intese sempre muoversi nell'ambito della "legittimità aragonese" ed i motivi ispiratori della sua azione vennero compresi sia dal nuovore Ferdinando I, sia da Giovanni duca di Peñafiel nominato viceré nell'isola, ed al quale toccò prendere una decisione circa beni e gioielli della regina Bianca ancora in possesso del Cabrera.
Liberato nell'estate del 1413 per intervento di Ferdinando d'Aragona e ritornato a Barcellona, il C. divenne durante le lotte delle Cortes catalane e l'offensiva "pactista" contro la nuova dinastia uno deipartigiani più attivi della fazione del conte di Pallars; ma rinunziò al suo atteggiamento quando, all'inizio del suo regno, Alfonso il Magnanimo lo utilizzò in Sardegna in incarichi di fiducia ed anche quale "delegato reale" nel Parlamento del 1421.
Il C., che aveva sposato in seconde nozze Cecilia d'Urgell, morì nel 1424, lasciando la contea di Modica al figlio Bernardo Giovanni (morto nel 1466), marito di Violante de Prades, e distintosi nella vita politica siciliana durante il viceregno del futuro re cattolico, Ferdinando.
Fonti e Bibl.: L. Valla, De rebus a Ferdinando Aragonio rege gestis, Francoforte 1603; J. Curita, Anales de la Corona de Aragón, Caragoza 1610, II, ff. 363, 438v-439v, 441v, 444v-445r; III, ff. 6r-7r, 58v-59v, 76v-77v, 88v-89r; Lettere e doc. relativi ad un periodo del vicariato della regina Bianca..., a cura di R. Starrabba, in Documenti per servire alla storia di Sicilia, s. 1, X, Palermo 1867, pp. 76 s., 81-84, 89, 99 s., 102, 106-114, 123-128, 145 s., 155-159, 165-169, 171-174, 183 s., 190 s., 200, 204-207, 230-232, 301 s.;R. Gregorio, Considerazioni sopra la storia di Sicilia, in Opere, Palermo 1845, V, pp. 394-396, 426-430; G. Beccaria, La regina Bianca in Sicilia, Palermo 1887, passim;F. P. Perez, La regina Bianca e C., episodio della storia siciliana dal 1408al 1456, in Scritti vari, III, Palermo, 1898, pp. 7-27; J. Vicens Vives, Juan II de Aragón (1398-1479), Barcelona 1953, pp. 14 s.; F. Giunta, Aragonesi e Catalani nel Mediterraneo, I, Dal regno al viceregno, Palermo 1953, ad Indicem; A.Boscolo, I Parlamenti di Alfonso il Magnanimo, Milano 1953, pp. 14, 21, 67; Id., La politica italiana di Ferdinando I d'Aragona, Cagliari 1954, ad Indicem;R. Moscati, Per una storia della Sicilia nell'età dei Martini, Messina 1954, pp. 29 n. 6, 33, 122 s., 138 s.; S. Sobreques y Vidal, Els barons de Catalunya, Barcelona 1957, ad Indicem;A. Boscolo, Medioevo aragonese, Padova 1958, ad Indicem;Id., La politica italiana di Martino il Vecchio re d'Aragona, Padova 1962, ad Indicem.
Per le varie fasi della lotta una distesa narrazione è nel Diz. biografico degli Italioti, X, Roma 1968, alla voce Bianca di Navarra redatta da S. Tramontana. Per il figliodel C., Bernardo Giovanni, notizie in J. Vicens Vives, Fernando el catolico,principe de Aragón,rey de Sicilia,1458-1478, Madrid 1952, ad Indicem, oltre che in A. Boscolo, La politica italiana di Martino il Vecchio, cit., ad Indicem.