CHIARA, Bernardo
Nacque il 28 apr. 1863 in Vauda di Front, piccolo comune del Canavese, da Giacomo e Anna Maria Massa. La famiglia aveva lasciato la gestione della rivendita di sale e tabacchi per dedicarsi alla terra, e le ristrettezze economiche ostacolavano la propensione allo studio del C., che dovette contribuire al bilancio domestico facendo il pastore e poi il venditore di aceto. Una febbre tifoidea seguita da una lunga convalescenza fu occasione di molte letture, e portò il C. alla decisione di riprendere gli studi.
Con grandi sacrifici e tenacia conseguì il diploma di maestro superiore, nel 1882, ed ebbe un posto di insegnante in Alessandria nel sobborgo di Villa del Foro. Durante il servizio militare, in Liguria e in Toscana (1883-85), coltivò la sua passione per la lingua studiando i dialetti dei commilitoni e raccogliendone proverbi e sinonimi. Per migliorare le condizioni economiche concorse per un posto nelle ferrovie; fu prima ad Acqui telegrafista, poi ad Asti addetto agli uffici della grande velocità, a Santhià nel Vercellese negli uffici del transito, all'Agenzia doganale della stazione di Porta Susa a Torino. Il lavoro gli dava agio di leggere e studiare; né perdeva d'occhio i problemi della scuola (un suo articolo sulla Gazzetta piemontese del Roux nell'estate del 1887, Il lavoro manuale e l'insegnamento dell'agraria nelle scuole elementari italiane, non passò inosservato). Intanto veniva esercitandosi come scrittore, e la lettura di Figurine del Faldella gli aprì nuovi orizzonti, indirizzandolo verso il racconto regionale. Poiché il lavoro nella stazione di Carrù presso Mondovì, dove era gestore della grande velocità, si rivelava di intralcio allo studio, abbandonò la ferrovia per l'incarico di corrispondente da Barcellona della Gazzetta piemontese, in occasione della Esposizione universale. Ai primi del 1888 con un fratello partì per la Spagna.
I primi tempi furono duri, e i due giovani si ridussero a vendere acqua di menta nei paesi; poi un prestito paterno e la sistemazione del fratello alla Esposizione universale risolsero la situazione. Il C. cominciò a inviare alla Gazzetta piemontese articoli che trattavano di arte, di politica, di letteratura e della vita degli emigrati, firmando con lo pseudonimo di Giorgio Patricio; in pochi mesi divenne popolare, e tenne l'ufficio di corrispondente per sei anni. Nel 1888 inviava al Roux un racconto, Villan rifatto, ilcui successo lo confermò nel proposito di divenir scrittore. Nello stesso anno accettava dalla colonia italiana di Barcellona il posto di insegnante nelle scuole italiane, e l'ufficio di segretario della Società italiana di beneficenza, scuole e mutuo soccorso. Le esperienze di questo periodo saranno riportate nell'articolo Poveri italiani in Spagna, pubblicato nel 1900 dalla Rassegna nazionale di Firenze, e poi ampliato nel libro Tipi,scene,avventure di italiani in Spagna (Treviso 1907).
Il C. intervenne dalla Spagna nelle discussioni letterarie, ad esempio con lo articolo Il guadagno degli scrittori del 14 giugno 1890, sulla Gazzetta letteraria, che attaccava gli editori, e un altro dell'11 ottobre, Scrittori vecchi e scrittori giovani.Con Il romanzo moderno e la sua arte, che, fatto pubblicare da F. Turati su Il Pensiero italiano (1891), lo fece divenire critico letterario della rivista, il C. affermava l'espansione in atto dello scientismo positivistico e del naturalismo, e la funzione filosofica e sociale del romanzo moderno. A questo quadro culturale appartiene il romanzo Don Mario (Torino 1891), frutto di ripetuti rifacimenti; il C. vi tratteggiava una figura di prete di tipo nuovo politicante e battagliero, che finiva con lo spretarsi per amore. Il Faldella lodò lo scrittore, ma ne osteggiò le idee; lo stesso il De Panis, che sulla Gazzetta letteraria (25 luglio 1891) ne apprezzò soprattutto la lingua chiara e lo stile.
Nel 1893 il C. tornò nella casa natia, per una grave malattia della madre, e nei due anni che vi trascorse non cessò dall'inviare recensioni e racconti alla Gazzetta piemontese, alla Gazzetta letteraria di Torino e al Pensiero italiano di Milano. Entrato in corrispondenza con C. Lombroso, gli esponeva un suo studio sulla Vita nova;sollecitato ad approfondirlo, ne venne l'articolo Dante e la psichiatria sulla Gazzetta letteraria del 14 apr. 1894, in cui tra l'altro il C. confermava l'ipotesi lombrosiana di una malattia epilettica di Dante; l'articolo fu ristampato in Arch. di psichiatria,sc. penali e antrop. criminale, XV (1894), 4-5, pp. 455-62. Il nuovo romanzo Alla prova (Torino 1894), anche esso in chiave naturalistica, procurò al C. l'ostilità dei conterranei, che vi si videro ritratti in chiave satirica, e lo cancellarono addirittura dalle liste elettorali. In questi anni si veniva riaccostando al cattolicesimo, pubblicamente dichiarandolo, in un articolo sulla Gazzetta piemontese.
Dopo essere stato per alcuni mesi del 1894 nella redazione della Gazzetta piemontese, l'anno seguente vinse il primo posto al concorso magistrale, sposò la maestra Caterina Marchetti e mise su casa a Torino. Chiamato nel 1898 a collaborare alla compilazione della storia delle scuole di Torino, non cessò di insegnare. Nel 1901 il ministero della Pubblica Istruzione gli conferì per meriti letterari il titolo di professore di letteratura italiana nelle scuole normali; ma due anni dopo otteneva di essere restituito all'insegnamento elementare. Nel 1905, superati gli esami di abilitazione didattica, fu il primo tra i neodirettori di Torino e del Piemonte; nel 1907, dopo un altro concorso, fu nominato direttore didattico e mandato a dirigere la scuola municipale V. Alfieri, dove rimase fino al 1928, quando chiese il collocamento a riposo.
Nella prefazione di Casa Raymondi (Torino 1900), che porta avanti il nocciolo di Villan rifatto, il C. espose la sintesi delle sue teorie letterarie. Il libro fu discusso e boicottato; egli replicò solo tre anni dopo, scrivendo al direttore di Sentinella delle Alpi un articolo (poi pubblicato come appendice a Le avventure di Paolo Sylva, Torino 1903), per respingere l'etichetta di scrittore regionale. Anche Le avventure di Paolo Sylva, dove sono in buona parte narrate le sue esperienze nella scuola normale di Pinerolo, suscitò polemiche: il C. fu accusato di essere un manzoniano, di far uso di una lingua a volte troppo classica, di mostrare una moralità ingenua e uno scoperto intento pedagogico. Nel 1904 ripubblicava ampliate e riviste le sue idee sul romanzo, già apparse nel 1891: ora la funzione dello scrittore non era più interpretata alla luce del positivismo, ma di un idealismo cristiano; e del resto anche nei romanzi, da Don Mario a CasaRaymondi, a Le avventure di Paolo Sylva, si può avvertire questo graduale slittamento. Il Faldella aveva visto nel C. addirittura un successore del Grossi.
L'ultimo romanzo, Isabella Gandellini, uscì a Torino nel 1928; tra il 1931 e il 1934 il C. pubblicò sempre a Torino quattro volumi autobiografici (I miei primi passi, 1931; I miei studi, 1932; Idilliomagistrale, 1933; Maestro della Villa, 1934), che trattano dei primi venti anni della sua vita. Morì a Torino il 6 maggio 1942.
Altri scritti: Maestra di scuola (Torino 1897); Questioni letterarie (ibid. 1904); Regina delle Alpi (ibid. 1911); Il capolavoro di Giovanni Faldella (ibid. 1914); Sessanta giorni in montagna (ibid. 1914); Il Nestore degli statisti italiani: Paolo Boselli (ibid. 1922); La gloria di Vittorio Alfieri (ibid. 1927); Società magistrale Carlo Pozzi nel sessantennio 1871-1931 (ibid. 1931); Quattro educatori (ibid. 1935).
Fonti e Bibl.: G. Zurletti B. C., studio biogr., Torino 1910; M. Bertolini, B. C. romanziere e autobiografo, Torino 1937; L. Russo, I narratori 1850-1950, Messina-Milano 1951, p. 91; M. Chiara, La celebrazione di B. C. nel decennio della morte: 1942-1052, Torino 1952.