CELENTANO, Bernardo
Secondogenito di Vincenzo e di Giuseppa Belliazzi, nacque a Napoli il 23 febbr. 1835. Contro le tradizioni giuridiche della famiglia, rivelò sia da ragazzo una decisa inclinazione alle arti, dato che un suo paesaggio risale al 1846 (Napoli, coll. Lubrano Celentano). Due anni dopo entrava nello studio di L. Stabile e nel 1850 s'iscriveva all'Istituto di Belle Arti, per seguirvi il corso di pittura tenuto da C. Guerra, e alla Scuola del nudo. Uno dei suoi primi quadri, Un inutile pentimento (Roma, Gall. naz. d'arte moderna) venne premiato alla mostra napoletana del 1851. In quell'occasione conobbe D. Morelli, del quale sarebbe divenuto amico fraterno.
A partire dal 1852, contemporaneamente agli studi regolari e a quelli dell'Istituto, compì un severo apprendistato con G. Mancinelli (Morelli-Dalbono, 1915, pp. 82 s.).
Pur copiando con diligenza, su indicazione del maestro, gessi e marmi, il C. attendeva ad altre opere in cui poteva esprimersi più liberamente. Datano, infatti, al 1852 i disegni dei rilievi dell'arco di Alfonso d'Aragona, preparati per il progetto che l'architetto O. Capocci presentò al concorso di restauro, nonché i numerosi ritratti sia a matita sia a olio di parenti, amici, noti rappresentanti della nobiltà cittadina. Dimostra l'abilità del diciassettenne autore il Fratello dell'artista (Napoli, Museo di S. Martino), significativo per la somiglianza con il modello, Luigi Celentano, e la sobrietà della composizione.
Si direbbe, però, che il C. s'interessasse, almeno in questo periodo, alla ritrattistica solo in quanto gli dava modo di esercitarsi nel mestiere e di individuare con certezza gli elementi fisionomici. Pratica, dunque, utile sia per ritrarre individui reali sia per attribuire credibilità a personaggi d'invenzione. Sin da allora il C. prediligeva, infatti, il tema colto e nobile e si disinteressava ai motivi umili e semplici che, vedeva trattare, con novità di visione e linguaggio, da F. Palizzi. La preferenza per la storia e per temi da essa desumibili può forse essere ricondotta all'influsso esercitato sul più giovane fratello dal coltissimo Luigi, magistrato; certo è che tale tematica inserisce le ricerche del pittore in un ambito culturale più vasto. Il pittore AntonioSolario detto lo Zingaro (Napoli, Museo di S. Martino) rivela, già nel 1852, l'adesione del C. alle voghe culturali del suo tempo, alle quali è connesso il gusto per l'erudizione, il reperimento del dato inedito e raro, che consentono di rendere verosimili i protagonisti del passato e di ricostruire con esattezza documentaria l'ambiente in cui vissero.
Conseguito nel febbraio 1853 il primo premio della Scuola superiore di pittura con Ulisse e Diomede che rapiscono il Palladio, oggi perduto, nel giugno dell'anno successivo il C. partiva per Roma restandovi sino al settembre. Durante quei mesi si esercitò a copiare, secondo le regole mancinelliane, i grandi maestri del Rinascimento, soprattutto Raffaello, osservando anche con attenzione le opere dei maggiori artisti contemporanei.
Alla mostra napoletana delle opere di belle arti nel Museo Borbonico del 1855, (Catal.,p. 7, nn. 11-12; p. 33, nn. 5-9) ottenne la medaglia d'oro per la ritrattistica con cinque ritratti e la "onorificenza" per la pittura storica con S. Stanislao Kostka (già a Napoli, coll. del conte di Siracusa) e la Lapidazione di s. Stefano (Roma, Gall. naz. d'arte moderna, in deposito presso la Pinacoteca civica di Ascoli Piceno). In questi ultimi quadri menzionati l'artista mostrava di aver ben meditato la lezione di stile appresa da Raffaello e, nel contempo, di essersi servito dell'opera di mediazione che ne andavano facendo F. Coghetti, G. Mancinelli, F. Agricola. La sua formazione, quindi, avvenne a contatto con l'Accademia.
Solo nel giugno 1856 poté intraprendere il progettato viaggio d'istruzione artistica. Nel lungo periodo trascorso lontano da Napoli ebbe modo di valutare le innovazioni attuate da artisti diversissimi: a Firenze, ove giunse con D. Morelli, frequentò assiduamente il caffè Michelangelo, conoscendovi, tra gli altri, T. Signorini e, unendosi a F. S. Altamura e a V. La Volpe, praticò anche la pittura all'aperto. Durante il prolungato soggiorno a Venezia studiò, e comprese, i grandi pittori del Cinquecento veneto (lettera del 27 ott. 1856: 1883, pp. 215-217). Non è quindi un caso che risalgano al periodo veneziano Interno di caffè a Venezia (Roma, Gall. naz. d'arte moderna), dipinto dal vero, e il primo bozzetto del Cellini bombardiere a Castel Sant'Angelo (Roma, ibid.), per la cui esecuzione si era avvalso del materiale raccolto precedentemente a Firenze e a Roma. La brevissima sosta a Milano, l'incontro con i fratelli Induno e G. Bertini, la disamina dei dipinti dell'Hayez gli confermarono che gli artisti lombardi, trattando per lo più il soggetto storico, stavano attuando una pittura più moderna che altrove (lettera del 12 genn. 1857: 1883, pp. 242-243).
Rientrato a Roma nel gennaio 1857, il C. decise di risiedervi, pur allontanandosene di frequente per visitare i familiari rimasti a Napoli. Dal 1858 si stabilì nello studio di via Margutta 33, che occupò sino alla morte.
La stesura definitiva del Cellini (Napoli, Capodimonte) comportò l'elaborazione del medesimo tema in altri due bozzetti oltre quello già citato (Napoli, coll. Chiarandà; Roma, Gall. naz. d'arte moderna), improntati al tentativo di rinnovare il proprio linguaggio pittorico e al distacco dall'Accademia. Suo duplice intento era: ricostruire l'episodio storico basandosi su documenti e sopralluoghi tenendo conto, nell'ambientazione della scena, dei valori luministici desunti dal vero; mettere in risalto la psicologia dei personaggi (lettera del 14 sett. 1857: 1883, pp. 275-276).
Per esprimere questa interpretazione personale del fatto storico senza venir meno alle teorie del "verismo relativo" (E. Retrosi, Alcune riflessioni sulla pittura di genere e ilverismo in Italia, in Arte e storia, IV [1885], p. 203), il C. studierà la prospettiva; sperimenterà tecniche pittoriche diverse come l'acquarello per ottenere trasparenze maggiori che con l'olio; dipingerà dal vero il paesaggio (Arco di Tito, Roma, coll. Fassini); considererà persino l'allestimento dei costumi da far indossare ai modelli, indispensabile alla verifica dell'impostazione tonale complessiva del dipinto.I numerosi ritratti di questi anni (1857-1859) - basterà citare La marchesa Ferrarelli e Il pittore Ruggiero (Napoli, Accademia di Belle Arti) - riflettono nella raffinatezza coloristica, cui però non è estraneo l'esempio di M. Grigoletti, conosciuto a Venezia, nella originalità dei tagli e delle inquadrature le complesse ricerche da lui attuate.
Accanto ai ritratti e ai quadri storici altre opere dell'artista - andate disperse, o non identificabili, ma che sono ricordate nella corrispondenza - di genere e di tecnica diverse testimoniano la sua attività: le figurine in costume settecentesco inserite nei paesaggi dipinti da A. Vertunni (1857); le tele di genere eseguite per incarico del principe Colonna di Stigliano e di Camillo Miola (1858); le ventotto madonnine dipinte a fresco per le case dei cantonieri delle ferrovie (1859); i disegni preparatori della statua di Cavour (1863) fatti per il progetto dell'architetto A. Cipolla, amico del C. di vecchia data.
Tra il 1860 e il 1863 l'artista terminava i suoi dipinti più noti. S. Francesco Saverio che predica ai Giapponesi, eseguito su commissione dei gesuiti per la parrocchiale di S. Francesco Saverio a Dublino, dove ancora si trova, venne infatti esposto alla mostra romana del 1860 ricevendo entusiastici apprezzamenti da parte degli artisti i quali, del resto, avevano già mostrato al C. il loro favore nominandolo, nel 1859, accademico dei Quiriti e professore di pittura. Ancor più imponente fu il successo riportato presso pubblico e critici da Il Consiglio dei Dieci (Roma, Gall. naz. d'arte moderna) alla I Esposizione nazionale italiana del 1861 a Firenze (catal., n. 282; Yorick figlio di Yorick, Viaggio attraverso l'esposizione...,Firenze 1861, p. 255). Premiato con una medaglia, il C. come altri espositori, anche essi premiati, la rifiutò contestando pubblicamente l'operato della giuria (cfr. Gazzetta del Popolo, 16 nov. 1861). Dantegiovane incompreso (Roma, Gall. naz. d'arte moderna), terminato nel giugno 1862 e presentato alla Promotrice torinese dell'anno seguente (L'Illustraz. ital., 1º genn. 1882, pp. 9-12), rivela l'accentuarsi dell'interesse del pittore per il quadro di "sentimento" (lettera del 24 marzo 1862: 1883, p. 477) che tratta, cioè, il contrasto di situazioni psicologiche, nonché il suo tentativo di eliminare qualsiasi teatralità e leziosaggine. Accantonato il progetto del Michelangelo nel ghetto di Venezia per la cui documentazione aveva effettuato nel dicembre del 1862 un nuovo viaggio a Venezia, dal febbraio si dedicava al Tasso infermo di mente alla villeggiatura di Bisaccio (Roma, Gall. naz. d'arte moderna); ma, colpito da apoplessia, il 28 luglio 1863moriva a Roma senza averlo portato a termine.
Il Tasso può considerarsi una sorta di testamento artistico del C. in quanto contiene, esaltandola, la gamma delle ricerche da lui perseguite: la raffigurazione realistica del paesaggio nei suoi valori luministici diviene uno scenario immobile e impartecipe davanti al quale si svolge il drammatico confronto tra la solitudine del poeta e la spensieratezza dei personaggi che gli sono d'intorno.
Conoscitore attento del romanzo storico e del melodramma contemporanei, il C. aveva approfondito anche i classici nella lettura dei quali trovava di continuo soggetti per i suoi quadri. D'indole semplice, ebbe amici gli artisti più noti del suo tempo, dal Morelli al Cammarano, all'Ussi, che ne onorarono la memoria promuovendo la mostra postuma tenutasi al Museo nazionale di Napoli nel 1864, la sottoscrizione che rese possibile apporre una lapide (1891) nella casa in cui era nato, con cerimonie commemorative quali la sepoltura in S. Onofrio e il successivo (1885) scoprimento del busto (opera di C. Caggiano) che ne orna la tomba (progetto di P. Piacentini).
Si deve però al fratello Luigi la pubblicazione dell'epistolario del pittore (1883), nonché il lascito (1893), cui partecipò anche il cognato Luigi Lubrano, di un importante nucleo di oli e disegni alla Gall. naz. d'arte moderna di Roma la cui scelta fu curata da Domenico Morelli, Francesco Iacovacci e Guglielmo De Sanctis.
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