CARACCIOLO, Bernardo (Bernardo da Napoli, Bernardinus Caracciolus Rubeus)
Apparteneva ad una delle più eminenti famiglie di Napoli che già al tempo del ducato faceva parte della nobiltà. Non è possibile stabilire con esattezza chi fossero i suoi genitori; comunque apparteneva al ramo dei Caracciolo Rossi di cui si ha notizia sin dal secolo XIII. Suo fratello era con tutta probabilità il connestabile della cavalleria napoletana Giovanni Caracciolo Rosso, morto nel 1236-37 durante la difesa di un castello imperiale.
Il C., nato intorno al 1210, studiò con tutta probabilità a Napoli e a Salerno. Il suo epitaffio lo qualifica come "doctor utriusque iuris" e dotto medico. Come canonista entrò al servizio della Curia, diventando in un primo momento, prima del 1236, cappellano del cardinale di S. Prassede, Giovanni Colonna, della cui "famiglia" fece parte fino al 1239. Gregorio IX poco prima del 1239 lo assunse nella cappella pontificia come suddiacono. Nello stesso periodo il C. ottenne anche un canonicato a Patras, e poi, nel 1249 al più tardi, anche il decanato (per una lettura sbagliata di "Patracensis" nella storiografia il C. viene indicato erroneamente come decano della Penitenzieria apostolica); come membro della Curia era tuttavia esonerato dall'obbligo di risiedere nei suoi benefici greci. Gregorio IX nel gennaio del 1239 lo mandò in Grecia per sollecitare dalle chiese della Morea il pagamento della terza parte delle entrate per la difesa dell'Impero latino. In territorio greco il C. restituiva, in nome del papa, anche beni a quelle chiese che avevano indirizzato le loro querele a Gregorio IX. Era attivo nell'Impero latino come collettore di sussidi ancora nel luglio del 1241.
Dopo il suo ritorno il C. svolse prevalentemente funzioni di auditore in processi curiali alla corte pontificia di Lione. Lo troviamo investito a partire dal 1249 del titolo di "domini pape curie causarum generalis auditor"; era dunque uno dei primi auditori generali stabili nominati da Innocenzo IV. Tra le cause affidategli furono una lite tra l'arcivescovo e il capitolo di Genova, un conflitto tra le suore domenicane di Prouille e il monastero di St.-Hilaire in Carcassonne e contrasti sorti per certe chiese a Norfolk e a Liegi. Nell'autunno del 1250 fu inviato dal papa in Navarra per revocare l'interdetto imposto a quel regno a causa di un conflitto fra il vescovo di Pamplona e il re Teobaldo I; la sua missione conciliatoria non ebbe però risultati durevoli.
Il 10 genn. 1252 il pontefice Innocenzo IV nominò il C. arcivescovo di Napoli, sede vacante già da vario tempo. Sebbene i Napoletani si fossero ribellati nel 1251 contro il dominio svevo tenendo testa a re Corrado fino all'ottobre dell'anno 1253 il C. non intervenne, come per esempio i suoi compatrioti Marino Filomarino e Enrico Filangieri elevati contemporaneamente alla dignità arcivescovile di Capua e di Bari, nella lotta politica, ma restò in Curia. È ricordato frequentemente, tra il 1252 e il 1254, come auditore di cause curiali, e questa circostanza lascia presumere che Innocenzo IV apprezzasse di più le sue qualità di giudice che la sua capacità di intervenire efficacemente nella sua città natale. Ancora durante il soggiorno della corte pontificia a Perugia nel 1252-53, il C., per ordine del papa, elevò il minorita Samuele e il cisterciense Tommaso a vescovi di Nicastro e di Martirano. Inoltre nominò procuratori per chiese vacanti a Cipro e in Grecia, oppure assunse l'esame di elezioni ecclesiastiche nel Regno di Sicilia. Nell'ottobre del 1252 Innocenzo IV affidò al C. l'incarico di revocare, a favore del vescovo di Città di Castello, certe sentenze, un mese più tardi di investire Marino da Eboli della contea di Acerra. Dopo la caduta di Napoli il C. si occupò del mantenimento dei napoletani costretti all'esilio. A questo scopo e per il suo sostenimento Innocenzo IV gli concesse nel dicembre del 1253 l'amministrazione e le entrate del vescovato di Sabina, allora vacante.
Un incarico politico di maggiore importanza fu affidato al C. nel 1254, quando Innocenzo IV, all'inizio di aprile, lo mandò come legato in Ungheria, Austria e Boemia, per interporre i suoi buoni uffici nel contrasto tra Bela IV e Ottocaro II sull'eredità dei Babenberg in Austria. Il C., che in quel momento viene ancora qualificato come arcivescovo eletto e cappellano pontificio, arrivò a Praga solo due mesi dopo la pace di Presburgo che aveva definito la spartizione, cosicché Innocenzo IV gli revocò l'incarico nel luglio del 1254. A Praga, vista la situazione, il C. si limitò a chiedere il pagamento delle procuratorie a lui spettanti, come aveva già fatto a Friesach in Carinzia.
Dopo il suo ritorno in Italia trovò finalmente aperta la strada per Napoli, poiché Corrado IV nel frattempo era morto e Manfredi era temporaneamente disposto a venire ad un accomodamento con Innocenzo IV. Poté dunque prendere possesso della sua Chiesa, con tutta probabilità nell'ottobre del 1254, ed essere consacrato non molto tempo dopo. Durante il soggiorno della corte pontificia a Napoli, il C. ottenne dal nuovo papa Alessandro IV una conferma dello statuto relativo al diritto di testare dei canonici, rilasciato dall'arcivescovo Sergio nel 1183.
Diversamente da Innocenzo IV, Alessandro IV non aveva evidentemente molto interesse ad affidare al C. incarichi curiali. Quando la corte pontificia lasciò Napoli nell'estate del 1256, egli non la seguì nell'esilio come altri vescovi siciliani nominati dal papa, ma restò a Napoli. Nel marzo del 1257 istituì un anniversario della sua famiglia da celebrarsi nel monastero di S. Maria di Agnone. Il documento, sottoscritto personalmente dal C., reca nella datazione gli anni del regno di Corrado II (Corradino). Il C. riconosceva dunque il dominio svevo restaurato da Manfredi. Passò gli ultimi anni del suo vescovato a Napoli. Secondo il racconto di Matteo Spinelli - falsificato, ma forse non del tutto privo di credibilità storica a questo proposito - il C. avrebbe provocato disordini con il tentativo di far rispettare l'interdetto. Negli stessi anni pensò anche di scrivere una Vita del santo vescovo di Napoli Giovanni (IV), ma non riuscì a realizzare il progetto prima della morte. La Vita fu redatta invece dal cimiliarca napoletano Giovanni Lazzio che seguì l'esempio del Caracciolo.
Il C. morì nell'ottobre del 1262 a Napoli e fu sepolto nel duomo. L'iscrizione della lapide sepolcrale, che tuttavia con molta probabilità non è contemporanea, indica come giorno della morte il 5 ottobre; l'obituario di S. Patrizia a Napoli il 9 dello stesso mese.
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