DAVANZATI, Bernardo
Nacque a Firenze il 31 ag. 1529 (Archivio dell'Opera del duomo, Battesimi, anni 1522-1532, c. 119 v), da Antonfrancesco di Giuliano e da Lucrezia, figlia di Bernardo Ginori.
La famiglia del padre del D. era di antica nobiltà, forse discendente dalla potente consorteria guelfa dei Bostichi, da cui i Davanzati presero anche il doppio cognome di Davanzati-Bostichi. Il padre del D. combatté in difesa della Repubblica fiorentina durante l'assedio di Firenze nel 1530; in seguito alla restaurazione medicea, fu dichiarato ribelle, privato dei beni e confinato prima in Sicilia e poi a Pontremoli.
Il D. fu così allevato, insieme al fratello Andrea (che morirà, ucciso per gelosia, per mano di Antonio Landini il 24 apr. 1566), dalla madre Lucrezia, che provvide anche alla sua educazione, indirizzandolo a studi di carattere letterario, con particolare attenzione per il greco e il latino. Ancora giovanissimo, il D., spinto probabilmente da necessità economiche, dovette impiegarsi a Lione come cassiere nella compagnia della famiglia Capponi, che lì esercitava importanti traffici commerciali. Sempre per seguire gli interessi dei Capponi fece un viaggio in Calabria.
Tornato ben presto a Firenze, il D. continuò ad occuparsi, ma in proprio, dell'attività mercantile. Riprese tuttavia con fervore gli studi letterari, che aveva sempre continuato a coltivare, tanto che, nel 1547, a soli diciotto anni, divennemembro dell'Accademia fiorentina, dove ben presto ebbe un ruolo di primaria importanza. Secondo la consuetudine, in occasione del suo ingresso nell'Accademia, il D. pronunciò una dotta orazione, di cui però non ci è giunto il testo. Famosa rimase, fra le molte altre, l'orazione da lui recitata nel 1550, quando uscì di carica il console Fabio Segni, che il Lasca ricorda nelle sue Rime (Firenze 1741, p. 113) con garbata ironia, presentando il D. come un personaggio di primo piano in seno all'Accademia e al quale sono tributati lodi e onori da parte di tutti gli altri membri. Come accademico il D. svolse, infatti, un'intensa attività, rivolta in particolare alla promozione degli studi letterari e alla diffusione dei classici, anche se la sua attenzione si concentrò soprattutto sullo studio e l'analisi della lingua volgare.
Il D. entrò a far parte anche dell'Accademia degli Alterati, fondata nel 1568 da Tommaso del Nero, dove ebbe il nome di Silente e come insegna un cerchio di botte con sopra impresso il motto "strictius arctus", per sottolineare il carattere del suo stile oratorio, conciso, ma denso di significati profondi.
Nel 1572 il D. aveva sposato Francesca di Carlo Federighi, di nobile famiglia, dalla quale ebbe quattro figli: Giuliano, nato il 6 sett. 1573. che gli dette in gioventù numerosi dispiaceri per la sua condotta scapestrata; Bostico, nato il 7 sett. 1577, che sposò nel 1610 Caterina di Tommaso Scarlatti; Carlo, nato il 10 febbr. 1585; Caterina, che, educata nel monastero di S. Marta a Montughi, fondato da Lottieri Davanzati nel 1336, sposò nel 1598 Cosimo di Matteo Strozzi.
Sembra che il D. non abbia mai ricoperto cariche pubbliche, scontando in tal modo la condanna del padre dichiarato ribelle, anche se ebbe diversi incarichi nelle accademie di cui era membro. Fu, infatti, consigliere e censore nell'Accademia fiorentina nel 1574 insieme a Pietro Covoni, e nel 1575 fu eletto console della stessa: in tale circostanza pronunciò una breve ma significativa orazione, detta Orazione nel prendere il Consolato, dove espose, fra l'altro, le finalità e gli indirizzi che si proponeva di imprimere agli studi accademici. Ebbe anche il grado di reggente nell'Accademia degli Alterati, succedendo a Vincenzo Acciaiuoli (secondo alcuni si tratterebbe, invece, di Cosimo Rucellai), contro cui pronunciò - secondo la tradizione accademica - l'Accusa data dal Silente al Travagliato nel suo sindacato della reggenza degli Alterati.
In questi anni il D. mirò anche a consolidare la propria posizione economica, investendo nell'acquisto di terre - secondo le tendenze dell'epoca - i capitali guadagnati con l'attività commerciale e bancaria. Già nel 1576 possedeva infatti numerosi terreni coltivati e vigneti, e, nel 1578. risulta proprietario del palazzo Davizzi, che, rilevato da Zanobi di Leonardo Bartolini, diventerà la sede della sua casata e prenderà il nome di palazzo Davanzati (che ancora oggi è uno degli edifici più significativi della Firenze rinascimentale).
Nel 1579 il Consiglio generale dell'Accademia degli Alterati decise di affidare al D. il progetto di volgarizzamento del primo libro degli Annali di Tacito: opera che, dopo alteme vicende dovute a problemi di salute e a questioni familiari. il D. portò a termine e pubblicò solo nel 1596. Successivamente, avendo deciso di continuare l'impegno intrapreso, pubblico nel 1600 altri cinque libri degli Annali, e quindi effettuò la traduzione completa di tutte le altre opere di Tacito, che fu stampata postuma nel 1637 a cura del figlio Giuliano. Nel corso del suo lungo lavoro di traduttore il D. si avvalse dell'aiuto di autorevoli collaboratori, fra cui gli accademici Alessandro Rinuccini e Luigi Alamanni, mentre altri consigli ricevette da Curzio Picchena, primo segretario di Cosimo I, studioso di Tacito, cui il D. inviò anche la sua traduzione della Vita di G. Agricola. Durante questo lavoro, il D. scrisse anche una breve opera di carattere storico, intitolata Scisma d'Inghilterra fino alla morte della reina Maria, compendiandola dall'omonima opera latina di Niccolò Sandero e poi tradusse, per conto del Buontalenti, la parte introduttiva degli Spiritualia di Erone Alessandrino.
Nel 1581 il D. ricoprì nuovamente la carica di consigliere dell'Accademia fiorentina insieme a Francesco Bonciani; a quest'anno risale anche la composizione di un'altra opera, la Notizia de' Cambi, che, con la Lezione della moneta e il trattato sulla Coltivazione delle viti e di alcuni arbori. costituisce il gruppo degli scritti del D. di carattere economico. Dopo la fondazione dell'Accademia della Crusca nel 1582, il D. vi collaborò prendendo parte ai lavori per la compilazione dei famoso Vocabolario e mettendo a disposizione la propria competenza soprattutto in materia linguistica. Contemporaneamente portò avanti il proprio impegno nell'Accademia fiorentina ricoprendo la carica di consigliere nel 1597 e poi nel 1602 con Giovanni di Antonio Popolareschi.
Il D. morì a Firenze il 29 marzo 1606 e venne sepolto nella chiesa di S. Trinita, nel quartiere di S. Maria Novella. Il Rondinelli, che ha scritto una "vita" del D. (stampata a Firenze nel 1638), ne ha fatto anche un accurato ritratto esaltando l'austerità e la sobrietà del comportamento del Davanzati.
Il D. fu una tra le figure di maggior rilievo della cultura del Cinquecento fiorentino, per la vastità e la varietà dei suoi interessi, non limitati al solo settore letterario, ma rivolti anche all'economia e al diritto, e per la particolare attenzione con cui seguì la questione della lingua volgare della cui eleganza e purezza fu fervido e convinto sostenitore. Il D. fu dotato di una solida cultura classica-umamstica e appassionato lettore degli storici greci e latini (fra i quali predilesse Erodoto, Plutarco, Livio, Gellio, Stobeo), nonché di Virgilio e dei poeti italiani del Tre-Quattrocento. Degli autori moderni apprezzò in particolare il Machiavelli, di cui conservava le opere in un camerino segreto della Libreria Medicea Laurenziana, dove le consultò anche Tommaso Campanella nel 1593.
La produzione letteraria del D. comprende opere di diversa natura e importanza, che possiamo così distinguere: volgarizzamenti, scritti di economia, orazioni, lettere, rime. Del D. è rimasto anche uno Zibaldone.
Il lavoro più significativo che lo impegnò per gran parte della sua vita pur con alterne vicende, è costituito dal volgarizzamento delle opere di Tacito, che rappresenta un eccellente esempio di purezza ed eleganza stilistica, nonché di concisione della lingua italiana, della quale il D. seppe mettere in risalto la forza e l'efficacia espressiva. La decisione di dar corso a questa iniziativa fu presa - come si è detto - nel Consiglio generale degli Alterati il 26 giugno 1579, su sollecitazione del D. stesso, il quale intendeva così rispondere ad uno scritto del francese Henri Estienne, intitolato Project du livre intitulé: De la prédéllence du language franpois, uscito a Parigi nello stesso anno, in cui l'autore sosteneva la superiorità della lingua francese, per ricchezza ed eloquenza, rispetto a quella italiana, portando come esempio lo stile narrativo di Tacito che, a parere dell'Estienne, per la sua concisione poteva essere reso efficacemente solo nella lingua francese. Il D. maturò pertanto l'idea di misurarsi sullo stesso campo dell'Estienne, dimostrando la validità della lingua italiana "con l'effetto e senza contese", come scrisse successivamente in una lettera a Baccio Valori datata 15 sett. 1595.
Il 26 luglio 1582 il D. presentò all'Accademia degli Alterati un saggio di traduzione del primo libro degli Annali; tuttavia, non soddisfatto di questa prova, decise di rivedere il testo, tanto che solo il 17 maggio 1587 consegnò al Consiglio generale un secondo saggio della stessa traduzione. I problemi derivanti dal cattivo stato di salute e le difficoltà familiari dovute alla condotta del figlio Giuliano, impedirono al D. di continuare il lavoro, che poté riprendere solo nel 1591, finché nel 1596 venne stampato il Primo libro degli Annali, dedicato all'amico Baccio Valori. Il D. intendeva dare con ciò solamente un saggio dimostrativo della "fiereza del nostro volgare"; tuttavia, spinto dall'Accademia, decise di continuare la traduzione degli Annali, della quale peraltro aveva già pronto molto materiale. Questo ulteriore volgarizzamento, comprendente i libri secondo-sesto degli Annali, fu pubblicato nel 1600 con il titolo L'Imperio di Tiberio Cesare. Successivamente il D., nonostante le difficoltà della vista e le incertezze dovute al fatto che nel 1603 Adriano Politi aveva pubblicato a Roma la traduzione di tutte le opere di Tacito, portò a termine il volgarizzamento dei rimanenti libri undecimo-sedicesimo degli Annali, dei cinque libri rimasti delle Storie, della Germania, della Vita di G. Agricola e del dialogo De oratoribus che il D. intitolò Della perduta eloquenza, consegnando il manoscritto all'Accademia degli Alterati il 12 giugno 1603. Quest'ultima parte del lavoro del D. fu rivista da Cosimo Minerbetti, per conto degli Alterati, ma nmase tuttavia manoscritta. Il figlio Giuliano, dopo la morte del padre, consegnò l'intero Corpus delle traduzioni tacitiane all'Accademia della Crusca, di cui era membro, e per conto della quale fu finalmente pubblicato nel 1637 dal Nesti a Firenze. Questa edizione - che sembra sia stata curata sul manoscritto originale del D. - è arricchita dall'aggiunta delle postille del D. al testo dà primi sei libri degli Annali di Tacito, parte delle quali era già apparsa nelle precedenti edizioni del 1596 e del 1600, mentre è presumibile che siano andate perdute tutte quelle relative ai libri degli Annali undecimo-sedicesimo. In queste postille ilD. prende spunto per effettuare importanti riflessioni in campo storico-politico, economico e religioso, in relazione anche alla problematica dei suoi tempi.
In una pausa del suo lungo lavoro di traduzione di Tacito, il D. compose lo Scisma d'Inghilterra fino alla morte della reina Maria, opera in due libri, ritenuta in primo tempo originale, e che costituisce invece una traduzione e un compendio del De origine ac progressu schismatis anglicani del gesuita Nicolò Sandero. Con quest'opera, pubblicata per la prima volta a Roma nel 1602 e dedicata a Giovanni Bardi di Vernio, il D. intendeva dimostrare le cause che dettero origine al dissidio tra il Papato e la monarchia inglese, individuate essenzialmente nel comportamento dissoluto di Enrico VIII e della sua nobiltà, comportamento che aveva determinato la rottura con la Chiesa cattolica. L'analisi del D., condotta con stile conciso e a volte perfino scarno, aderisce perfettamente ai dettami della Controriforma, in quanto mira soprattutto a stabilire un rapporto tra lo scisma inglese e la Riforma protestante: infatti anche l'origine di quest'ultima è individuata nello sperpero e nella condotta sfrenata della nobiltà tedesca, che aveva portato come conseguenza l'enorme espansione della proprietà fondiaria ecclesiastica. Il D., tuttavia, non affronta un'analisi storico-politica dei fatti, trascurando volutamente nella narrazione alcune vicende, anche importanti, dell'epoca, teso soprattutto a mettere in evidenza l'aspetto morale e religioso del problema. In quest'ambito esprime duri e negativi giudizi sulla figura e su alcune tesi di Erasmo, criticando i falsi ideali pacifisti che egli manifesta negli Adagia, che il D. conosceva nell'edizione purgata dei Giunti del 1575, mentre rivolge un elogio incondizionato ai gesuiti e alla loro presenza nella società del tempo.
La fama del D. come volgarizzatore dal latino gli procurò l'invito del Buontalenti, insigne architetto fiorentino, a tradurre la parte introduttiva degli Spiritualia di Erone Alessandrino. Il D. effettuò la traduzione intervenendo però sul testo originario con aggiunte e riduzioni, come egli stesso scrisse nella lettera accompagnatoria dell'opera intitolata Della natura del vóto, inviata al Buontalenti il 22 maggio 1582.
A metà strada fra un volgarizzamento da un'opera latina e un originale scritto di carattere economico si pone la Coltivazione toscana delle viti e d'alcuni arbori. Prendendo a modello un testo latino rimasto sconosciuto, nel quale la materia era trattata in modo prolisso e disordinato, il D. ne risistemò il contenuto con uno stile elegante e preciso, aggiungendovi molte osservazioni personali. L'opera, dedicata a Giulio del Caccia con una lettera da Montughi del 16 sett. 1579, si riallaccia alla fioritura di scritti agronomici del sec. XVI, dovuti all'evoluzione della campagna toscana in quel periodo, e tratta dei diversi metodi di coltivazione riguardanti la viticoltura e l'olivocoltura. Il D. fornisce anche una serie di regole e di avvertenze in materia, destinate ai piccoli proprietari, senza però suggerire prospettive di profitti o di investimenti produttivi, ma limitandosi a concepire una produzione destinata sostanzialmente all'autoconsumo.
Opere specificamente economiche del D. sono la Lezione della moneta, e la Notizia de' cambi, frutto della sua esperienza di mercante, ma anche di un genuino interesse che egli nutriva verso il mondo del commercio e della finanza. La Lezione della moneta, dedicata a Piero Usimbardi con una lettera del 10 maggio 1558, letta pubblicamente dal D. nell'Accademia fiorentina, riguarda uno studio erudito sul valore dei metalli e traccia una storia sull'origine e l'uso della moneta come merce di scambio. Il D. effettua anche numerose osservazioni di economia, alcune delle quali rappresentano delle novità per l'epoca, come quella di considerare lo svilimento della moneta negativo per la rendita fondiaria. La Notizia de' cambi fu composta dal D. nel 1581 e dedicata all'accademico Giulio del Caccia; lo scritto, pregevole per la precisione e la chiarezza con cui è trattata la materia, contiene numerose notizie e osservazioni sul sistema del giro cambiario, che il D. considera positivamente, poiché la sua applicazione al commercio aveva dato un notevole impulso all'economia fiorentina.
Il D. compose anche diverse orazioni per lo più in relazione ad avvenimenti riguardanti la propria vita di accademico, come quella già ricordata, che pronunciò nel 1547 in occasione della sua elezione a membro dell'Accademia fiorentina, il cui testo, come si è detto, risulta perduto. La più importante delle orazioni pervenute è quella pronunciata dal D. nell'Accademia degli Alterati in occasione della morte di Cosimo I nel 1574, detta appunto Orazione in morte di Cosimo I. In essa il D. delinea un quadro della vita politica e sociale della Firenze dell'epoca: pur ricordando, infatti, l'indipendenza, la tradizione culturale e la ricchezza che caratterizzarono la città al tempo della Repubblica, il D., prendendo spunto dal grandioso scenario dei funerali del granduca, esalta la situazione attuale, enunciando le concezioni politiche che, a suo parere, furono alla base del governo di Cosimo: religione, giustizia e pace. Egli pone in risalto l'impegno del granduca in politica estera, in particolare contro i Turchi e contro i protestanti, e quello in politica interna con l'impulso dato allo sviluppo economico, attuato con la riforma dell'agricoltura - grazie alla bonifica delle paludi -, dell'industria e del commercio, e infine nell'alta promozione degli studi letterari e storici.
Abbiamo, inoltre, l'Orazione nel prendere il Consolato, pronunciata dal D. nell'Accademia fiorentina in occasione della sua elezione a console nel 1575. Di questa Accademia il D. tesse le doti) celebrandone l'opera e le finalità letterarie, ed esortando tutti, non solo i giovani, a contribuire per tenere alte le sorti della cultura. Di un certo rilievo sono pure due orazioni del D., pronunciate nell'Accademia degli Alterati, dal titolo: Accusa data dal Silente al Travagliato nel suo sindacato della Reggenza degli Alterati e l'Orazione in genere deliberativo sopra i Provveditori dell'Accademia degli Alterati. Nella prima è rivolta, tra il serio e il faceto, secondo l'uso accademico, un'accusa all'operato del "reggente" uscente Vincenzo Acciaiuoli (o Cosimo Rucellai), al quale subentrava lo stesso D.; nell'altra orazioneviene invece sostenuta la difesa di altri provveditori uscenti, anch'essi ironicamente accusati da un altro accademico. Il D. compose anche Due discorsi o Cicalate in modo di Orazionifunerali, che recitò a Pisa nel 1592, in occasione della soppressione dell'Ufficio dell'onestà di Guarnigione, e in cui effettua un breve "excursus" sulla storia della magistratura esaltandone i compiti e le finalità.
Della corrispondenza del D., che, dovette essere assai numerosa, sembra siano rimaste poche decine di lettere, scritte in un arco di tempo che va dal 1575 al 1604, e indirizzate a diversi personaggi autorevoli del tempo, per lo più accademici fiorentini, come Baccio Valori - al quale è diretta gran parte di questa corrispondenza -, Piero Usimbardi, Giulio del Caccia, Belisario Bulgarini, Luigi Alamanni. Il contenuto delle lettere riguarda essenzialmente l'attività dei D. in seno alle accademie di cui era membro e, in particolare, il suo lavoro sul volgarizzamento di Tacito, che fu la costante preoccupazione della sua vita. Nella corrispondenza non mancano tuttavia riferimenti ad avvenimenti relativi alla vita di Firenze, come il dilagare della peste e della carestia, la morte di Giovanni Capponi e le liti per la sua eredità, o riguardanti situazioni della famiglia del D. come l'accenno alla dote di 5.000 scudi promessa alla figlia Caterina, il dispiacere per la condotta del figlio Giuliano, per il quale richiese più volte l'aiuto e la protezione di amici influenti, i problemi causatigli dal cattivo stato di salute dei suoi occhi e, infine, la supplica che egli rivolse al granduca Ferdinando I per ottenere dai capitani di Parte il permesso di effettuare dei lavori nel proprio palazzo. Fu pure in corrispondenza con Filippo Sassetti (cfr. F. Sassetti, Lettere, Firenze 1855, pp. 341-51, 412-16).
Il D. compose anche delle Rime, di non particolare valore letterario; rimangono solo nove sonetti, un madrigale e un epitaffio per il sepolcro di Andrea del Sarto. Dei sonetti, cinque sono indirizzati a Benedetto Varchi.e, in particolare, due sono in risposta ad altrettanti di quell'autore; un sonetto è dedicato a Baccio Valori, un altro ad Antonio Lupicini per celebrare la sua opera Architettura militare e, infine, un altro sonetto è in onore del Giambologna in occasione della presentazione al pubblico del suo gruppo del Ratto delle Sabine.
Del D. rimane anche uno Zibaldone autografo (conservato manoscritto nella Bibl. Riccardiana di Firenze, Moreni 102), Costituito da un grosso quaderno contenente riflessioni e appunti, frutto delle sue letture, e varie osservazioni su avvenimenti e vicende da lui vissute che fu posseduto dal Manni e poi dal Moreni. Scrisse quasi sicuramente la vita di Giuliano Davanzati) suo nonno paterno) ambasciatore ed insigne giurista vissuto nel sec. XV, secondo quanto afferma Antonio Benivieni nella lettera di dedica a Baccio Valori della sua Vita di Pier Vettori l'antico (Firenze 1583): l'opera però risulta irreperibile. Sembra che il D. avesse intenzione di scrivere anche la "vita" di Michelangelo Buonarroti, ma morì prima di realizzare il progetto. Al D. è pure attribuito uno scritto dal titolo Del modo di piantare e custodire una ragnaia e di uccellare a ragna (pubbl. a cura di G. Tofani, Firenze 1790), che però Mario Colombo (Opere, III, Parma 1827, pp. 190 ss.) ritiene opera di Giovanni Antonio Popolareschi.
Opere: Delle opere del D. - oltre ad un certo numero di manoscritti conservati in biblioteche fiorentine - esistono le seguenti edizioni parziali o generali: Operette scelte originali e tradotte, a cura di P. Fiaccadori, Reggio 1845; Le opere, a cura di E. Bindi, Firenze 1852-53 (da questi volumi è stato a sé ripubblicato, Milano s.a., Lo scisma d'Inghilterra con la vita del D. scritta dal Bindi); Le operette orijinali a cura di E. Zaccaria, Firenze 1896. Per le edizioni delle singole opere del D. cfr.: Il primo libro degli Annali di Tacito, Firenze 1596 (per le successive edizioni di questa opera e delle altre del D., cfr. B. Gamba, Serie di testi di lingua italiana, Venezia 1828, pp. 90, 194 s. e la già citata ediz. a cura di E. Bindi, I, pp. LI-LX); L'Imperio di Tiberio Cesare, Firenze 1600; Opere di C. Tacito, Firenze 1637; Scisma d'Inghilterra sino alla morte della reina Maria, Firenze 1602; Scisma d'Inghilterra con altre operette, Firenze 1638 (precede la "vita" del D. scritta da Francesco di Raffaello Rondinelli, ripubblicata a cura di S. Ricossa, Torino 1978); Della natura del voto di Erone Alessandrino, a cura di C. Gargiolli e F. Martini, Firenze 1862; La coltivazione toscana delle viti e d'alcuni arbori in G. V. Soderini, Trattato della coltivazione delle viti, Firenze 1600 (l'opera del D. è stata nuovamente pubblicata a cura di S. Ricossa, Torino 1978); Orazione nel prendere il Consolato nell'Accademia fiorentina, in S. Salvini, Fasti consolari dell'Accademia fiorentina, Firenze 1717, pp. 222-31; Orazione in morte di Cosimo I, in Scelta d'orazioni ital. di vari autori, I, Venezia 1798, pp. 361-77; Sopra l'uso delle sepolture. Due discorsi o Cicalate in modo di Orazioni funerali, a c. di Giacomo da Quaracchi, Peretola 1898; Lettere, a cura di G. Manuzzi, Firenze 1852; le rime del D. si trovano in: B. Varchi, De' sonetti colle risposte e proposte di diversi, parte seconda, Firenze 1557, pp. 75 s., 224, Id., Sonetti spirituali, Firenze 1573; A. Lupicini, Architettura militare, Firenze 1582, p. 8; Alcune composizioni di diversi autori in lode del ritratto della Sabina, Firenze 1583, p. 7; R. Borghini, Il Riposo, Firenze 1584, p. 427; Saggio di rime di diversi buoni autori che fiorirono dal XIII fino al XVIII secolo, Firenze 1825, p. 237.
Fonti e Bibl.: Numerose notizie sulla vita del D. e dei membri della sua famiglia si trovano in Arch. di Stato di Firenze, Carte Ceramelli Papiani 1732; Carte Sebregondi 1896; Carte Pucci V, 16; Carte Dei XX, fasc. 6; Tratte 444 bis, c. 140r; 446 bis, cc. 125r, 129r, 140r; Arte dei Medici e Speziali 254, c. 55v; Decima Granducale 2695, S. Maria Novella, Unicorno, Arroto n. 172, C. 23r; Idem 2691, c. 197rv; Mss. 419 (Cittadinario), c. 135r; Mss. 348, c. 781; Mss. 359, cc. 371-372, 379; Mss. 360, c. 217; Mss. 625 (Sepoltuario Rosselli), pp. 921, 924, 1475, 1478; Carte Strozziane, s. 1, CXXXVI, cc. III, 116; CCII, cc. 328, 333; CCVI, cc. 318, 333; s. 3, XIV, c. 103; XIV-II, c. 31; Auditore delle Riforma gioni, ad annos (documenti relativi ai permessi di stampa del volgarizzamento di Tacito: 1636-1637). Altri documenti in: Arch. dell'Opera del Duomo, Battesimi, anni 1522-1532, c. 119v; Ibid., E III, prima suppliche, rescritti, ordini (Riforme, 1561-1585); A. Monosini, Flos Italicae linguae, Venetiis 1604, p. IV; G. V. (de) Rossi [Giano Nicio Eritreo], Pinacotheca imaginum illustrium... virorum, Coloniae Agrippinae 1643, pp. 217-221; E. Gamurrini, Istoria geneal. delle famiglie nobili toscane et umbre, III, Firenze 1671, p. 245; I. Rilli Orsini, Notizie letter. ed istoriche intorno agli uomini dell'Accademia fiorentina, Firenze 1700, pp. 190-194, 319; L. Salviati, Degli avvertimenti della lingua sopra il Decamerone, Napoli 1712, pp. 117, 206 s.; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, pp. 102 s.; A. Baillet, Jugemens des savans sur les principaux ouvrages des auteurs, I, Paris 1722, n. 998; G. Pelli, Raccolta d'elogi d'uomini illustri toscani, III, Lucca 1770, pp. 299-304; Biografia universale, XV, Venezia 1824, pp. 18-19; B. Gamba, Alcuni avvenimenti civili e letterari di B. D. fiorentino tolti dalle sue postille di Tacito, Venezia 1831; F. Valori, Termini di mezzo rilievo e d'intera dottrina, Firenze 1604, in G. C. Galletti, Istoria degli scrittori fiorentini, Firenze 1850, pp. 254 s.; Dizionario estetico, a cura di N. Tommaseo, Milano 1852, pp. 116 s.; G. Targioni Tozzetti, Notizie sulla storia delle scienze fisiche in Toscana, Firenze 1852, pp. 244 s.; G. Molinari, Il D. mercante o Le lettere della mercatura, Torino 1876; A. Gotti, Alcune correzioni e postille di B. D. al suo volgarizzamento degli Annali di Tacito, in Rass. nazionale, marzo 1880, pp. 437-443; G. Guasti, Aneddoto bibliografico sul Tacito del D., Prato 1883; G. Quintarelli, Il Tacito fiorentino; studio critico sul volgarizzamento di Tacito fatto da B. D., Verona 1895; A. S. Barbi, Una lettera di B. D. e il suo volgarizzamento di Tacito, Firenze 1897; E. Mola, Osservazioni critiche sul Tacito di B. D., Lagonegro 1901; F. Flamini, Il Cinquecento, Milano 1903, pp. 463 s.; C. Arlia, Un documento riguardante B. D., in Fanfulla della Domenica, 25 genn. 1903; A. D'Ancona-D. Bacci, Storia della letteratura ital., III,Firenze 1904, pp. 90-101; E. Teza, Illibro "De origine ac progressu schismatis anglicani" e il ristretto fattone da B. D., in Atti e memorie del R. Istituto veneto, LXX (1910-1911), 2, pp. 909-19; G. Toffanin, IlCinquecento, Milano 1941, p. 640; M. Valenti, Saggio di una bibl. delle ediz. di Tacito nei secc. XV-XVII, Roma 1951, p. 14; T. Campanella, Opuscoli inediti, a cura di L. Firpo, Firenze 1951, p. 53; U. Foscolo, Saggi di letter. ital., a cura di C. Foligno, Firenze 1958, p. 247; M. E. Cosenza, Biographical and Bibliogr. Dictionary of the Italian Humanists, I,Boston 1962, coll. 350-52; E. Bonora, Retorica e invenzione. Studi sulla letteratura italiana del Rinascimento, Milano 1970, pp. 211-53; M. Foucault, Le parole e le cose. Un'archeologia delle scienze umane, Milano 1970, pp. 190 s.; L. Ginori Lisci, Ipalazzi di Firenze nella storia e nell'arte, I,Firenze 1972, pp. 163 s., 270, 491; P. Vilar, Oro e moneta nella storia. 1450-1920, Bari 1971, pp. 13 s., 253-255; Id., Aujourd'hui l'histoire, Paris 1974, pp. 162-179; G. Toffanin, Machiavelli e il "tacitismo". La politica storica al tempo della Controriforma, Napoli 1972, pp. 141 s.; C. Di Filippo Bareggi, In nota alla politica culturale di Cosimo I; l'Accademia fiorentina, in Quaderni storici, VIII (1973), 2, pp. 527-570 (in partic. p. 550); M. Bucci, R. Bencini, Palazzi di Firenze. Quartiere di S. Maria Novella, Firenze 1973, pp. 7 s.; L. Perini, Un patrizio fiorentino e il suo mondo: B. D., in Studi storici, XVII (1976), 2, pp. 161-170; La corte, il mare, i mercanti. La rinascita della scienza. Editoria e società. Astrologia, magia e alchimia, Firenze 1980, p. 167; Enc. Ital., XII, p. 410.