BERNARDO degli Uberti, santo
Figlio di Bruno e nato in un anno imprecisato, attorno alla metà del sec. XI, appartenne a una importante famiglia fiorentina, quella stessa, a quanto pare, che nella seconda metà del secolo seguente assunse da "Ubertus de turre" (già morto il 4 luglio 1145) il cognome degli Uberti.
Ormai succeduto al padre nel possesso dei beni familiari, B. compare, per uno di questi possedimenti, nelle confinazioni di alcune donazioni dell'anno 1083 (Arch. di Stato di Firenze, Diplomatico, Acq. Strozzi-Uguccioni, febbraio 1082, st. fior., ibid., Badia di Ripoli, 5 maggio 1083). Ma particolare interesse rivestono - mentre consentono, infatti, l'identificazione dei vasti possedimenti di famiglia, segnano anche la data della sua professione monastica - le donazioni dallo stesso B. compiute il 1° luglio 1085, rispettivamente a favore del monastero di S. Salvi, la punta avanzata dell'Ordine vallombrosano nell'immediato suburbio di Firenze, e di un "Petrus Russo", che ritorna ripetutamente nei documenti del monastero e che appare qui come esecutore delle varie disposizioni di B. (ibid., Vallombrosa). Le inattese risoluzioni del giovane, che toccavano gli interessi di una larga consorteria familiare, provocarono vivaci resistenze. Ed appunto le composizioni, con cui in seguito si appianarono le liti, offrono, con i riferimenti alle precedenti donazioni e l'accenno ad altre elargizioni a favore di congiunti, amici, degli stessi servi per l'occasione affrancati, ulteriori precisazioni sulla consistenza patrimoniale della famiglia ed anche la notizia che all'origine di tutto c'era stato l'ingresso di B. a S. Salvi "causa monachati" (si veda il breve finitionis a favore del monastero di "Iohannes filius b.m. Gottefredi iudicis", ibid., Badia di Ripoli, 26 apr. 1089; e la cartula promissionis, ibid., Vallombrosa, 27 maggio 1090, di "Albizio filius Gerardi Vicedomini" e della moglie "Comitissa", sorella di B., a seguito della concessione in livello, da parte dell'abate di S. Salvi, dei beni contesi).
Un esplicito rinvio a questi stessi documenti, ma in un contesto decisamente agiografico, che ricalca del resto da vicino l'analoga sezione della Vita s. Ioannis Gualberti di Attone di Pistoia, è contenuto nella Vita tertia, l'unica che dedichi una qualche attenzione al momento monastico di Bernardo.
L'indicazione dell'appartenenza di B. alla famiglia degli Uberti, tuttavia, ovviamente assente nelle due Vite più antiche, di poco posteriori alla sua morte e pertanto antecedenti alla formazione dello stesso cognome, è suggerita soltanto dal breve compendio della Laurenziana, la Vita secunda dello Schramm, in epoca ormai tarda (primi decenni del sec. XIV), ma anche in un momento in cui l'avvenuta condanna dell'aborrita famiglia ghibellina non poteva incoraggiare certo rivendicazioni in tal senso. Da allora la notizia èripresa nelle varie fonti e s'introduce anche nella tradizione piùrecente delle prime Vite, fatta eccezione per la tradizione liturgica. Le rispondenze, che è possibile riscontrare, tra quei possedimenti di B. che, per disposizione stessa di lui, rimasero ai parenti o, dopo le contestazioni, a loro ritornarono per concessione livellaria del monastero, e quelli che saranno poi le case, la torre, i beni suburbani degli Uberti, sembrano avvalorare il tardo suggerimento delle fonti.
Assai scarse sono le testimonianze per gli anni monastici di B. e, sotto questo profilo, modesto rimane anche l'apporto delle Vite, limitato alla semplice notizia della sua nomina, prima, ad abate dello stesso monastero di S. Salvi e della sua elevazione, poi, alla suprema direzione dell'Ordine come abate di Vallombrosa. Grosse lacune dell'archivio di S. Salvi non consentono precisazioni cronologiche. L'elezione ad abate non poté avvenire prima del 7 dic. 1091, quando era ancora vivente l'abate Domenico; d'altra parte il 30 ag. 1099 B. ègià documentato come cardinale, dignità che nelle fonti agiografiche è presentata come il coronamento di una lunga operosità a capo della Congregazione. Si può pertanto avanzare l'ipotesi che la sua elezione alla suprema carica dell'Ordine risalga a qualche anno prima e, persino, che B., il primo dopo Rustico le cui funzioni di abbas maior siano documentate, abbia raccolto direttamente l'eredità dei secondo successore di Giovanni Gualberto, alla sua morte avvenuta il 12 marzo 1092 o 1093.
La frammentarietà della documentazione, ma soprattutto le confusioni ingenerate dalla circostanza che nelle fonti lo stesso titolo di abbas Vallis Umbrosae viene contemporaneamente assegnato tanto al capo della Congregazione, titolare appunto dell'abbazia, ma spesso assente dal lontano monastero appenninico, che all'abate (claustrale), responsabile allora del governo della comunità locale, pongono molte incertezze sulla linea di successione a capo dell'Ordine. Prescindendo dal primo successore del Gualberto, per il cui breve governo (12 luglio 1073-12 nov. 1075 o 1076) mancano testimonianze documentarie, ma nel cui ambito cronologico si colloca Erizo, già nell'aprile 1075 e nel febbraio dell'anno seguente, non rimangono dubbi per il periodo di Rustico (1075/1076-1092/1093). Le fonti non consentono tuttavia di stabilire se la successione alla morte di Rustico sia passata a Fiorenzo o a B., il quale, come abate del centralissimo monastero cittadino di S. Salvi - la sede dei primi capitoli generali ed anche, come pare, la residenza normale di Rustico - era particolarmente qualificato per quella successione; di fatto B. è l'unico nuovamente documentato come capo della Congregazione o abbas maior, in un periodo peraltro più recente (anno 1100), successivo dunque al cardinalato, ma anche posteriore all'ultima documentazione per Fiorenzo. E sarà anche da aggiungere che almeno da questa data cessa a Vallombrosa ogni testimonianza per l'abate claustrale, mentre tutto ormai nel monastero fa capo soltanto direttamente a B., che interviene quindi anche nelle donazioni a favore della abbazia. Egli è coadiuvato da un praepositus o prior, Teoderico, investito - forse dalla promozione di B. al cardinalato - anche di una specie di vicariato per tutta la Congregazione (si veda, tra l'altro, la donazione di Matilde di Canossa e Guido Guerra del 19 nov. 1103, in Overmann, n. 81).
Se rimangono pertanto, almeno per gli inizi, incerti gli estremi cronologici dell'abbaziato generale di B., sufficientemente delineate risultano tuttavia le direttrici del suo governo, che si presenta come momento decisivo nella storia vallombrosana.
La Congregazione, caratterizzata fin dalle origini da una vivace attività extraclaustrale e costantemente animata da posizioni polemicamente estremiste, si trovò poi a disagio quando, nel corso del pontificato di Urbano II, il papato assunse atteggiamenti più moderati. Vallombrosa conobbe allora momenti di crisi, di sbandamento, di tensione persino verso la Sede apostolica. Toccherà appunto all'abilità diplomatica del nuovo abate generale avviare la crisi a soluzione, riuscendo gradualmente a superare la difficile situazione e portando la Congregazione su nuove forme di vita regolare, ispirata a sentimenti di assoluta fedeltà verso Roma ed ancorata ad una salda organizzazione, decisamente centralizzata. Appaiono in tal senso illuminanti e segnano insieme la fase culminante di questo processo le disposizioni del capitolo generale presieduto da B. a S. Salvi il 7 marzo 1101 (praticamente, a tutto il primo quarto dei sec. XII, l'unico capitolo giuntoci nella redazione completa: per il testo di questo e per gli stralci sommari degli altri due, precedenti e non datati, v. Arch. di Stato di Firenze, Corp. rel. soppr. 260, 261, sec. XIV, Institutiones abbatum sancte Vallimbrosane Congregationis, f. 12, e, per una recensione incompleta dello stesso capitolo, f. 21r. La circostanza che l'adunanza fosse tenuta a Firenze induce a presupporre l'uso del computo fiorentino ed a pensare all'anno 1101, piuttosto che al 1100 solitamente dato, nonostante che l'assenza dell'indizione non consenta verifiche). In una rinnovata proclamata fedeltà agli ideali monastici di fuga dal mondo tutta la vita religiosa viene ricondotta, come a sua condizione essenziale, alla più stretta dipendenza dell'abbas maior, presentata del resto come ritomo all'osservanza voluta dal fondatore. Le nuove disposizioni sono solennemente sancite da B. non tanto e solo in quanto abate generale, ma "auctoritate sancte Romane ecclesie" nella pienezza delle sue funzioni di "indignus cardinalis beati Petri apostolorum principis".
Probabilmente a questi stessi anni, di pensoso ripiegamento della Congregazione vallombrosana su se stessa, risale anche la stesura delle consuetudini (si veda, per la datazione, la proposta di K. Hallinger nell'introduzione al Corpus Consuetudinum Monasticarum, I, Roma 1963, p. LXXIII).
Il rafforzamento monastico della Congregazione fu accompagnato da una ripresa d'espansione, dopo la stanchezza degli anni di crisi. Nuove fondazioni sorgono ancora in Toscana e nelle regioni limitrofe, ma la principale direzione dell'espansione fu segnata dall'attività di B. come legato pontificio in Alta Italia, con il risultato di un ritrovato felice congiungimento tra la Congregazione toscana e quella Longobardia,che tanto vivace apporto di uomini aveva recato all'Ordine di Vallombrosa nei primissimi tempi, ma che nessun monastero vallombrosano aveva accolto finora.
Il primo monastero fondato in terra lombarda fu, nel 1096, S. Marco di Piacenza (carta di fondazione in P.M. Campi, Dell'historia ecclesiastica di Piacenza, I, Piacenza 1651, p. 524, n. 106). Altre fondazioni lo seguirono ben presto: all'inizio dei secolo S. Sepolcro di Pavia, filiazione appunto di S. Marco; press'a poco contemporaneamente - sostenuto, come pare, dall'appoggio dei vescovo riformatore e vicario di Urbano II, Arimanno - S. Gervasio e Protasio di Brescia, che doveva irraggiare all'intorno una larga corona di monasteri: S. Sepolcro di Astino, presso Bergamo (1107), SS. Trinità di Verona (1114), S. Barnaba di Gratosoglio, a Milano, S. Carpoforo d'Adda, S. Filippo e Giacomo d'Asti, S. Vigilio in Lugana, sul Garda; all'inizio dell'episcopato parmense di B., S. Basilide di Cavana, in diocesi di Parma; ed infine i monasteri piemontesi, tra cui S. Bartolorneo di Novara e S. Benedetto di Muleggio, presso Vercelli.
Un ruolo importante in tutta la intensa maturazione che caratterizza la storia vallombrosana allo scorcio del sec. XI fu esercitato da Urbano II, che unì ai richiami ed agli interventi severi direttive, protezione ed anche incoraggiamenti per l'espansione della Congregazione. Lo stesso papa volle chiamare l'abate maggiore al cardinalato. Questa nomina, che ristabilisce ad un livello altamente rappresentativo la collaborazione dell'Ordine vallombrosano all'opera del papato, riproponendo per taluni aspetti la situazione verifigatasi con il cardinalato di Pietro Igneo, offre anche la misura della fiducia goduta dall'abate e dell'appoggio da parte del papa alla evoluzione che nella Congregazione toscana si veniva operando sotto la direzione di Bernardo.
Anche per la promozione al cardinalato la documentazione non consente precisazioni cronologiche. Il termine ante quem ècostituito dalla morte di Urbano II (29 luglio 1099), ma quanto prima non sappiamo. Le fonti documentarie vallombrosane ignorano persino il cardinalato, che viene eccezionalmente ricordato in alcuni documenti signorili per l'abbazia. Nei privilegi pontifici B. sottoscrive come cardinale prete del titolo di S. Crisogono dal 14 apr. 1100 all'11 ott. 1106 (Ph. Jaffé-S. Loewenfeld, Reg. Pontif. Rom.,I, Lipsiae 1885, nn. 5831, 5832, 5879, 5894, 6012, e, per l'ultima sottoscrizione, P. F. Kehr, Papsturkunden in Parma und Piacenza,in Nachrichten von der königl. Gesellschaft der Wissenschaften zu Göttingen, Phil. - hist. Klasse, 1900, p. 25, n. 4). Alla dimora romana del cardinale presso il suo titolo si riferisce anche il miracolo narrato nell'appendice alla Vita s. Ioannis Gualberti di Andrea di Strumi (cap. 95, p. 1104).
Con il pontificato di Pasquale II le responsabilità del cardinale di S. Crisogono dovevano estendersi. Il papa infatti, che aveva compiuto le sue prime esperienze monastiche in uno dei cenobi dell'appennino tosco-romagnolo, a diretto contatto dunque con le riforme di Camaldoli e Vallombrosa, volle affidare a B. la direzione di una legazione in Alta Italia, negli intenti del papa destinata alla sanazione delle ferite del lungo scisma ed al recupero a Roma di quelle chiese. Raccogliendo così la successione delle funzioni che erano state di Anselmo II di Lucca e, sotto Urbano II, del cardinale Arimanno, poi vescovo di Brescia, B. si trovò ad operare per la diffusione degli ideali di riforma in una vasta zona finora tenacemente resistente.
La legazione ebbe inizio nella primavera 1101. Dopo aver preso parte al consueto sinodo quaresimale, egli risalì lungo il litorale da Roma verso la sede della missione affidatagli: il 7aprile sostava a Grosseto, dove assisté alla dedicazione della chiesa di S. Maria e ad una donazione del vescovo a favore dell'abbazia di S. Benedetto in Alberese. Alla fine del mese era già nell'ambito dei domini di Matilde di Canossa., a Governolo: "die lunae quadam", tra il 7 aprile ed il 4 maggio, il vicario pontificio assisteva infatti ad una restituzione della contessa per S. Benedetto di Polirone, la cui documentazione venne tuttavia stesa soltanto il 4 maggio, senza ormai la partecipazione del legato (Kehr, It. Pont., VII, 1, p. 331, n. 11, ma con le precisazioni cronologiche accennate). E finalmente da Polirone, il 14 maggio, venne emesso il primo documento del legato, per decidere la sottrazione dell'Ospedale di Ognissanti a Mantova dalle dipendenze del monastero cittadino di S. Andrea ed annetterlo invece a S. Benedetto di Polirone: assai severo nei confronti del monastero mantovano e duro nei riguardi dei canonici della cattedrale "omnes simoniaci et excommunicati, Cononi invasori et exconununicato participantes" (Torelli, p. 92, n. 126). Le testimonianze giunteci non consentono di seguire l'itinerario del legato - che il 30 novembre era comunque presente in Curia - se non nell'anno seguente. Nel 1102, infatti, dopo una sosta a Vallombrosa durante l'inverno, egli era nuovamente a Roma il 4 marzo, partecipò al sinodo quaresimale - inaugurato il 12 dello stesso mese e particolarmente impegnato in nuove disposizioni antisimoniache - e da Roma riprese il cammino per l'Italia settentrionale. Compì ancora una sosta alla corte di Matilde - a suggestioni appunto della contessa Landolfa di S. Paolo vuole collegare le decisioni del cardinale favorevoli alla contestata elezione milanese di Grossolano - e giunse quindi nella metropoli lombarda latore da parte del papa del pallio arcivescovile. Successivamente, col nuovo arcivescovo, operò nell'ambito dell'archidiocesi ambrosiana - fu appunto con Grossolano a Monza nel luglio -; e scendendo poi per Pavia vi riaffermò energicamente l'indipendenza del monastero di S. Pietro in Ciel d'oro dai canonici della cattedrale (18agosto), interessandosi inoltre della riforma del monastero femminile del Senatore; passò probabilmente da Brescia, rinnovandovi il privilegio del suo predecessore nel vicariato, Arimanno, a favore della canonica riformata di S. Pietro in Oliveto; e giunse nuovamente nei domini di Matilde, ove la sua presenza è documentata fino all'autunno inoltrato (18 ottobre e 17novembre). Mancano testimonianze per l'anno seguente. Il documento per Nonantola, datato 18 marzo 1103 (Overmann, n. 78;Kehr, It. Pont.,V, p. 340, n. 20) sulla base dell'imperfetta edizione del Muratori, deve invece essere riportato al 18 ottobre dell'anno precedente. Anche le presenze di B. a Vallombrosa, documentate negli atti privati per l'abbazia ed addensate soprattutto nell'anno 1103, c'indurrebbero ad escludere senz'altro per quest'anno una legazione, se le incoerenze cronologiche offerte da tali documenti, pure comuni in questo periodo tra i notai della montagna toscana, non ci rendessero cauti nella loro datazione. Lungo l'anno 1104 l'attività del legato si estende ancora dalla primavera all'autunno: a Piadena il 1° maggio, a Parma in agosto, nel Modenese in settembre. Infine l'ultimo atto di B., ancora aperto dalla solenne intitulatio propria del legato, ma sottoscritto ormai con il semplice riferimento alla dignità cardinalizia, porta la data del 26 ott. 1106 ed è emesso a Guastalla, in contemporaneità col concilio, che segna appunto la conclusione della prima fase dell'attività legaziale di Bernardo. Se pertanto la cernita della documentazione operata dal tempo non è stata troppo casuale, essa offre non tanto il suggerimento di un vicariato permanente, quanto piuttosto l'impressione di successive legazioni, che sembrano abbracciare lo spazio di tempo compreso tra la primavera e l'autunno, con una periodicità annuale prima (anni 1101, 1102), ad anni alterni poi (1104, 1106).
Gli intenti perseguiti dall'opera del legato - per quanto è possibile intravedere nella frammentarietà delle testimonianze - appaiono singolarmente vicini alle istanze che guidarono l'azione di governo di Pasquale II. Vi si ritrova, in particolare, lo stesso rilievo assunto nella Chiesa dalla vita monastica ed una concezione di quest'ultima come strettamente autonoma, anche nei confronti della giurisdizione episcopale; l'appoggio conseguente alle forme rafforzate del monachesimo, presenti negli cremi; ed anche l'incremento alla vita canonica riformata del clero, che tanti rapporti viene stabilendo col chiostro.
L'altro accostamento, necessario a caratterizzare l'opera del vicario pontificio, conduce alla contessa Matilde. La signora di Canossa, che tanta parte aveva finora sostenuto per la causa della riforma nella pianura padana, "beati Petri singularis filia", secondo la definizione che ritorna negli atti del legato, non mancò di appoggiare decisamente l'opera di pacificazione e restaurazione di Bernardo.
Donizone presenta la missione del cardinale come quella del rappresentante del papa presso la contessa, consigliere ecclesiastico di Matilde, che "eum quasi papam / caute suscepit parens sibi mente fideli" (I. II, v. 952, p. 87). E la maggior parte della documentazione è costituita proprio dai diplomi della signora di Canossa, emessi coll'intervento del legato e da lui sottoscritti. Il quadro che offrono è ancora quello, a cui si accennava, di larghe donazioni e di vigili attenzioni rivolte ai monasteri: Polirone, Nonantola, S. ApolIonio di Canossa, la canonica regolare di S. Michele di Soliera, l'eremo di Marola. Alcuni interventi tendono a ristabilire il patrimonio ecclesiastico, depauperato dalle necessità della lotta durante lo scisma. Né va dimenticata la rinnovazione della donazione dei beni canossiani alla Santa Sede, compiuta nelle mani del vicario pontificio il 17 novembre del 1102.
Alla stretta collaborazione stabilitasi tra il legato e l'ancora potente marchesa di Toscana sono in parte da imputare le diffidenze con cui venne accolta in talune zone l'opera di B., assai spesso peraltro più largamente motivate da vivaci particolarismi locali, congiunti a persistenti resistenze ai programmi di riforma.
Delle perplessità suscitate in Milano dalla soluzione adottata dal vicario di Pasquale II per la successione arcivescovile si fa portavoce Landolfo di S. Paolo; di una più violenta opposizione scoppiata a Parma narrano il biografo della Vita prima ed ancora il monaco cantore di Matilde. Invitato dallo sparuto gruppo locale dei fautori della riforma, il legato venne a Parma nell'agosto 1104 ed il 15 dello stesso mese, per la festa del patrono della città, volle rivolgere nella cattedrale la sua parola al popolo. Ma il suo discorso, "propter regem", provocò una reazione violentissima: i sostenitori del legato furono dispersi, B. arrestato e rilasciato solo sotto la minaccia delle truppe di Matilde.
Ma ormai le resistenze si andavano sfaldando. Indice significativo dell'operato ravvicinamento a Roma appare nel 1106 la scelta, come sede del concilio riformatore di Pasquale II, della cittadina di Guastalla, nelle immediate vicinanze di Parma ed al centro di quella pianura padana che era sempre stata la patria della più sorda opposizione alla riforma; e, poi, la richiesta presentata in quell'occasione al papa dagli stessi Parmigiani di ottenere come loro vescovo proprio il cardinale legato, due anni prima tanto maltrattato. All'inizio del mese di novembre il papa stesso accompagnò a Parma il nuovo vescovo, ne compì di persona la consacrazione episcopale e procedette anche alla dedicazione della grande cattedrale costruita da Cadalo. La città di Cadalo e Guiberto si trovò pertanto, come residenza episcopale del vicario pontificio dell'Italia settentrionale, al centro del movimento di riforma.
Coll'elevazione all'episcopato B. abbandonò la dignità cardinalizia e lasciò la direzione della Congregazione vallombrosana. Egli conservò invece, almeno per qualche anno ancora, le funzioni di vicario pontificio. Donizone, anzi, il quale pure non ignora le legazioni di B., assegna proprio al momento della consacrazione episcopale la sua nomina a vicario di Pasquale II e la collega alle decisioni del concilio di Guastalla che aveva distaccate dalla ancora ribelle metropoli ravennate le diocesi dell'Emilia e le avevaposte sotto la giurisdizione diretta della Santa Sede. La notizia merita attenzione come testimonianza della successione di un vicariato permanente alla antecedente fase delle legazioni. La documentazione relativa alla ulteriore attività di B. come rappresentante di Pasquale II non va oltre il 9 giugno 1109, che è appunto la data della sua ultima sottoscrizione. Dopo questa data egli sottoscrive unicamente come vescovo di Parma (ma la prima menzione documentaria datata è solo del 1114).
Riesce difficile precisare i motivi che portarono alla cessazione del vicariato e che potrebbero collegarsi alla maturazione di nuove direttive di governo del papa, che sappiamo del resto non molto propenso a vicariati permanenti; potrebbero anche essere in rapporto con la situazione creatasi, in seguito agli sviluppi della questione delle investiture, attorno all'anno 1111 e con l'atteggiamento di B. nelle vicende romane di quell'anno.
Il vescovo di Parma, che è a Roma nel febbraio 1111, prende parte, insieme con Aldo di Piacenza e Bonseniore di Reggio Emilia, alle trattative dell'imperatore con i principi e i vescovi tedeschi nella sacrestia di S. Pietro dopo la richiesta, fatta dal papa ad Enrico V, di tenere fede alle promesse.
La cosiddetta relatio registri, che riflette l'opinione della Curia e segnala appunto questa presenza, vi accenna in un contesto che getta un'ombra dì dubbio sui tre vescovi italiani. Donizone, invece, ci informa dell'arresto di B. e Bonseniore insieme con il papa ed i suoi consiglieri, ma aggiunge che i due vescovi vennero poi liberati per l'intervento del vassallo di Matilde, Arduino della Palude, il quale ricordò all'imperatore gli accordi intervenuti con la contessa. Anche la Vita tertia, l'unica delle fonti agiografiche che contenga la notizia della presenza romana di B., la offre in una di quelle aggiunte, caratteristiche della fonte, che contribuiscono a rendere il tono della perfetta osservanza romana dell'abate di Vallombrosa, ma che si risolve qui in un esito unicamente agiografico, non privo di un certo imbarazzo: il santo sfugge alle nefande mani del re perché avvertito in sogno dal Signore di tornare al suo popolo. Troppo esile è, infine, il frammento con cui termina l'appendice dei miracoli nella Vita s. Ioannis Gualberti di Andrea di Strumi (cap. 96, p. 1104: "De eodem domno Bernardo, qui epistolam transmisit regi, in qua testimonium inseruit, quod postea retractans…") per tentarne delle conclusioni, anche se suggestivo appare il riavvicinamento proprio agli avvenimenti romani e trasparenti gli indizi di una qualche incertezza politica del vescovo di Parma.
Se un accostamento è comunque possibile tra fonti tanto lontane e così diversamente impegnate, se ne può forse derivare il suggerimento di un tentativo di mediazione, che poteva essere collegata colla posizione assunta dalla contessa di Canossa di fronte agli eventi. Non si può infatti dimenticare che B. rimaneva consigliere ascoltato di Matilde, e non rilevare l'uniformità di comportamento dei tre vescovi emiliani, due dei quali almeno vicinissimi a Matilde. Il tentativo tuttavia dovette dispiacere, almeno dopo l'epilogo disastroso della vicenda, alla Curia, e l'atteggiamento dei vescovi, lungo il corso delle trattative, finì con non piacere neanche ad Enrico. Una conferma sulle posizioni ancora "gregoriane" dei vescovo di Parma, alieno peraltro da irrigidimenti ed estremismi, viene offerta dalla lettera inviata da Bruno di Segni, qualche mese dopo i fatti romani, al preposito del priorato cassinese di S. Giorgio a Lucca: in essa si accenna ad una richiesta avanzata dal vescovo di Lucca Rangerio e dallo stesso B., insieme con l'abate di Vallombrosa ed il priore di Camaldoli, per ottenere schiarimenti sull'atteggiamento assunto da Bruno a proposito della "haeresis quae dicitur de investitura". I termini elogiativi con cui Bruno si riferisce ai due vescovi, le notizie dell'interessamento da parte loro per la corrispondenza del vescovo di Segni, ci inducono ad escludere per B. cedimenti dalle posizioni gregoriane, anche se appare evidente proprio nella richiesta di spiegazioni e soprattutto nella preoccupazione di sapere se il comportamento di Bruno gode dell'approvazione del papa che B. non condivide la posizione intransigente del vescovo di Segni, che tanta fortuna otteneva invece nella reazione seguita alle vicende di quell'anno.
Ed appunto, fedele seguace in fondo di Pasquale II anche in questo, B. non giunge ad una rottura con Enrico V. Lo dimostra non tanto il privilegio concesso dall'imperatore al capitolo di Parma il 16 maggio 1111, in cui non si nomina il vescovo e che è certo motivato dall'intento dell'imperatore di conservare aderenze in ambiente sempre così favorevole, quanto la presenza di B. alla corte imperiale di Governolo, il 29 maggio 1116.
Scarsissime le testimonianze relative all'attività del vescovo nella sua diocesi, dove la restaurazione religiosa deve avere incontrato grandi difficoltà. Il biografo della Vita prima delinea ormai in chiave comunale un ritratto del vescovo come "defensor civitatis" nelle continue lotte che oppongono Parma alle vicine città. Ma il fervore della ripresa spirituale è rivelato dal moltiplicarsi di nuove fondazioni religiose: l'abbazia vallombrosana di Cavana; un monastero di monache a S. Quintino in città; verso la fine dell'episcopato la canonica regolare di Romolano, dipendente da S. Maria del Reno. Anche i canonici della cattedrale ritornano alla vita comune.
La restaurazione monastica rimane, del resto, al centro delle cure del vescovo, che continua a vivere e vestire da monaco, conducendo vita comune con i religiosi che fin dagli inizi ha voluto con sé a Parma. Nonostante la rinuncia alla dignità abbaziale, che data dalla consacrazione episcopale, egli rimane affettuosamente legato ai suoi vallombrosani e conserva l'alta direzione della Congregazione: per certi atti importanti è richiesto, con quello dell'abate generale, anche il suo consenso (Lucca, Arch. arcivescovile, + + M 92, 12 dic. 1122, st. p.); partecipa ancora ai capitoli generali che sono allora presieduti da lui; nel 1124 ottiene alla Congregazione un privilegio di protezione imperiale (per la datazione, cfr. Meyer von Knonau, VI, p. 279).
Gli ultimi anni, a cominciare dal pontificato di Callisto II, sono nuovamente impegnati in responsabilità che superano l'ambito della diocesi con episodi a torto configurati dall'amplificazione agiografica ancora all'interno di un presupposto vicariato esteso a tutta la vita di Bernardo. è anzi solo frutto di un fraintendimento dell'Ughelli la notizia di una legazione a Genova nel 1122 (F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, IV, Venetiis 1719, col. 857); mentre ad un nuovo incarico di fiducia da parte del papa ci riconduce effettivamente la menzione del privilegio di Callisto II per Praglia, del 1° maggio 1122 (Kehr, It. pont.,VII, 1, p. 191n. 1), nel quale la decisione del papa di accogliere sotto la protezione apostolica il monastero padovano è motivata con un rapporto del vescovo di Parma. Due anni dopo lo stesso pontefice pone il monastero, allora sottratto alla giurisdizione episcopale, sotto la dipendenza di Polirone, il grande centro cluniacense verso cui si erano già rivolte le attenzioni di Matilde e del legato. Infine unicamente alle fonti agiografiche, le due Vite, dobbiamo la notizia di una missione di B. a Milano coll'incarico di persuadere quell'arcivescovo ad abbandonare Corrado di Hohenstaufen (per quanto si riferisce all'episodio l'edizione della Vita prima, c. 7, p. 1319, dovrà essere emendata col ricorso alle lezioni dell'altro codice, ora perduto, ma ripreso nell'editio princeps, Parma 1609, ed accolte dallo Schramm nell'apparato). Il passo costò un nuovo arresto al vescovo di Parma, risolto ancora una volta coll'intervento di Arduino della Palude, senza che tuttavia per lungo tempo fosse consentito a B. il ritorno nella sua città episcopale. Nello scisma del 1130 il vecchio vescovo prese subito posizione a favore di Innocenzo II, procurando così al candidato delle correnti riformatrici l'appoggio della sua Congregazione, a cui si affiancarono anche i camaldolesi. Nella sua lettera ad Aquitanos Bernardo di Chiaravalle ricorda appunto B. tra i sei vescovi italiani, al cui prestigio ed alla cui santità egli si appella per la scelta che propone alla cristianità (ep. 126, in Migne, Patr. Lat., CLXIII, col. 277). Già ammalato, il vescovo di Parma volle accogliere Lotario a Verona e seguirlo nel suo viaggio verso Roma. Nell'Encyclicade Anacleto antipapa damnato il nome di B. apre la serie dei vescovi italiani presenti a Roma attorno all'imperatore. Rientrato a Parma, vi morì pochi mesi dopo, il 4 dic. 1133.
Alla vigilia del sesto anniversario della morte, il 3 dic. 1139, il suo successore, il vescovo Lanfranco, procedeva alla canonizzazione, compiendo - secondo la prassi di allora - la solenne elevatio delle reliquie. Il culto, oltre che a Parma, Firenze ed alcune altre città dell'Italia settentrionale, in cui l'attività del legato aveva lasciato più lunghi ricordi, ebbe particolare sviluppo nella Congregazione vallombrosana, dove - nell'iconografia e nella liturgia - B. fu affiancato a Giovanni Gualberto, quasi secondo fondatore. Il suo corpo è conservato nella cripta della cattedrale di Parma. Una recente ricognizione (1952) ha consentito il rinvenimento dell'originaria cassa e la lettura d'una iscrizione che documenta l'elevatio del 1139. La sua festa è celebrata il 4 dicembre.
Fonti e Bibl.: Di provenienza parmense e dovuta ad un contemporaneo, ma in una prospettiva limitata appunto al momento parmense di B., la Vita prima, a cura di P. E.Schramm, in Monum. Germ. Hist., Scriptores, XXX,2, Lipsiae 1934, pp. 1316-1323. Una seconda Vita, segnalata dallo Schramm come Vita tertia, ma non edita nei Monum. Germ. Hist., attende ancora una edizione critica: di origine vallombrosana ed appartenente sempre al sec. XII, questo testo ottenne larga diffusione e dispone pertanto di una sufficientemente ampia tradizione manoscritta. Dopo una prima edizione nel 1602 ad opera di A. Ciprario (Vita S. Bernardi Parmensis Episcopi S.R.E.S. Chrysogoni Cardinalis, Ordinis S. Benedicti, Religionis Vallisumbrosae, Romae, apud Guglielmum Facciottum, 1602), che è in realtà una smaccata falsificazione ed interpolazione del testo originale, fatta alla luce delle tesi storiografiche care ai vallombrosani del tempo, ebbe poiuna ulteriore edizione nel 1612, a cura di T.Veli, egualmente sfortunata a motivo di un'appendice tratta da fonti documentarie. La più recente edizione di L. Barbieri, Chronica Parmensia a s. XI ad exitum s. XIV, in Mon. histor. ad provincias Parmensem et Placentinam pertinentia, Parmae 1858, pp. 497-511, è stata condotta sulla base di un solo codice del sec. XVI. Per i relativi problemi, v. B. De Gaiffier, in Analecta Bollandiana, XLVIII (1930), p. 414, in una recensione al XXX volume degli Scriptores nei Monum. Germ. Hist. L'attribuzione ad Attone di Pistoia (m. 1153), che non compare Prima del sec. XVI, non offre possibilità di riscontro, anche se questa Vita presenta affinità stilistiche ed analogie nella tecnica agiografica - generiche peraltro - con la Vita s. Ioannis Gualberti, sicura opera dei vescovo di Pistoia, e con una Legenda s. Barnabae, la cui paternità attoniana è rivelata dal cod. Ambr. D. 22 inf. (cfr. Analecta Bollandiana, XI [1892], p. 288, ove è pubblicata da A. Ceriani l'Epistola s. Attonis Pistoriensis episcopi De Vita s. Barnabae). In Monum. Germ. Hist., Scriptores, XXX, 2, pp. 1323-1327, è invece edita, sempre a cura di P. E. Schramm e come Vita secunda, una breve Vita presentata solo dal cod. Laur.XX, 6, del sec. XIV, già segnalato dal Davidsohn. I due studiosi la ritengono molto antica, antecedente comunque alla Vita tertia e meritevole pertanto di una edizione nei Monumenta. Si tratta invece di una tarda compilazione, sicuramente databile attorno al terzo-quarto decennio del sec. XIV, opera di un anonimo vallombrosano: l'autore della Vita s. Humilitatis (in Bibliotheca hagiogr. latina, n. 4045), e delle altre Vite di santi fiorentini nella stessa raccolta del codice Laurenziano a cui appartiene la Vita s. Bernardi. Egli si distingue oltre che per uno stile assai personale, per la disinvolta facilità con cui traduce in uno svelto racconto le sue fonti, nel nostro caso esclusivamente la Vita tertia.Scarso rimane dunque il suo interesse, limitato tutt'al più alla storia della fortuna. Sotto questo profilo si possono ancora ricordare il Tractatus de dictamine dei cod. 2507 della Oesterreichische Nationalbibliothek diVienna. ff. 7v-8sr, ove per diverse esemplificazioni si ricorre a lettere di ed a B. (cfr. ancora W. Wattenbach, Iter Austriacum, in Archiv für Kunde Oesterreichischer Geschichtsquellen, XIV[1855], pp. 39 ss., con edizione di alcune formulae, ma non quelle relative a B.) ed un Libellus miraculorum, peraltro mutilo, presentato da alcuni codici della Vita tertia: per uno di questi, cfr. L. Mencaraglia, Note agiografiche ed umanistiche da un manoscritto fiorentino del 1509, in La Bibliofilia, XLII (1940), pp. 180-195.
Per le altre fonti: Gesta Trevirorum, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, VII, Hannoverae 1846, p.199; Laurentii Leodiensis Gesta episcoporum Virdunensium,a cura di G. Pertz, ibid., X, Hannoverae 1852, p. 500; Brunonis episcopi Signini Epistolae, a cura di E. Sackur, ibid., Libelli de lite, II, Hannoverae 1892, p. 565; Relatio Registri Paschalis II, a cura di L. Weiland, ibid., Legum sectio IV, Constit. et acta, I, Hannoverae 1893, p. 148; Encyclica de Anacleto antipapa damnato, ibid., p.166 s.; A. Overmann, Gräfin Mathilde von Tuscien, ihre Besitzungen, Gesch. ihres Gutes 1115-1230, und ihre Regesten, Innsbruck 1895, pp. 168, nn. 68, 69; 170, nn. 74, 75; 171, n. 78; 173, n. 85; 174, n. 86; 177, nn. 98, 98e; 178, n. 100; 181, n. 116; 183, n. 122; 187, nn. 134, 136; Le carte dell'Archivio capit. di Tortona, I, a cura di F. Gabotto e V. Legé, in Biblioteca della Società storica subalpina, XXIX, Pinerolo 1905, p. 16, n. 9; P. F. Kehr, Italia Pontificia,III,Berolini 1908, pp. 124, n. 4; 255, n. 1, 260, n. 5; V, ibid. 1911, pp. 181, n. 4, 210, n. 12, 211, n. 13, 323, n. 1, 340, n. 20, 391, n. 24, 394, nn. 4, 5, 397, nn. 1, 2; VI, 1, ibid. 1913, pp. 141, n. 2, 144, n. 4, 186, n. 2, 196, n. 8, 218, n. 3, 319, n. 2; VI, 2, ibid. 1914, p. 377, n. 14; VII, 1, ibid. 1923, pp. 191, n. 1, 309, n. 6, 310, n. 7, 312, n. 4, 315, n. 5, 331, nn. 11, 12, 332, nn. 13, 14, 15, 334, n. 21; F. Schneider, Toscanische Studien, II, in Quellen und Forschungen aus italien. Archiven und Bibliotheken, IX (1908), pp. 256-258; M. Lupo Gentile, Il regesto del codice Pelavicino in Atti della Soc. ligure di storia patria, XLIV (1912), pp. 585, n. 527, 593, n. 531; P. Torelli, Regesto mantovano, I, in Regesta chartharum Italiae,XII,Roma 1914, p. 120, n. 166, Andrea Strumensis, Vita s. Ioannis Gualberti,a cura di F. Baethgen, in Monum. Germ. Hist., Scriptores,XXX, 2, Lipsiae 1934, p. 1104; Landulphi iunioris sive de Sancto Paulo Historia Medionalensis, in Rerum Italic. Script., 2 ediz., V, 3, a cura di C. Castiglioni, Bologna 1934, p. 7; Vita Mathildis celeberrimae principis Italiae… scripta a Donizone presbytero, ibid., V. 2, a cura di L. Simeoni, Bologna 1931-1940, ad Indicem.
Tra le biografie si ricorda soltanto: I. Affò, Vita di s. B. degli Uberti, Parma 1788, ancora utile per l'appendice documentaria; M. Ercolani, S. B. degli Uberti vallombrosano, vescovo di Parma,in Riv. stor. benedettina, II(1907), pp. 31-64; N. Pelicelli, Vita di s. B. degli Uberti, Parma 1923. Ed inoltre: R.Davidsohn, Forschungen zur älteren Geschichte von Florenz, Berlin 1896, pp. 66-68; G. Meyer von Knonau, Jahrbücher des deutschen Reiches unter Heinrich IV. und Heinrich V., V, Leipzig 1904, pp. 171-73; VI. ibid. 1907, pp. 33-35; G. Schwartz, Die Besetzung der Bistümer Reichsitaliens, Leipzig-Berlin 1913, pp. 187 s.; G. Mercati, Parmensia, II, La lettera di sottomissione d'un arciprete di Parma a Pasquale II, in Opere minori, II, Città dei Vaticano 1937, pp. 353-56; Martyrologium Romanum…, in Propylaeum ad Acta sanctorum decembris, Bruxellis 1940, p. 566; E. Hoff, Pavia und seine Bischöfe im Mittelalter, I, Pavia 1942, pp. 203, 372 s.; P. F. Palumbo, Lo scisma del MCXXX, Roma 1942, pp. 419, 441, 468, 489, 504; L. Simeoni, Il contributo della contessa Matilde al papato nella lotta per le investiture, in Studi gregoriani, I, Roma 1947, pp. 353-372; P. Guerrini, Un cardinale gregoriano a Brescia, il vescovo Arimanno, ibid., II, ibid. 1948, pp. 367, 370, 382; A. Mercati, Marola, fondazione della contessa Matilde, in Saggi di storia e letteratura, I, Roma 1951, pp. 137-143; G. L. Barni, Dagli albori del comune all'incoronazione di Federico Barbarossa, in Storia di Milano, III, Milano 1954, pp. 258 s., 294, 355 s.; A. Frugoni, Arnaldo da Brescia nelle fonti del sec. XII, Roma 1954, pp. 4-6; R. Davidsohn, Storia di Firenze, I, Firenze 1956, pp. 428-432, 545 s., 602 s., 611, 613, 1057; H. W. Klewitz, Die Entstehung des Kardinalkollegiums, in Reformpapsttum und Kardinalkolleg, Darmstadt 1957, pp. 72, 122; G. Miccoli, Pietro Igneo. Studi sull'età gregoriana, Roma 1960, pp. 117, 160, 163, 166; F. J. Schmale, Studien zum Schisma des Jahres 1130, Köln-Graz 1961, pp. 212, 214; C. Violante, La Chiesa bresciana nel Medioevo, in Storia di Brescia, I, Brescia 1961, pp. 1045 s.; A. Montecchio, Cenni storici sulla canonica cattedrale di Mantova nei secc. XI e XII, in La vita comune del clero nei secc. XI e XII…, II, Milano 1962, pp. 162 s.; N. Vasaturo, L'espansione della Congregazione Vallombrosana fino alla metà del secolo XII, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XVI (1962), pp. 471 s., 482-85; K. Ganzer, Die Entwicklung des auswärtigen Kardinalats im hohen Mittelalter…, Tübingen 1963, pp. 50, 51-55, 68, 175, 180-182, 187, 190, 193 s.; E. Nasalli Rocca, Parma e la contessa Matilde, in Atti e mem. della Deputaz. di storia Patria per le antiche prov. modenesi, s. 9, III (1963), pp. 201-216; P. Zerbi, Un doc. ined. riguardante l'abbazia di S. Barnaba di Gratosoglio…, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XVII(1963), pp. 110-112; S. Boesch Gajano, Storia e tradizione vallombrosane, in Bull. dell'Ist. stor. ital. per il Medio Evo e Arch. muratoriano, LXXVI (1964), pp. 106, 116, 136, 139-142, 182, 195, 203-215; P. Zerbi, I rapporti di s. Bernardo di Chiaravalle con i vescovi e le diocesi d'Italia, in Vescovi e diocesi d'Italia nel Medioevo (sec. IX-XIII)…, Padova 1964, pp. 220, 251 n. 2, 304; R. Gaborit, Les plus anciens monastères de l'ordre de Vallombreuse (1037-1115), in Mélanges d'archéol. et hist., LXXVI (1964), pp. 451-90; LXXVII (1965), pp. 179-208; P. Zerbi, Pasquale II e l'ideale della povertà della Chiesa, in Annuario dell'Univ. cattolica del S. Cuore per l'anno acc. 1964-1965, Milano 1965, p. 222; G. Miccoli, Aspetti del monachesimo toscano nel sec. XI, in Chiesa gregoriana, Firenze 1966, pp. 72 s.; P. Zerbi, I monasteri cittadini in Lombardia, in Monasteri in Alta Italia dopo le invasioni saracene e magiare (secc. X-XII), Torino 1966, pp. 298, 313 s.; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., VIII, coll.718-721 (con non poche inesattezze); Bibliotheca sanctorum, III, coll. 49-60.