CASTIGLIONE, Bernardo
Nacque a Firenze nel 1542 da Bernardo e Nannina Lanfredini.
Apparteneva ad un ramo della famiglia che, nella seconda metà del Quattrocento, era stato rappresentato da Dante di Bernardo e dai tre figli Guido, Bernardo e Vieri. Da Vieri era nato, nel 1503, Bernardo, che dalla Lanfredini aveva avuto un figlio a cui era stato posto il suo stesso nome. Il C. non deve perciò essere confuso con un Bernardo di Francesco di Bernardo di Francesco, nato nel 1541.
I genealogisti della famiglia notavano come "dall'assedio in qua in questa casa sono stati 8 ribelli" (Firenze, Bibl. nazionale, Manoscritti Magliabechi, cl. VIII, 74, c. 72). La maggior parte di questi oppositori al regime mediceo si trovava riunita proprio nel ramo del Castiglione. In particolare l'esempio e l'azione politica di Dante e di Bernardo, che avevano avuto un rilievo notevole nelle vicende del 1527-30, dovevano lasciare un'impronta nel carattere della famiglia e nell'attività dei discendenti. Il C. trovava inoltre, nella tradizione della sua casa, un altro elemento che esercitò su di lui un'influenza profonda: l'ammirazione per il Savonarola. Bernardo di Dante, ad esempio, nell'agosto 1529, in un importante discorso tenuto davanti alla Pratica, si rifaceva alle profezie del frate e ricordava come egli avesse "predetto che questa Repubblica ha a vivere e prevalere contro i tiranni, e contro i loro seguaci" (Firenze, Bibl. Riccardiana, Manoscritti, 2711, c. 157).
Nell'opera del C. la posizione politica antimedicea della casa, filtrata attraverso un sentimento di profonda stima per il Savonarola, permase come un elemento di rilievo. Ancora giovane, a diciotto anni, il 1º giugno 1560, venne accolto nel convento di S. Marco e ottenne l'abito ecclesiastico dal padre provinciale Angelo da Diacceto. Ad un anno dal suo ingresso a S. Marco, nel giugno del 1561, il C. fece dono ai frati del suo cospicuo patrimonio, costituito da sei poderi, due mulini, una bottega, e alcune terre e denari che possedeva in comune col fratello Roberto e che vennero definitivamente divisi nel 1563. In seguito il C., pur soggiornando prevalentemente nel convento fiorentino, dovette allontanarsene per qualche tempo essendo stato nominato priore, prima in un convento ad Arezzo, poi in uno a Castellano.
Il convento di S. Marco, che aveva avuto come priore il Savonarola, costituiva negli anni di metà secolo un polo di opposizione contro il recente principato, che preoccupava gli ambienti politici più vicini alla corte dei Medici. Si scriveva che i frati di S. Domenico "essendo stati accarezzati al tempo del popolo in Firenze, havevano gustato una certa ambizione di favore, di che essendo spogliati, non pareva loro potere, con altra demostrazione sfogare l'animo loro, che col parlare col quale prevaricavano l'onestà della Religione, chetroppo inimici si dimostravano al Duca" (Firenze, Bibl. nazionale, Manoscritti Magliabechi, cl. VIII, 74, c. 109).
Nel convento il C. divenne in breve tempo una delle personalità più scomode al nuovo regime, soprattutto per la venerazione che aveva per il Savonarola e per lo studio delle opere di quest'ultimo. Preparava infatti un catalogo completo degli scritti del frate e ne faceva un ritratto, inciso sopra alcune lastre nel convento. In questo tentativo di far rivivere e diffondere il culto del Savonarola i Medici vedevano un affronto ai principi del nuovo regime. La reazione fu immediata. Il cardinale arcivescovo Alessandro de' Medici fece spezzare l'immagine del frate ed espellere l'autore dal convento.
Intorno al 1575 il C., allontanatosi da Firenze, riparò a Viterbo. Non abbandonò tuttavia le sue idee. Anzi, negli ultimi anni della sua vita si impegnò nel tentativo di un'edizione completa delle opere del frate. In una lettera del 17 giugno 1581, importante documento sulla diffusione del pensiero savonaroliano nel periodo della Controriforma, il C. illustrava a un suo correligioso del convento fiorentino le difficoltà in cui si imbatteva la sua iniziativa. Cominciava osservando come "in Roma stanno molto vigilanti d'haver notitia de' libri che arrivano in Italia, e ne hanno fatti sospendere non piccola quantità" (Marchese, Lettere, p. 199).Continuava dichiarando di aver parzialmente convinto dell'utilità dell'opera il cardinale Alessandrino, per poter avere l'approvazione dell'autorità ecclesiastica, e di avergli procurato alcune opere del frate: "so certo, che cominciando a leggere qualcosa di suo, resterà preso come gli altri" (ibid., p. 200).
Morì a Viterbo, nel convento di S. Domenico, nell'agosto 1581.
Fonti e Bibl.: Firenze, Bibl. Laurenziana, Manoscritti di S. Marco, 370, cc. 37, 38, 75, 120, 181; Ibid., Acquisti e doni, 231; Firenze, Biblioteca Riccardiana e Moreniana, Manoscritti, 2711, n. 13; 2024, c 535; Archivio di Stato di Firenze, Archivio Bardi, s. 3, 98, c. 231; Ibid., Carte Strozziane, s. 2, CXI, cc. 4-9; Ibid., Carte Dei, XIV; Firenze, Biblioteca nazionale, Manoscritti Magliabechi, cl. VIII,74, cc. 72-73; cl. XXV, 45, cc. X-XI; cl. XXVI, 112, c. 24; V. Marchese, Lettere inedite di fra' Girolamo Savonarola..., in Archivio storico italiano, XV (1850), App. VIII, pp. 199-201; E.-C. Bayonne, Etude sur Jérome Savonarole des Frères Prêcheurs, Paris 1879, pp. 299 s., 318, 320; A. Amati, Cosimo I e i frati di S. Marco, in Arch. stor. ital., LXXXI (1923), pp. 239, 245; G. Schnitzer, Savonarola, Milano 1931, II, pp. 490, 492 s., 504; P. Simoncelli, Momenti e figure del savonarolismo romano, in Critica storica, n. s., III, 1974), 1, p. 80.