CAVALLINO, Bernardo
Figlio di Giovanni Maria e di Beatrice Lopes, nacque a Napoli, dove fu battezzato il 25 ag. 1616 nella parrocchia della Carità (ora S. Liborio). Èquesto l'unico dato biografico certo del pittore documentato, appunto, dall'atto di battesimo pubblicato dal Prota Giurleo il 13 luglio 1950 sul quotidiano Roma di Napoli (cfr. Prota Giurleo, 1953). Da altri documenti risulta anche che il C. ebbe quattro fratelli tutti maschi, per l'ultimo dei quali, Leonardo (nato il 29 giugno del 1623), fu padrino di battesimo il pittore Battistello Caracciolo. Non sembra comunque che da questa sola circostanza si debba necessariamente inferire, come vuole il Prota Giurleo, che anche il padre del C. sia stato pittore. Ancora il Prota Giurleo presuppone, e in questo caso con una certa ragionevolezza, che il C. sia deceduto durante la pestilenza del 1656.
È bene precisare che l'unica fonte antica, il De Dominici (1742, III, pp. 32 ss.), pur se ha saputo dare una perspicace valutazione dei connotati culturali dell'opera del C., è invece completamente inattendibile nel riferire i dati biografici: intesse addirittura una specie di romanzetto edificante sulle vicende familiari dell'artista.
Una sola delle opere del C. è datata: la S. Cecilia, già nella chiesa di S. Antoniello delle Monache a Napoli, poi nella collezione P. Wenner e ora presso la Delegazione per le restituzioni (Firenze, Palazzo Vecchio), che reca la scritta "B C nº pª 1645"; per induzione è databile al 1649 circa la piccola Pietà della chiesa del Purgatorio a Molfetta (D'Elia, p. 168); il 23 genn. 1649 il C. fu pagato per "un quadro grande" per il principe di Cardito (G. d'Addosio, Doc. inediti, in Arch. stor. per le prov. napol., XXXVIII[1913], pp. 42 s.), non identificato.
La reidentificazione della personalità artistica del C. è stata pertanto operata dalla moderna storiografia quasi solo attraverso un fitto lavorio di vaglio filologico, che ebbe un primo e assai dibattuto momento tra il 1920 e il 1922 (per gli interventi di A. De Rinaldis, E. Sestieri e S. Ortolani) e si è poi meglio orientato in tempi più recenti, grazie in specie ai contributi di R. Causa per i dipinti e di W. Vitzthum per i disegni. Sceverato rigorosamente il corpus delle opere autografe dalle numerose copie e imitazioni anche coeve all'artista e che, se pur sovente di qualità tutt'altro che trascurabile, avevano comunque generalizzato una cifra formale e un repertorio sentimentale piuttosto distinti dalle qualità proprie del C., si è finalmente riusciti a mettere a fuoco il genuino timbro poetico dell'artista: il quale fu "in effetti l'unico pittore del primo Seicento napoletano che sapesse affrontare in chiave intimista la rappresentazione, sacra o profana che fosse, e sempre spogliandola da ogni remora chiesastica, da ogni complicazione di liturgia e di impegno devozionale" (Causa, 1972, p.941).
La data della S. Cecilia già della collezione Wenner, il 1645, sembra essere il momento discriminante delle due fasi di sviluppo dell'arte cavalliniana. Nella prima si palesa preminente l'influsso dello Stanzione (come per altro era stato già ben avvertito dal De Dominici), a valere non tanto come semplice modulo di stile, ma piuttosto come mediazione per una riconsiderazione della eredità del "caravaggismo riformato" di Artemisia Gentileschi e del Vouet: sollecitando pure, per questa medesima via, un certo interesse per la contemporanea ripresa "naturalistica" di F. Guarino. Interessi, tutti questi, che non legittimano certo la radicalizzata affermazione del Moir (1967, I, p. 174), secondo il quale durante questa fase il C. sarebbe addirittura stato, col Serodine, "il migliore di tutti i tardi caravaggeschi in Italia"; ma che in ogni caso denotano il ben più complesso tessuto culturale entro il quale si produssero le scelte di linguaggio e tematiche del C., consapevole pure (e sempre tramite la mediazione dello Stanzione) delle alternative classicistiche in senso poussiniano, che a Napoli erano divulgate ad esempio da Aniello Falcone e da Andrea De Leone.
All'inizio dell'attività del C. è plausibile dunque collocare il grande Martirio di S. Bartolomeo del Museo di Capodimonte a Napoli e, secondo una recente proposta del Causa (1972, p. 943), il controverso Incontro di s. Gioacchino e s. Anna del Museo di Budapest, nonché la Madonna col Bambino del castello di Olomouc (Cecoslovacchia), la Cacciata dei mercanti dal tempio della National Gallery di Londra, con più vivi ricordi falconiani (M. Levey, The Seventeenth and Eighteenth Cent. Ital. Schools, catal., London 1971, pp. 84 s.), la Cacciata di Eliodoro, (siglata) del Museo Puškin di Mosca, l'Adorazione dei Magi del Kunsthistorisches Museum di Vienna.
Più prossima alla S. Cecilia della collezione Wenner (di cui esiste il bozzetto, già ricordato dal De Dominici e ora nel Museo di Capodimonte) è l'Immacolata della Pinacoteca di Brera, sintesi ammirevole di effusione pittorica e di genuino pathos (tav. 76 in Il Seicento europeo, catal., Roma 1956, e p. 370 in Boll. d'arte, XLI [1956]: ma vedi anche ill. 1, p. 30, in The Connoisseur..., CXLVIII [1961], p. 595, e Gamulin) e poi la notissima Cantatrice di Capodimonte, la Giuditta (siglata) del Museo nazionale di Stoccolma, la S. Caterina del Barber Institute di Birmingham (v. anche S. Caterina nel Museo Boymans-van Beuningen di Rotterdam, cat. 1978), la S. Agata del Museo di Detroit: quadri, questi ultimi, in cui la stessa concisione formale, il privilegiare la singola figura femminile a mezzo busto, senza neanche ricercare un modello idealizzato di "bellezza" sembrano favorire l'avvio di un processo di fusione tonale e di smagliante tenerezza che ben denota l'avvertimento della svolta pittoricistica, e dunque sostanzialmente barocca, che si manifestava a Napoli.
Anche se ha tutto il sapore di aneddoto, la circostanza riferita dal De Dominici circa l'emozione del C. per l'Erodiade di Rubens che era, verso il 1640, a Napoli nella raccolta di Gasparo Roomer o in quella di Ferdinand van den Eynden, rimane emblematicamente indiziaria di codesto virare anche del C. verso un linguaggio pittorico più ricco, aperto a nuove possibilità e fortemente segnato, più che dagli esempi rubensiani, dal van Dyck.
Si fanno strada ora una certa disinvoltura e qualche sprazzo virtuosistico, perfino alcune arguzie espressive e una fluenza di ritmo che ci inducono a ritenere databili a questa fase i dipinti di tema letterario o, comunque, profano: dalle due versioni del Ratto di Europa dei musei di Liverpool (Walker Art Gallery) e di Kansas City all'Erminia e Tancredi di Capodimonte,ai due tondi di argomento tassesco (Erminia tra i pastori ed Erminia e Tancredi)della Pinacoteca di Monaco. Nell'Ester e Assuero degli Uffizi, con quello sfondo come abbacinante entro cui le figure paiono disfarsi, il canonico argomento biblico è trasformato in "un'aulica scena di seduzione cortese" (Causa): un transfert che oramai diviene consueto, ancora ad esempio nel Loth e le figlie e nella Ebbrezza di Noè già nella collezione Lodi a Campione d'Italia (The Burlington Mag., CXVIII [1976], suppl., tavv. XVIII s.) o nel David che suona dinanzi a Saul, già nella collezione Harrach (ora nel Kunsthistorisches Museum di Vienna). Al culmine, patetica e fragrante di luci, la Adorazione dei Magi del Museo di Cleveland.
Ad eccezione della ricordata S. Cecilia proveniente da S. Antoniello delle Monache (e di un Martirio dei santi francescani che, a detta del De Dominici, sarebbe stato eseguito per S. Diego dell'Ospedaletto, e che forse fu distrutto per la rovina della chiesa nel 1784), tutta la restante produzione pittorica del C. ebbe destinazione privata, per intenditori raffinati che meglio sapevano apprezzare il suo sentimento lirico, quali furono G. Roomer, il letterato Giuseppe Valletta, proprietario di una quadreria ai suoi tempi famosa, Nicola Salerno, pur egli letterato, il principe di Conca e il marchese di Grazia. La fortuna critica del C. restò, anche per questo, a lungo circoscritta soprattutto nell'ambito di una élite locale: ma, come testimoniano appunto le copie e imitazioni di cui abbiamo fatto cenno sopra, il suo esempio non mancò di esser riguardato con attenzione da altri "petits-maîtres" napoletani del tempo, come per esempio Antonio De Bellis, Gerolamo De Magistris e in specie Domenico Gargiulo e lo Schoenfeld. Né è da trascurare, infine, che nel secolo successivo, in un clima di rinnovata ricerca pittoricistica, i modelli cavalliniani dovranno pur aver esercitato una certa suggestione su pittori quali il Giaquinto, il primo Diano, il Bardellino.
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