DELLA TORRE, Bernardo
Nacque a Napoli il 9 nov. 1746 da Francesco ed Agnese di Giacomo, di modeste fortune, e in famiglia ricevette la prima istruzione, rivelando un ingegno versatile e una particolare inclinazione per le lettere e per le scienze. Grazie ai suoi modi brillanti e a una naturale eloquenza fu accolto con simpatia nei salotti della buona società napoletana e iniziò a riscuotere qualche successo nell'attività forense, cui si era dedicato per volontà della famiglia. Tuttavia preferì presto abbandonare questa carriera per lo stato ecclesiastico, forse perché apparvero evidenti al suo spirito eminentemente pratico le difficoltà che avrebbe incontrato, privo com'era di un solido supporto economico.
Vestito l'abito clericale nel 1766, fu ordinato sacerdote il 25 maggio 1771; l'anno successivo divenne membro della Congregazione delle apostoliche missioni; per molti anni insegnò filosofia e matematica nel seminario napoletano. È di quegli anni la pubblicazione delle sue opere maggiori, interessanti più per le indicazioni culturali e politiche in esse contenute che per quelle religiose.
Il Teopompo, o sia Dialoghi apologetici della cristiana religione contro l'autore del Testamento di Mesliero, e diversi altri critici (Napoli 1773) è un'esplicita professione di fede "politica", l'adesione cioè del D. alle concezioni di quei conservatori che sostenevano l'utilità della religione per la società. L'apologia della religione sfrutta la tesi della sua socialità, cioè della garanzia che essa offre, grazie alla sua forza morale, come sostegno del potere costituito e dell'ordine sociale tradizionale. Non a caso l'opera appunta la sua critica contro Jean Meslier, una delle più radicali voci del secolo, che mirava a un'eversione totale della Chiesa come istituzione.
Nel De' carattere degli increduli (in appendice Saggio d'una nuova risposta agli argomenti arrecati da Bayle in favore dei Manichei, Napoli 1779) il D. riprese a confutare il messaggio rivoluzionario e le aspirazioni egualitarie implicite nella condanna che il Meslier muove al cristianesimo storico, proponendo la religione come unica possibile consolazione alla sperequazione economica e all'ingiustizia sociale che egli considera fatalisticamente ineliminabili. Pur mostrandosi sensibile al tema del dolore umano, egli sviluppa il suo discorso in maniera decisamente pessimistica, riproponendo la tesi dell'utilità della religione, la quale garantisce la felicità ultraterrena in cambio della docilità alle ingiustizie e alle sofferenze.
In queste opere, recensite favorevolmente nelle Efemeridi letterarie (Roma 1773, pp. 131, 141 ss.; 1781, pp. 58-62, 138-42), il D., pur rivelando una scienza più ampia che non profonda, mostra di conoscere, citandone correttamente testi ed edizioni, un gran numero dei tanto avversati philosophes, le cui opere circolavano largamente a Napoli.
L'eco delle polemiche sorte intorno a queste opere accendeva intanto l'interesse per la persona del D., il quale coglieva i suoi successi maggiori in quei salotti che caratterizzavano la vita intellettuale della Napoli della seconda metà del Settecento, e in cui egli stringeva amicizia con gli uomini più rappresentativi del momento: M. Pagano, C. De Marco, D. Cirillo, G. A. Serrao, D. Forges Davanzati, F. Conforti, I. Ciaia, F. Ricciardi, tutti accumunati da una spiccata simpatia per il regalismo e il giansenismo.
Per quanto attiene al problema dell'adesione del D. al giansenismo, che in Napoli trovava un centro di grande vitalità, bisogna fare una precisa distinzione tra le questioni dottrinali e quelle di politica ecclesiastica: infatti, mentre sul piano teologico egli si mantenne sempre nella linea della più perfetta ortodossia, nelle questioni riguardanti i rapporti Stato-Chiesa condivise invece con i giansenisti le istanze di una riforma per redimere la "Chiesa degenerata" e il rifiuto alla ingerenza della Curia romana negli affari del Regno. Questo atteggiamento anticuriale, confermato anche dall'approvazione che egli diede al discusso libro di Gennaro Cestari, Lo spirito della giurisdizione ecclesiastica sulle consagrazioni de' vescovi (Napoli 1788) in cui si rivendicava al sovrano il diritto alle nomine vescovili, costò al D. la manifesta ostilità del pontefice Pio VI a consacrarlo vescovo, dopo la nomina da parte di Ferdinando IV (20 genn. 1792). Solo grazie ad un intervento diretto del re in suo favore, ottenne il 26 marzo l'istituzione canonica pretestuosamente rinviata, e partì immediatamente per la sede assegnatagli, Marsico Nuovo, una piccola cittadina della Basilicata, ove rimase per cinque anni.
Il soggiorno a Marsico Nuovo ebbe l'effetto di isolare il D. dalla circolazione delle idee e renderlo sostanzialmente estraneo agli avvenimenti più significativi di quegli anni, che segnarono l'avanzata massiccia della propaganda rivoluzionaria e il tramonto delle speranze riformistiche. Nel 1796 infatti pubblicò una Pastorale in cui riconfermava che solo dall'alleanza col principe potevano scaturire le auspicate riforme ecclesiastiche, mostrando così di non aver recepito in alcun modo la nuova situazione politica.
Trasferito alla diocesi di Lettere, presso Napoli (18 dic. 1797), il D., nel clima di sospetti ed inquisizioni provocati dalla politica reazionaria inaugurata in quegli anni da Ferdinando IV, si convinse della convenienza a mantenersi estraneo ad ogni dottrina sospetta di turbare l'ordine costituito e, nella Lettera pastorale di ingresso nella nuova sede (1797), riconfermò la sua totale chiusura ad ogni "idea peregrina" che minacciasse la tranquillità sociale.
Questo atteggiamento gli accrebbe la simpatia del sovrano, che lo chiamò a far parte della giunta ecclesiastica, e gli fece riacquistare la stima di Pio VI, che lo nominò delegato apostolico prima della partenza per l'esilio. Tuttavia il rapido e drammatico susseguirsi degli avvenimenti del '99 pose ben presto il D. di fronte alle responsabilità di una scelta che gli avrebbe permesso di mediare tra gli obiettivi rivoluzionari e le esigenze della religione: la sua adesione alla Repubblica partenopea, dimostrata con la pubblicazione di una Pastorale "del cittadino", che sviluppa il tema suggerito dal Conforti di un "governo repubblicano conforme al Vangelo e una democrazia comandata da Gesù Cristo", può essere considerata frutto, più che di un calcolo, della volontà di offrire indirizzo politico oltre che morale al popolo disorientato.
Durante quei mesi il D. si adoperò per ottenere indulgenza per gli insorti e per mantenere la pace e l'ordine, collaborando col nuovo governo anche come membro della commissione ecclesiastica. Dopo la caduta della Repubblica fu catturato mentre si nascondeva nella casa della duchessa M. L. Granito, fu rinchiuso in Castel dell'Ovo e sottoposto a processo dalla giunta di Stato. A nulla valse la difesa sostenuta da F. Ricciardi, le cui linee possiamo leggere nel manoscritto Autodifesa di Bernardo Della Torre (forse una bozza delle argomentazioni che egli aveva preparato per il suo avvocato, e che insiste sulla violenza impostagli e da lui subita all'unico scopo di salvaguardare il suo popolo); condannato alla deportazione perpetua (25 ott. 1799), si rifugiò a Marsiglia, meta di molti esuli della reazione. Da lì il 1º ott. 1800 il D. indirizzò al nuovo pontefice Pio VII una lunga Lettera memoriale, sostenendo con sottili argomentazioni di tipo filosofico come il suo comportamento nel '99 fosse il più saggio da tenersi per sviare il corso minaccioso del torrente del "filosofismo d'oltralpe".
Dopo la ratifica della pace di Firenze del 1801 con cui si concedeva l'amnistia agli esuli napoletani, egli che pure avrebbe potuto rientrare a Napoli, preferì stabilirsi a Roma. Quando nel febbraio del 1806 i Francesi entrarono in Napoli, fu immediatamente invitato da Giuseppe Bonaparte a riprendere il suo posto alla guida della diocesi di Lettere. Nominato vicario di Napoli il 19 giugno 1806, per far le veci dell'arcivescovo card. L. Ruffo Scilla, dal quale fu poi a lungo osteggiato nell'esercizio delle sue facoltà, il D. diede vita ad una fattiva collaborazione col governo francese nel programma di riforme ecclesiastiche, che prevedevano, per quanto riguarda il clero regolare, la graduale soppressione degli Ordini religiosi, e per il clero secolare, la limitazione del numero delle ordinazioni sacerdotali, il miglioramento delle condizioni economiche del clero e il controllo dei seminari.
Nella vasta e difficile operazione di soppressione degli Ordini religiosi egli si mostrò prudente, efficiente e scrupoloso, specie nella compilazione degli inventari dei beni dei monasteri soppressi, per evitare sottrazioni e dispersioni del patrimonio artistico e librario, rivelandosi così non solo efficiente burocrate ma anche uomo di cultura, conoscitore ed estimatore dei valori artistici. Compiti di consulenza e responsabilità organizzative nelle questioni riguardanti il clero secolare furono parimenti affidate al D., che propose al sovrano le linee di una riforma della disciplina delle ordinazioni sacerdotali, che si concretizzò nel decreto del 30 nov. 1807. Con esso, oltre a stabilire nella proporzione massima del 5‰ rispetto alla popolazione il numero dei sacerdoti, si avviava un processo di statizzazione e laicizzazione della figura del prete, considerato come un funzionario dello Stato e da questo stipendiato.
Il Bonaparte, per assicurarsi un controllo anche sulla formazione del clero, programmò una riforma dei seminari e nominò una commissione per la scelta dei libri di testo da usarsi in tutte le scuole del Regno di cui fece parte il Della Torre. Dopo un lavoro di alcuni mesi, condotto sulla scorta dei Notamenti dei libri in uso nei seminari, questi approntò un elenco dei testi in cui appaiono chiaramente favoriti gli autori filogiansenisti, per quanto riguarda la teologia (Juénin, Simioli), e regalisti per le dottrine canoniche (Lupoli, Cavallari).
Anche il nuovo re, Gioacchino Murat, mostrò di apprezzare la paziente opera di mediazione tra Stato e Chiesa fino ad allora svolta dal D. e la sua disponibilità ad un graduale adattamento delle istituzioni ecclesiastiche alla nuova situazione politica e culturale. Egli mantenne dunque la posizione preminente tenuta durante il regno del Bonaparte e segnatamente assecondò in maniera decisa il programma di intervento diretto dello Stato nella formazione del clero. L'idea che il sovrano fosse responsabile dell'istruzione del clero come di quella di tutti gli altri sudditi e che quindi fosse suo precipuo dovere sovraintendere alla organizzazione degli studi ecclesiastici, parve al D. risolutiva dei mali e dei problemi che affliggevano la Chiesa.
Il D., che si dedicò esclusivamente ai due seminari di Napoli, quello urbano e quello diocesano, elaborò un Regolamento (28 sett. 1811), la cui adozione fu permessa dal re in via provvisoria, in attesa della progettata regolamentazione unica di tutti i seminari del Regno. Il Regolamento del D. esalta particolarmente il momento culturale della formazione del clero, con aperture verso le discipline laiche, e una volontà di ammodernare ed ampliare gli interessi dei seminaristi: furono infatti aumentate le ore dedicate alle discipline matematiche, fu introdotto lo studio della lingua italiana, finora esclusa dai programmi tradizionali, della storia, della geografia, del diritto naturale, particolare cura fu dedicata alla scelta del corpo insegnante, fra cui vanno ricordati i nomi di F. Rossi, I. Jennaco, S. Guarracino, e N. Ciampitti, rettore del seminario urbano. Egli si adoperò inoltre ad aumentare il numero delle piazze franche, favorì l'investimento produttivo dei capitali dei seminari e il recupero dei crediti; in breve riuscì a dare una spinta vigorosa alla ripresa degli studi e a far rifiorire rapidamente i seminari della capitale sia dal punto di vista intellettuale che economico.
Nel 1809 il D. fece anche parte, insieme con G. Capecelatro, con V. Cuoco e con M. Galdi della commissione di studio nominata dal Murat per elaborare un progetto di riforma di tutta l'istruzione pubblica, e le cui proposte confluirono nel Decreto organico per l'istruzione pubblica (29 nov. 1811), il cui aspetto più interessante, per quanto attiene al settore ecclesiastico, fu l'equiparazione anche giuridica dei seminari a tutti gli altri istituti d'istruzione del Regno.
Nel 1810, insieme con il Capecelatro, tradusse in italiano il catechismo in uso nelle chiese di Francia, elaborato sull'antico testo di Bossuet, sulla cui introduzione nel Napoletano, in sostituzione del testo del Bellarmino, egli aveva già dato parere favorevole nel 1808, nonostante esso fosse stato accusato di gallicanesimo.
Per quanto attiene all'introduzione del matrimonio civile e del divorzio nel Napoletano, conseguente alla promulgazione, nel gennaio 1809, del codice civile napoleonico, che rischiava di scatenare un conflitto d'autorità tra Stato e Chiesa, il D. riuscì ad evitare pericolose radicalizzazioni, proponendo, in alcune Istruzioni (febbraio 1809) che la celebrazione del matrimonio dinanzi all'ufficiale di stato civile fosse seguita, ed imposta dallo stesso ufficiale, dalla cerimonia religiosa dinanzi al parroco. Era questo un tentativo, interessante e forse anche rivoluzionario per un ecclesiastico, di conciliare la legge dello Stato con quella della Chiesa, ammettendone la pacifica coesistenza e distinguendo nettamente i settori di competenza. In effetti la conflittualità rimase aperta più nelle questioni di principio che nella prassi, grazie appunto al clima di saggia cautela che il D. aveva contribuito a creare, facendo della mediazione e del dialogo la sua linea di comportamento.
Il ritorno dell'arcivescovo L. Ruffo nella capitale, nel giugno del 1815, segnò per la Chiesa napoletana l'inizio della restaurazione e per il D. la scomparsa dalla scena politica. Il cardinale, prima ancora di rientrare in sede, nel marzo del 1815, nominò vicario interino il canonico G. Festinese, non tollerando come suo sostituto nemmeno per pochi mesi l'avversato vescovo, il quale si ritirò nella sua antica diocesi di Lettere. In seguito, dopo che il concordato del 1818 riunì Lettere e Gragnano alla diocesi di Castellammare, il D. il 21 dic. 1818 fu nominato vescovo di questa. Si dedicò esclusivamente all'esercizio del suo ministero, agli studi e al progetto di un grandioso seminario per quella cittadina. Indebolito da tre colpi apoplettici nel giro di un solo anno, morì il 28 maggio 1820 a Castellammare, legando per testamento i suoi scarsi beni alla costruzione del seminario.
Le opere di maggior rilievo, oltre a quelle già citate, sono: Orazione di rendimento di grazie al Re per lo stabilimento della Reale Accademia di scienze e belle lettere, Napoli 1778; Orazione in morte di Maria Teresa d'Austria, ibid. 1781, Orazione inaugurale recitata nell'Accademia teologica stabilita da S. Filangieri, ibid. 1782; Lettera di Critobulo a Filatete, s. l. s. d. [ma ibid. 1783]; Opera sacra sulla vita di Lorenzo da Brindisi, ibid. 1802; Relazione primasulla eruzione del Vesuvio degli 11 ag. fino ai 18sett.,ibid. 1804, Ragionamento sull'esistenza di Dio, ibid. 1812; Il Cristianesimo ristabilito, ibid. 1816; Breve istruzione da farsi nelle cappelle rurali dal sacerdote...,ibid. 1818; La verità della religione cristiana con facile metodo dimostrata, ibid. 1821.
Fonti e Bibl.: Nella Bibl. della Società napoletana di storia patria sono conservati alcuni manoscritti inediti: una Biografia del D., in Misc. XXIX, a I, pp. 113-19rv; una Autodifesa di Bernardo Della Torre, ibid., pp. 206-12rv; una Letteramemoriale, ibid., pp. 215-241; un ricco Epistolario, in pagine sparse. Notizie sulla sua attività negli affari eccles., nei fondi del Ministero Ecclesiastico, s. Registri correnti ed Espedienti di Consiglio dell'Arch. di Stato di Napoli; e nel fondo Vicari generali dell'Arch. storico diocesano di Napoli. Cfr. inoltre, M. Gatti, Orazione funebre di mons. B. D. recitata il 31 maggio 1820, s. l. né d.; G. Arcucci, Elogio funebre di mons. B. D. vescovo di Castellammare recitato nella chiesa parrocchiale di S. Mariain Cosmedin il 10 giugno 1820, Napoli 1820; R. Liberatore, Prose e versi in memoria di M. L. GranitoRicciardi, contessa di Camaldoli, Napoli 1833, pp. 14-18; P. T. Milante, Della città di Stabia, della Chiesa, stabiana ede' suoi vescovi, Napoli 1836, pp. 167-74; C. Minieri Riccio, Mem. stor. degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, p. 356; A. Sansone, Gli avvenimenti del 1799nelle Due Sicilie, Nuovi documenti, Palermo 1901, pp. 204, 259; I. Rinieri, Della rovina di una monarchia. Relazioni istoriche tra Pio VI e la corte diNapoli (1776-1799), Torino 1901, pp.516 s.; P. Hizard, La Révolution française et les lettres italiennes, Paris 1910, p. 104 e n.; J. Rambaud, Naples sous Joseph Bonaparte, Paris 1911, p.503; Id., Lettres inédites ou éparses de J. Bonaparte à Napoléon (1806-1808), Paris 1911, pp. 80 s.; B. Croce, Uomini e cose della vecchia Italia, Bari 1927, pp. 42, 153; A. Latreilie, Napoléon et le Saint-Siège (1801-1808), L'ambassade du card. Fesch àRome, Paris 1935, p. 499; B. Croce, Due libri introvabili del vesc. Gamboni, in La Critica, XXXVI (1938), ora in Aneddotti di varia lett., Bari 1954, II, pp. 312, 336; E. Codignola, Carteggi di giansenisti liguri, Firenze 1942, III, p. 474; D. Ambrasi, Per una storia del giansenismo napoletano, Giuseppe e Gennaro Cestari, Napoli 1954, p. 40; J.-P. Garnier, Murat roi de Naples, Paris 1959, pp. 35 s.; D. Ambrasi, Note di carteggio tra G. Cestari, S. de' Ricci e G. Gianni. Contributo allo studio delgiansenismo napoletano, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XIX (1965), p. 479; A.Valente, Gioacchino Murat e l'Italia meridionale, Torino 1965, p. 49; D. Ambrasi, Il teologo contrizionistaD. N. Cirillo (Un giansenista tra gli eroi del clerodi Napoli?), in Asprenas, XIII (1966), pp. 99, 196; P.Colletta, Storia del Reame di Napoli, a cura di N. Cortese, Napoli 1969,II, p. 88; F. Scaduto, Stato e Chiesa nelle Due Sicilie, Palermo 1969,I, p. 64; E. Chiosi, Le pastorali degli arcivescovi di Napoli nel sec. XIX, in Ricerche di storiasociale e religiosa, I (1972), 2, p. 230;M. Miele, Ricerche sulla soppressione dei religiosi nel Regnodi Napoli (1806-1815), in Campania sacra, IV (1973), p. 27; M. A.Tallarico, Il vesc. B. D. e irapporti Stato-Chiesa nel Decennio francese a Napoli, in Annuario dell'Ist. storico ital. per l'età moderna e contemp., XXXVII-XXVIII (1978), pp. 127-340; Id., La tutela del patrimonio artistico e librario delle congregazioni religiose soppresse a Napoli durante la dominazione francese, in Atti dell'Accademia di scienze morali e politiche, LXXXIX (1978), pp. 246 s.