DELLA PORTA, Bernardo (Bernardino)
Nacque a Parma durante la prima metà del sec. XIII da una famiglia di milites, tradizionalmente aderente al gruppo dei guelfi. Era consanguineo di Gamerio Della Porta, detto Scurta, che fu podestà in numerose città italiane nel corso di quel secolo e che fu vicario del re Carlo d'Angiò a Firenze nel secondo semestre del 1279. E proprio nella medesima città di Firenze è testimoniata per la prima volta l'attività politica del D., che svolse, dal 29 ag. 1282 al maggio 1283, la funzione di "Capitano e Difensore delle Arti e degli Artefici". Il D. rappresentava cioè, di fronte al podestà e al capitano del Popolo e conservatore della Pace, gli interessi del ceto mercantile, industriale ed artigianale della città, ne sosteneva le richieste, i diritti e le decisioni.
La magistratura del capitano e difensore delle arti e degli artefici, che il D. fu il primo a ricoprire, era stata istituita nell'estate del 1282, quando a Firenze si erano avute le riforme costituzionali favorevoli ad una più attiva partecipazione delle arti e dei loro priori al governo comunale. Era certamente un duplicato dell'istituto del capitano del Popolo e nelle intenzioni di chi l'aveva voluta essa avrebbe dovuto sostituirlo, così che in seguito la figura del capitano e difensore delle arti avrebbe dovuto rappresentare, contro i magnati da una parte e contro il popolo minuto dall'altra, solo gli interessi del mondo economico, mercantile ed imprenditoriale. Simili finalità erano implicite nei vasti poteri e nelle specifiche prerogative che la legge riconosceva al capitano e difensore delle arti: egli poteva pronunciare sentenze, come il podestà e come il capitano del Popolo; perciò aveva diritto ad un suo notaio, ad un suo banditore e a suoi nunzi, era attorniato costantemente dai priori ed abitava in un palazzo proprio, diverso dalle sedi del podestà e del capitano del Popolo.
La scelta del D. non fu certo casuale. In primo luogo egli apparteneva al partito guelfo; in secondo luogo proveniva dal ceto dei milites. Non sembri contradditorio che un nobile fosse chiamato a rappresentare gli interessi del ceto mercantile: in realtà appunto nobile fu voluto il primo capitano delle arti, perché non fosse inferiore, neanche sul piano sociale, alle due tradizionali magistrature comunali. Era infatti stato nominato capitano del Popolo, il 10 sett. 1282, il riminese Paolo Malatesta da Verrucchio, in seguito noto per la sua disavventura amorosa con Francesca da Polenta. Lo scontro tra i due capitani non tardò a verificarsi: all'inizio della primavera del 1283 il D. pronunciò una severa condanna giudiziale contro un esponente ghibellino, alla quale il Malatesta si oppose, nella sua qualità di conservatore della Pace, sulla base dei capitoli di accordo, fissati nel 1280 dal cardinal Latino. La tensione in città raggiunse il culmine nel maggio 1283, quando i priori delle arti chiesero ed ottennero che Paolo Malatesta abbandonasse volontariamente la sua carica. Costui lasciò la città il 20 maggio ed il medesimo giorno il D. assonimò nella sua persona le due magistrature capitaneali, che conservò fino al termine del mese di ottobre con il titolo di "Difensore delle Arti e Capitano e Conservatore della pace del Comune di Firenze". Il 10 nov. 1283 trasmetteva al successore, Rolandino da Canosa, una istituzione politica ormai rafforzata e senza rivali.
Nel 1287 il D. fu chiamato dai Lucchesi a reggere come podestà quel Comune. Assunta la carica, favorì la stipula di un trattato di alleanza tra Lucca, Pistoia e Firenze in funzione antipisana. Ciò permise al D. ed ai Lucchesi di attaccare la città marinara e di sconfiggerla nella battaglia di Buisi, ove fu preso prigioniero un nipote dell'arcivescovo di Pisa. Al termine del suo mandato, tuttavia il D., secondo una notizia certamente attendibile fornita da Tolomeo da Lucca, dovette abbandonare di nascosto e di notte la città, "giacché temeva l'azione del sindacatore che in quell'anno era troppo zelante nello svolgimento del suo dovere d'ufficio". Le fonti non riferiscono di quali colpe il D. temesse di venire imputato. Tuttavia, poiché lo stesso cronista riporta, subito dopo questa notizia, che nel 1287 Lucca fu funestata da gravi scontri avvenuti per ragioni politiche nella zona di S. Frediano tra i Martini e i Faitinelli, appare probabile che il podestà - persona, come si è visto a Firenze, certamente rigida e decisa - abbia usato la mano troppo pesante nel sedare quei tafferugli e in generale nel mantenere l'ordine pubblico.
Tra il 1291 ed il 1292 la fazione popolare di Bergamo, dove era stata in quel periodo introdotta per la prima volta tra le magistrature comunali la carica di capitano del Popolo, elesse il D. a ricoprirla avendo accanto come podestà Aimerico da Lodi. Al termine di questo mandato, sui cui eventi, per altro, le fonti non ci forniscono alcun dettaglio, il D. ricevette dai priori delle arti di Firenze proposte per un nuovo e più importante compito.
Nel gennaio 1293 il gruppo mercantile ed imprenditoriale fiorentino aveva dato alla città una nuova costituzione politica, eseguendo la delibera del Consiglio dei cento del 15 dicembre precedente, che affidava al podestà, al capitano ed ai priori l'incarico di redigere ordinamenti speciali allo scopo di pacificare le arti e di rendere più forte la loro posizione nei confronti dei magnati. Furono gli Ordinamenti di giustizia, che vennero approvati nei Consigli senza incontrare opposizioni, né legali né extralegali, anche se con essi in pratica si escludevano dal governo i magnati, cioè il ceto nobiliare. Le arti, ormai signore della vita politica ed economica della città, erano intenzionate a deliberare serie misure restrittive e punitive nei confronti delle grandi famiglie dell'afistocrazia. Nel quadro di tale rinnovamento costituzionale fu creata, in luogo della carica di "capitano e difensore delle arti", una nuova carica, quella di "defensor et capitancus Populi", e si chiese al D. se fosse disposto a ricoprirla.
Il D. è attestato a Firenze come "defensor et capitaneus Popùli" dal novembre del 1293 al maggio del 1294. Nel periodo del suo mandato, in ossequio alla politica antimagnatizia promossa dalla nuova direzione del Comune il D. si impegnò a ricercare e a rivendicare i diritti del Comune usurpati dai nobili, riacquistando al potere centrale villaggi e giurisdizioni che a diverso titolo essi si erano arrogati. Furono così sequestrati alcuni patrimoni immobiliari agli Uberti e agli Ubaldini e furono recuperate le proprietà di Sant'Eusebio, attribuite poi in amministrazione ai consoli dell'arte di Calimala. Nell'aprile 1294 il D. approvò ed iniziò la costruzione di un carcere speciale per i magnati e vietò a questi l'accesso al palazzo del capitano e del podestà.
Le fonti a noi note non fanno più menzione del D. posteriormente al maggio del 1294
Fonti e Bibl.: Tholomei Lucensis, Annales, a cura di B. Schrneidler, in Mon. Germ. Historica, Scriptores, n. s., VIII, Berolini 1930, p. 213; C. Angelini, Catalogo cronol. de' rettori di Bergamo, Bergamo 1742, p. 22; G. Cianelli, Serie stor. de' pretori in Lucca, in Memorie e documenti per servire all'istoria del Principato lucchese, II,Lucca 1814, p. 337; G. Salvemini, Magnati e popolani in Firenze dal 1280al 1295, Firenze 1899, pp. 123, 166, 234; R. Davidsolm, Forschungen zur Gesch. von Florenz, II,2, Berlin 1908, pp. 552 s.; Id., Gesch. von Florenz, II,2, Berlin 1908, p. 219; P. Vicini, I podestà di Modena, I,Roma 1913, p. 122; B. Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, II,Bergamo 1959, p. 260.