Bernardo di Chiaravalle, santo
Nacque tra l'aprile e l'agosto del 1090, di nobile famiglia borgognona, terzo figlio di Tessellino le Saur, signore di Fontaine (non lontano da Digione) e di Alita di Montbard.
Destinato sin dalla nascita alla vita ecclesiastica, la sua prima educazione si svolse in famiglia in un'atmosfera di viva pietà. Prestissimo, sui cinque anni, fu affidato ai canonici regolari di Saint-Vorles di Chatillon, affinché lo istruissero. Preso dall'aspirazione di una più intensa vita spirituale e, insieme, di una più completa preparazione culturale, B. pensò di recarsi in Germania, forse a Colonia, ma lo attrasse irresistibilmente la nuova forma di vita monastica che aveva preso corpo, non lontano dalla sua casa paterna, a Cîteaux.
All'inizio dell'autunno 1111 fece conoscere questa sua decisione ai suoi parenti (la madre era già morta nel 1103), e riuscì a superare ogni opposizione, anzi poté indurre altri suoi quattro fratelli a seguirlo tra le mura del chiostro, svolgendo un'attiva opera di persuasione fra parenti e amici. Alla fine, con B. erano una trentina le persone che si presentarono a Cîteaux, per chiedere d'indossarvi l'abito monastico nell'aprile del 1112. Va ricordato che il monachesimo cisterciense prima di B. era progredito assai lentamente, nonostante l'opera di Alberico, successore del promotore della riforma Roberto di Molesmes, e del terzo abate, Stefano Harding, che, per molti aspetti specialmente istituzionali, può davvero dirsi il secondo fondatore di Cîteaux; a questi non sfuggì certo il valore spirituale e umano di B., e non solo pel fatto che di colpo gli aveva notevolmente accresciuto il numero dei suoi monaci.
Solo un anno dopo la professione monastica B., verso la metà di giugno del 1115, riceveva l'incarico, dall'abate Stefano Harding, di fondare una nuova abbazia, e con dodici monaci, come sarà consuetudine cisterciense, si mosse a cercar la sede: la trovò nella Valle dell'assenzio (detta così dalle erbe che vi crescevano), chiamata poi, auguralmente, Clairvaux (Chiaravalle), il 25 giugno 1115.
Nonostante l'infaticabile attività di B., i primi tempi della nuova abbazia non furono facili per l'indifferenza dei signori locali, e B., per trovare appoggio nella gerarchia ecclesiastica, in seguito all'assenza del vescovo, nella diocesi di Langres, da cui dipendeva, si rivolse al vescovo di Châlons-sur-Marne, il famoso Guglielmo di Champeaux, pensatore insigne, uomo d'alta spiritualità, fondatore dei canonici vittorini. Da questi ebbe la benedizione abbaziale e, indubbiamente, consigli pratici e indicazioni culturali di grande valore, iniziandosi così un'amicizia profonda, rinsaldata da grande stima reciproca.
Ritornato a Cîteaux, B., spossato dalle fatiche per l'erezione del nuovo monastero, dalle penitenze e dalla cattiva nutrizione, conseguente alla povertà, fu colpito da grave malattia. Di nuovo l'aiutò Guglielmo di Champeaux, che si recò ancora a Cîteaux, al capitolo del 1116, per prospettare le difficoltà nelle quali si trovavano a vivere B. e i suoi confratelli. Dal capitolo partì allora l'invito a moderare la severità ascetica del loro modo di vivere e fu mandato qualche aiuto mentre altri ne inviarono lo stesso Guglielmo e un buon numero di benefattori, ricordati con affettuosa gratitudine dai biografi del santo. La vita esemplare di Cîteaux attirò in breve tempo tanti monaci, che nel 1118 Clairvaux poté fondare a sua volta un'altra abbazia, quella delle Tres-Fontaines. Non poté, tuttavia, pensare B. alla sua istituzione, perché costretto a letto da grave malattia - si pensa a un'ulcera gastrica - e poi obbligato a vivere in completa solitudine, affidando a persona di sua fiducia il governo del monastero.
Nulla ormai poteva arrestare lo sviluppo di Clairvaux, che, nonostante altri periodi di malattia di B. e delle crisi economiche, riuscì a dare monaci per altre fondazioni nel 1119 (Fontenay), nel 1121 (Foigny), opera personale di B., che si acquistava intanto larga fama anche per la sua santità e per alcuni miracoli, che gli vennero attribuiti sin dal 1123.
Raggiunta, ormai, una salda stabilità Clairvaux, in piena espansione l'ordine tutto cisterciense, il santo cominciò a intervenire attivamente nella vita del suo tempo in difesa degl'ideali di austera vita per la Chiesa contro ogni prepotenza delle autorità laiche, e di rigoroso ascetismo per gli ordini monastici.
L'inizio di questa partecipazione alla vita della Cristianità, che doveva fare di B. un vero e proprio segno di contraddizione nel suo tempo, fu semplice e spontaneo; da una parte nel 1125 egli sentì di dover intervenire presso il vescovo Eble di Châlons-sur-Marne perché provvedesse alla nomina di un degno prevosto alla chiesa di Tutti i Santi appunto a Châlons; poco dopo, nel 1126, intervenne presso il papa Onorio perché, sempre a Châlons, venisse nominato un santo e colto vescovo. A lui si rivolgono - e ne vengono rapporti di profonda amicizia - personaggi di primo piano. Tra questi soprattutto il cardinale diacono Aimerico, cancelliere di Santa Romana Chiesa, al quale intorno al 1126 B. dedica una delle sue opere più importanti, il De Diligendo Deo. Nel 1128 interviene al concilio di Troyes (13 gennaio), ove fa da segretario e ispira la formazione della Militia Templi, i cosiddetti Templari, per combattere gl'infedeli in Terra Santa, scrivendo, per esaltarne lo spirito, il De Laudibus novae militiae. Moltiplica poi la sua attività a favore di Molesmes, chiedendo l'appoggio dell'arcivescovo di Sens, Enrico, al quale dedica anche una sua opera, De Moribus et officiis episcoporum, rallegrandosi del fatto che si è rivolto a una più intensa e profonda vita religiosa. Si manifestano così in questi anni i motivi ispiratori della personalità e dell'azione di B.: appoggiare il Papato nella sua volontà d'azione e di riforma della Chiesa, nelle più alte cariche della gerarchia, come nelle più umili incombenze, sotto l'ispirazione di una profonda esigenza di fede cristiana intimamente vissuta. In questo senso, com'è stato più volte notato dagli studiosi, B. riprende i motivi più operanti e vivi della riforma della Chiesa, sforzandosi di renderli validi, nell'articolazione variata dei doveri e delle incombenze, per tutti i fedeli. Questa attività non mancò di suscitare ben presto opposizioni e contrasti senza che per questo B. si lasciasse intimidire, come mostrano, per indicare due esempi assai significativi, la lettera 48 al cardinale Aimerico (in Migne, Patr. Lat. 182, coll. 154-157) e la successiva 49 allo stesso papa Onorio II (ibid., coll. 157-158), nonché i suoi interventi ancora presso il pontefice a favore dell'arcivescovo Enrico contro il re di Francia, Luigi VI. B. divenne però un personaggio di rilievo a portata europea al momento dello scisma di Anacleto Il. Il contrasto era maturato in seno al collegio cardinalizio tra coloro che, facendo capo al cancelliere Aimerico, volevano un pontefice di levatura superiore e libero da legami col mondo romano, e gli altri che, invece, intorno all'altro cardinale Pietro Pierleoni, rimanevano fedeli a un papato stretto alle grandi famiglie dell'Urbe e memore degl'interessi e problemi locali: si venne così a una doppia elezione, quella del candidato di Aimerico, Innocenzo II, e quella dello stesso cardinale Pierleoni, che assunse il nome di Anacleto Il. Di fronte a questo scisma B. si gettò con tutte le sue forze a combattere colui che egli riteneva antipapa, Anacleto II, dispiegando un'energia insonne e instancabile. Da una parte interviene a Etampes nel concilio (fine dell'estate 1130) che deve decidere, in Francia, a quale pontefice obbedire, riuscendo a convincere il re della validità di Innocenzo Il; indirettamente, pel tramite del suo grande amico Norberto di Magdeburgo, influisce sulle decisioni dei principi e del clero tedesco, riuniti nella dieta di Würzburg, ottenendo che anche la Germania obbedisca a Innocenzo. Quando il papa verrà in Francia (ottobre 1130) B. lo aiuterà e sosterrà con tutte le sue forze; parteciperà al concilio di Clermont, che condannerà e scomunicherà Anacleto Il; favorirà un incontro fra il papa e il re di Francia; infine riuscirà a vincere le perplessità e le esitazioni del re d'Inghilterra Enrico I, ottenendo che aderisca a Innocenzo II. Mentre per circa un anno accompagna il pontefice da una parte all'altra della Francia, difendendone con accanimento appassionato la causa contro dissidenti o riluttanti, come fu il caso di Guglielmo X, conte di Poitiers, non mancava certo di occuparsi della sua Clairvaux e dell'ordine cisterciense: nel 1131, nel Nord della Francia, per sua esortazione una trentina di giovani delle più nobili famiglie di quelle regioni si fecero monaci cisterciensi.
Proprio durante queste vicende B. faceva varcare ai suoi confratelli le Alpi: una serie di fondazioni, a cominciare da Tiglieto nelle Alpi Liguri, mostra la diffusione e la penetrazione, ora diretta, ora indiretta, dell'opera del grande monaco. È un succedersi di nuove abbazie dalla Liguria al Piemonte. Si tratta non solo di un fatto di grande importanza nella storia monastica italiana, ma, per il consenso e il plauso delle popolazioni, che tali fondazioni vollero, si ha anche come un atto d'omaggio a B., indicando come egli avesse acquistato un ascendente eccezionale anche in Italia, bloccando, così, ogni speranza d'espansione dell'autorità di Anacleto II e assicurando un largo appoggio a Innocenzo II. Del resto l'ascendente del santo non si limitò al piano religioso, se fece da arbitro fra Pisa e Genova per i loro contrasti politici (febbraio-marzo 1133), riuscendo anche a ottenere l'appoggio contro Anacleto II e il suo più forte sostenitore sul piano temporale, Ruggero II, che proprio in quegli anni aveva ottenuto il titolo di re di Sicilia dall'antipapa.
B., col papa, giunge a Roma, di cui rimane deluso e scandalizzato, tanto più quando apprende che, nonostante promesse e impegni, eran ripresi contrasti e tumulti contro Innocenzo II, costretto perciò a lasciare la città.
Ritornò allora in Francia, passando nell'inverno del 1135 in Germania, ove partecipò alla dieta di Bamberga, ottenendo che, ritornata la pace tra i principi tedeschi in lotta, l'imperatore Lotario III potesse accorrere in Italia per aiutare Innocenzo II contro l'antipapa. Anche B. si reca in Italia a sostenere, come abbiamo già accennato, le parti del pontefice legittimo in varie città, ma, tardando Lotario a venire, rientra in Francia, ove infaticabilmente attende alla composizione delle sue opere e cura il progresso dell'ordine cisterciense, accrescendone le fondazioni e attirando nel suo seno alcuni fra gli uomini migliori del suo tempo, come l'amico Guglielmo, mistico e filosofo, fino allora abate a Saint-Thierry.
Chiamato in Italia dal papa nel febbraio del 1137, anche per l'imminenza della venuta di Lotario III con il suo esercito, ebbe la soddisfazione di vedere sgominate le forze dell'antipapa, mentre l'affermarsi di una prima fondazione cisterciense a Fossanova gli dava la gioia di vedere l'espansione del suo movimento, anche nel Mezzogiorno d'Italia. Non riuscì, invece, a realizzare la pace con Ruggero II, che, nonostante molte difficoltà, rimase fedele ad Anacleto Il; ottenne invece che uno dei più accaniti fautori dell'antipapa, il cardinale Pietro da Pisa, ritornasse all'obbedienza del pontefice. Dopo poco, però, alla fine di maggio del 1138, B. otteneva che il successore di Anacleto, l'antipapa Vittore IV, mettesse fine allo scisma.
Se bisogna rinunciare a fornire delle indicazioni anche sommarie sui numerosissimi interventi di B. nella vita della Chiesa, per escludere da un beneficio o da una diocesi un candidato indegno, per appoggiare, invece, uno meritevole, per colpire un prelato, un monaco, un vescovo o un abate colpevole, va ricordato, per la sua importanza di eccezionale rilievo, il contrasto fra B. e Abelardo. Si tratta, in apparenza, di un conflitto di idee e di culture: B., monaco e mistico, rimaneva legato a quella forma d'insegnamento teologico che è stata assai bene chiamata teologia monastica: la dottrina veniva emergendo dalla meditazione e dallo studio della Bibbia con l'aiuto delle interpretazioni allegoriche; operava, in questo metodo di studio, la grande tradizione esegetica dell'Alto Medioevo da Gregorio Magno in poi, grazie anche all'appoggio delle auctoritates dei grandi maestri. Questa forma di teologia, viva e consueta specialmente nei grandi monasteri, era vivacemente attaccata nelle scuole vescovili, ove si veniva affermando un altro metodo di studio, quello ‛ della quaestio ', della trattazione, cioè, che prescindendo da un immediato e preciso rapporto col testo biblico, discuteva proprio, invece, i contrasti fra le auctoritates dei grandi teologi e maestri, ricavando dalla discussione di questi pareri gli elementi dell'impostazione della propria tesi. Questo metodo squisitamente dialettico aveva trovato appunto un maestro di eccezionale bravura e di altissimo ingegno in Abelardo, mentre B., come s'è già ricordato, rimaneva legato alla precedente cultura teologica. Gli fornì una ragione d'intervenire una richiesta di Guglielmo di Saint-Thierry, nel marzo 1140, che denunziava a lui e a Goffredo, vescovo di Chartres (altro grande amico del santo), gli errori di Abelardo a Parigi, e lo pregava d'intervenire.
B., che pure alla Pasqua del 1140 s'era recato in quella università, esitò prima di gettarsi nella mischia, anche per la giusta consapevolezza che il problema dovesse essere di pertinenza dei vescovi; poi, messo in crisi da chi gli faceva rilevare il male che, alle coscienze soprattutto dei giovani, avrebbe causato l'insegnamento di Abelardo, attaccò duramente il maestro parigino, e gettandogli contro tutto il peso della sua autorità riuscì a ottenerne la condanna al concilio di Sens (2 giugno 1140), e agì, personalmente e con una febbrile corrispondenza, per togliere ogni appoggio al suo avversario, che, abbandonato da tutti, trovò rifugio a Cluny, presso la grande, equilibrata anima di Pietro il Venerabile. Tutto l'accanimento del santo si riversò allora su colui che più sembrò continuare lo spirito e l'insegnamento di Abelardo, Arnaldo da Brescia, che egli perseguì, senza tregua, con lettere di fuoco. Contemporaneamente B. viveva intensamente le vicende della Chiesa in Francia e in Inghilterra, ponendo la sua autorità al servizio di quello che riteneva il suo obbligo di coscienza: finì con l'attirarsi l'ira di Luigi VII e il rimprovero di quello stesso Innocenzo II per cui tanto s'era battuto. Ma nulla lo fermò, convinto com'era di non potersi sottrarre al suo dovere. Parimenti, quando nel settembre del 1143 egli apprese che all'importantissima sede arcivescovile di York era stata proposta una persona, sulla cui idoneità aveva dei dubbi, intervenne duramente, iniziando una lotta che tra alterne vicende doveva durare degli anni.
Mentre attendeva alla sua opera di maggiore impegno, i Sermones super Cantica Canticorum, gli giunse da Evervino, prevosto di una casa di canonici a Steinfeld, presso Colonia, la notizia che delle nuove eresie serpeggiavano tra i fedeli, e l'invito a confutarle. Stava scrivendo appunto per contentare questo pressante desiderio, quando un'altra lettera, da parte, questa volta, del conte Idelfonso di Tolosa, lo informa del male che nella sua città vanno provocando altri eretici e lo invita a intervenire personalmente. B. non si fa pregare e alla fine della primavera del 1145 organizza con i suoi amici, il cardinale Alberico di Ostia e il vescovo Goffredo di Chartres, una vera e propria spedizione missionaria, che gioverà soprattutto a porre in evidenza i danni che causava questa eresia fra le anime, e l'ampiezza della sua penetrazione. Il santo si prodigò in predicazioni ed esortazioni a Bordeaux, a Tolosa, a Verfeuil, ma non mancarono amarezze e delusioni. Alla fine del 1145 s'era in lui insinuata una qualche stanchezza, se al papa Eugenio III esprimeva il desiderio di non uscir più dalla sua Clairvaux. Il pontefice, però, ora, era proprio un monaco cisterciense, devoto a B., del cui consiglio sentiva bisogno più che mai: proprio all'inizio del nuovo anno aveva dovuto lasciar Roma, sconvolta dalle lotte cittadine che dovevano costituirla in comune e agitata dalla predicazione di Arnaldo da Brescia, e s'era recato in Francia. Era preoccupato, oltre che delle vicende italiane, anche della grave sconfitta che i cristiani avevano subito in Terra Santa con la perdita di Edessa. A Vézelay, allora, s'incontrarono il papa, il re di Francia e Bernardo. Questi, che già più volte aveva rivolto la sua attenzione alla Terra Santa, predicò la crociata con successo travolgente, passando poi in Germania, ove numerosi principi e, dopo molte esitazioni, lo stesso imperatore, presero la Croce. In questo momento il santo è senza dubbio la personalità centrale della vita politica e spirituale europea; interviene in ogni e qualsiasi vicenda. Si sforzò d'impedire le persecuzioni contro gli Ebrei in Romania; ebbe parte nella discussione e nella condanna del filosofo Gilberto Porretano; esercitò, spesso con durezza, una funzione di alto tutore della vita e degl'interessi della Chiesa; infine, negli ultimi anni della sua vita, volle indirizzare al suo discepolo e amico, il papa Eugenio III, un vero e proprio profilo ideale del sommo pontefice in tutti i suoi rapporti con la realtà politica e umana del suo tempo: è il famoso De Consideratione.
La crociata, però, aveva avuto una triste fine, anche per le discordie tra i capi: venne perciò prospettata una nuova spedizione di cui B. avrebbe dovuto essere addirittura il capo; ma, dopo qualche tentativo, si finirà col rinunciare a questo progetto, anche per la morte di uno dei sostenitori, Sugero di Saint-Denis, potente collaboratore del re di Francia. Se il monachesimo cisterciense continuava la sua ascesa e la sua diffusione (Clairvaux era giunta alla sua sessantottesima filiazione nel 1153 alla morte del suo fondatore), se la fama del santo era universale e grandissima, sebbene spesso duramente e chiaramente contrastata da chi considerava inframettenza la sua azione di tutela della Chiesa, se le sue opere erano richieste, diffuse e lette con fervida attenzione, gli ultimi anni di B. furono rattristati dalla morte dei suoi parenti e amici più cari, dall'insuccesso della ‛ sua ' crociata, rinfacciatogli da molti, e infine dalla consapevolezza, sempre più chiara e precisa, della trasformazione del suo mondo nelle direzioni e negli indirizzi che in gran parte aveva avversato. Morì a Clairvaux il 20 agosto 1153.
A questa attività così febbrile d'intervento nella società politica e religiosa del suo tempo corrispose una non meno incessante opera di scrittore. Senza tener conto del gran numero di lettere - alcune sono lunghe come veri e propri trattati - e delle prediche sparse, sempre impegnate e intense, bisognerà ricordare la sua prima opera, De Gradibus humilitatis, scritta nel 1124, l'Apologia, il De Diligendo Deo, la sua opera più importante di teologia mistica a cui dedicò molti anni, il De Gratia et libero arbitrio (prima del 1128), il De Laudibus novae militiae (1128-1136), assai interessante anche per la concezione di un cristianesimo attivo e battagliero, caratteristico dello spirito di B., gli ottantasei Sermones super cantica Canticorum redatti nel giro di un lungo numero di anni tra il 1135 e gli ultimi anni della sua vita, condensandovi tutta l'esperienza umana e spirituale dei suoi anni più maturi di fronte ai più vari problemi del suo tempo, dall'inquietudine monastica all'eresia, e infine il De Consideratione, la grande meditazione sulla dignità e la responsabilità del pontefice di fronte ai problemi e agli uomini, coi quali egli dovrà trattare, dal più umile fedele al più alto prelato, agli uomini addetti agli uffici della sua Curia. Dal complesso di queste opere emerge una realtà umana di drammatica intensità, presente ai problemi del mondo per il dovere inevitabile d'indirizzarlo ai fini che Dio e la sua Chiesa gli hanno indicato, ma da quello completamente lontano nel cuore. All'ardore della polemica, alla tagliente forza del rimprovero, di cui son così spesso piene le sue lettere, corrisponde un'intensità impressionante di vita interiore, un distacco dai valori terreni completo e senza rimpianti. Questa constatazione più volte fatta da studiosi e da storici di personalità mistiche - sia consentito ricordare Aldous Huxley ed Henri Bergson - ci fa comprendere come la spiritualità di B. riesca a muoversi in un'atmosfera del tutto lontana da ogni influenza di realtà contingenti, fuori cioè di circostanze di tempo e di spazio.
La constatazione iniziale del santo è quella della condizione umana, peccaminosa e desolata, che può solo ispirarci un senso di umiltà profonda e totale; ne nasce la carità, come amore verso gli altri uomini, tutti accomunati nel peccato, e come riconoscenza verso Dio, che con Cristo ha trovato il modo di trarci dall'abisso della nostra colpa. Da questo abisso possiamo venir fuori solo se la nostra volontà riuscirà, con l'aiuto della grazia, a realizzare la sua libertà, attraverso tre momenti ascensionali, che la portano sempre più vicino a Dio: la libertà dalla necessità, cioè la possibilità di scegliere tra bene e male; la libertà dal peccato, come capacità di vincere, mediante la penitenza e l'ascesi, il male; e infine, preludio alle gioie del Paradiso, la libertà dalla miseria, per cui l'uomo unendosi a Dio nella vita mistica viene come liberato dall'infelicità connessa alla condizione umana. Questo processo di avvicinamento e di unione a Dio è possibile solo perché tra la creatura umana e l'essenza divina scocca appunto questa forza unificatrice che è l'amore, di cui Gesù Cristo è l'espressione. Questi, che era divenuto inaccessibile dopo il peccato d'Adamo, è di nuovo raggiungibile, appunto e proprio per un atto d'amore. Dopo la sua passione, la sua morte e la sua ascensione, la liturgia della Chiesa continuamente ne ripete e ne rinnova la memoria preparandosi all'incontro che tutti gli uomini avranno con lui al suo secondo ritorno.
Dal significato centrale che la figura di Cristo ha nella Chiesa e la vita cristiana viene poi l'importanza che B. dà alla Madonna. Anche se, come è stato giustamente ricordato da Jean Leclercq (Histoire de la spiritualité chrétienne, II 248) non bisogna esagerare " a proposito della devozione di B. verso la Vergine " perché " non ha parlato di Lei né più spesso e più a lungo di altri scrittori del suo tempo né con una precisione e un rigore dottrinale più grande ", rimane il fatto che la figura di Maria ha, nella spiritualità di B., una sua presenza caratteristicamente viva e calzante nell'ambito delle sue idee: quel processo di ascesa dall'umiltà all'esaltazione suprema è stato da lei trionfalmente percorso nell'altezza della maternità divina, come nella debolezza della sua realtà umana, esempio e speranza per tutti, avvocata e protettrice, come colei che dell'umanità conosce e comprende tutti i limiti e tutta l'inevitabile fragilità.
Diremo allora che, senza profondamente innovare, B. seppe dare alla devozione per la Vergine un'intimità e ricchezza espressiva, che ebbe larga eco e fu ripresa e diffusa specialmente dai maestri francescani di teologia del secolo XIII.
L'influenza di B. su D. - va detto con molta chiarezza - non è certo di natura dottrinale o, in genere, culturale, e affiora soltanto nei canti del Paradiso dal XXXI al XXXIII, mentre la citazione del De Consideratione nell'epistola a Cangrande (Ep XIII 28) va considerata come un problema a sé e comunque, anche a considerare autentica l'epistola, ci riporta sempre agli ultimi anni di vita di Dante. Egli, infatti, non nomina mai B. nella sua opera prima dei canti su ricordati né, a quanto sembra, ne cita mai, neppure tacitamente, qualche passo. Sorge allora il problema del come e perché abbia scelto lui, come guida per la mistica rosa e per la visione dell'Empireo. È opportuno ricordare in proposito un'osservazione di É. Gilson (D. et la philosophie, pp. 278-279), per cui D. in un ordine dato sceglie " sempre colui che comanda in quest'ordine, come Virgilio in poesia, Tolomeo in astronomia, Aristotele in filosofia, s. Domenico in teologia, s. Francesco in teologia affettiva e s. Bernardo in teologia mistica ". Se questa osservazione è, come ci sembra, giusta, ne viene che il santo è scelto dunque da D. come l'espressione più alta della teologia mistica, più che, come spesso si dice, per l'influenza della sua teologia mariale, che lo rendeva quindi colui che meglio era pronto a elevare alla Vergine la ben nota preghiera. Il santo è, infatti, colui che dovrà, al posto di Beatrice, far da guida a D. nell'ultima tappa del viaggio, nel momento suo più alto e conclusivo, quello della visione intuitiva di Dio; è questo poi il terzo grado dell'ascensione conoscitiva e spirituale di D. e insieme dell'uomo. Al momento razionale-filosofico in cui è stato guida Virgilio, è succeduto quello teologico, ove è stata guida Beatrice; infine B. accompagna D. nel grado intuitivo e mistico, che porta all'unione con Dio.
Donde D. ha però tratto la conoscenza del grande monaco e della sua importanza appunto per la teologia mistica? Ci vengono immediate due indicazioni dall'ambito generale della cultura dantesca. È prima di tutto la filosofia e la teologia francescana, che conosce e utilizza le opere del santo cisterciense - è stato notato che s. Bonaventura, ad esempio, lo cita spessissimo - e ne riprende e ne sviluppa il misticismo, mentre è pochissimo ricordato nelle opere di s. Tommaso d'Aquino e della scuola domenicana (cfr. J. Chatillon, L'influence de saint Bernard sur la pensée scolastique au XIIe et au XIIIe siècle, in S. Bernard théologien, pp. 281-284). Inoltre B. viene considerato come il culmine della sapienza e spiritualità monastica nell'opera di Gioacchino da Fiore: la terza età, quella dello Spirito, infatti, che vedrà la sua ‛ initiatio ' con s. Benedetto, avrà, secondo il monaco calabrese, la sua grande figura appunto in B., che viene considerato l'unica personalità davvero di rilievo nel secolo XII (Abbatis Ioachim Liber Concordiae novi et veteris testamenti, IV, 38, Venezia 1519, ff. 58 c. - 59 a, che è tutto uno splendido elogio del santo). Nell'ambito di questo apprezzamento altissimo del grande mistico e della funzione svolta nell'ambito della vita della Chiesa è poi emerso anche il significato e il valore mariologico di Bernardo.
In questo piano - vale la pena notarlo - è anche Pietro, che proprio in relazione all'abbandono di Beatrice all'apparire del santo osserva: " Figura est, quod per theologiam Deum videre et cognoscere non possumus, sed per gratiam et contemplationem. Ideo mediante sancto Bernardo, idest contemplatione, impetratur a Virgine gratia videndi talia, quae per scripturas percipi non possunt " (cfr. É. Gilson, D. e la philosophie, p. 237).
Come già era accaduto con Virgilio e Beatrice, D. si trova B. accanto d'improvviso. Era infatti intento a vedere La forma general di paradiso (Pd XXXI 52), quando si volge per domandar la mia donna di cose / di che la mente mia era sospesa (vv. 56-57). Ma si trova accanto un vecchio vestito con le genti glorïose (v. 60) in atto di lieta paterna benevolenza. Una rapida domanda, e sa che Beatrice ha trovato il suo posto nella rosa celeste, mandando lui, il vecchio, a prenderne il posto. Non v'è però nessun rimpianto, perché sorge, dal cuore del poeta, un inno di gratitudine commossa alla donna che l'aveva salvato e che con il suo intervento l'aveva fatto giungere al Paradiso. Poi, prima ancora che D. lo chieda, viene l'invito di B. a percorrere con lo sguardo le schiere dei beati sì da prepararlo a quella visione di Dio, che il santo spera di ottenere dalla regina del cielo alla quale ha fiducia di rivolgersi perché era il suo fedel Bernardo (vv. 100-102). A queste parole, pur nello splendore del Paradiso, D. è preso da un tale senso di commosso e ammirato stupore che non esita a paragonare il suo stato d'animo a quello addirittura di chi da lontanissimi paesi (di Croazia, da intendere nel senso di una distanza perdutamente sconfinata) viene a Roma a veder la Veronica (vv. 103-104), la vera immagine del Signore, come si credeva nel sec. XIII, e non si sazia mai di contemplare il volto di Gesù. E un attimo anche di umano desiderio di vedere e di conoscere; e allora colui che era stato maestro di vita contemplativa e che di quell'esperienza indicibile aveva conosciuto le altezze supreme, lo esorta a non guardar lui qua giù al fondo (v. 114), ma a sollevare lo sguardo via via fino a veder la Madonna in tutta la sua bellezza. B. guarda per primo anch'egli e con un tale ardore, da accender ancor più l'anima di Dante.
Poi B. inizia il suo compito vero e proprio di guida, con affettuosa benevolenza, e sempre senza esserne richiesto (come aveva già fatto un altro contemplativo, s. Benedetto), mostrandogli nella candida rosa coloro che Gesù Cristo ha redenti, e dell'Antico e del Nuovo Testamento, distribuiti in perfetta simmetria. Nello spiegare questa distribuzione dei beati così sapientemente ordinata, il santo aggiunge, sempre con una spontaneità affettuosa, tutti i chiarimenti ai dubbi che si levano nell'animo di D., come quello del motivo per cui i bambini morti prima dell'età di ragione possano avere un diverso grado di beatitudine; lo invita infine a rivolgere lo sguardo nel volto che più somiglia a Cristo, quello di Maria, che unico e solo può prepararlo, nel suo incomparabile splendore, alla visione di Cristo stesso. Si leva un'inebriante melodia intonata da un angelo, ripresa da tutta la beata corte (XXXII 98): e B. ancora, rispondendo a D., gli spiega che è l'angelo Gabriele, colui che a Maria annunciò la sua divina maternità; continua poi a mostrargli altre anime; lo avverte infine che è il momento di rivolgere li occhi al primo amore (v. 142), di elevare cioè lo sguardo a Dio, con l'aiuto dell'unica che può ottenere una grazia tale: la Vergine Maria. E inizia la preghiera: Vergine Madre, figlia del tuo figlio (XXXIII 1-39).
Sarà, in proposito, opportuno precisare che anche se gli studiosi hanno potuto stabilire dei confronti con passi di B., la preghiera nel suo andamento, negli elementi che la costituiscono, è tutta dantesca e sorta da una lirica ripresa e sintesi di motivi mariologici di diversa origine e provenienza, teologica, liturgica e sermonale, piuttosto che dalla conoscenza specifica e precisa dell'opera, anche solo relativa alla Madonna, di Bernardo. Il santo mistico compie, dopo la preghiera, il suo ultimo ufficio: invita D. alla visione unitiva di Dio. A questo punto tutto scompare, anche B., mentre D. raggiunge il culmine supremo della conoscenza intuitiva in cui l'anima, senza perdere la sua individualità, attinge l'infinità di Dio.
Come abbiamo già accennato, un'opera di B. è citata solo in Ep XIII 80: è la lettera a Cangrande, ove, commentando i versi nostro intelletto si profonda tanto, / che dietro la memoria non può ire (Pd I 8-9), viene citato a conferma con altri grandi maestri appunto B. (legant Bernardum in libro De Consideratione), alludendo al De Consideratione, V, capp. 13-14, dedicati appunto alla meditazione dell'essenza divina. Senza entrare nel merito dell'autenticità della lettera a Cangrande, ci sia consentito di sottolineare solo il fatto che la citazione assai vaga non attesta davvero una conoscenza dell'opera di Bernardo. Sarà anzi, concludendo, opportuno ricordare una circostanza davvero significativa: nessuna delle severe, ma vivacissime pagine che il De Consideratione dedica alla corruzione del clero, alle colpe della Curia e alla responsabilità del passato hanno trovato eco nell'opera di Dante.
Bibl. - La vastissima bibliografia su B. è raccolta da J. De La Croix Bouton, Bibliographie bernardine, 1891-1957, Parigi 1958. Ci limitiamo qui a indicare alcune opere essenziali: E. Vacandard, Vie de Saint Bernard, 2 voll., ibid. 1927, sempre fondamentale, a cui vanno aggiunti i saggi di vari autori, contenuti nel volume Bernard de Clairvaux, ibid. s.a. [ma 1953]; Saint Bernard théologien, Roma 1953.
Per il pensiero del santo, conserva tutto il suo valore É. Gilson, La théologie mystique de saint B., Parigi 1947, a cui va affiancato il capitolo che a s. B. dedica J. Leclercq, Amour des lettres et desir de Dieu; mentre per la mistica bernardina e cisterciense si vedano L. Bouyer, La spiritualité de Citeaux, Parigi 1955, e il capitolo di J. Leclercq, L'école cistercienne, in J. Leclercq, F. Vandenbroucke, L. Bouyer, La spiritualité du Moyen Age, ibid. 1957.
Per quanto riguarda il rapporto fra D. e B., ricordati i numerosissimi commenti dei canti XXXI-XXXIII del Paradiso e le Lecturae Dantis relative, citeremo i lavori che più interessano da vicino e direttamente il nostro problema: E. Gardner, D. and the Mistics, Londra 1913, cap. IV; E. Jordan, D. et saint B., in " Bulletin du Comité français catholique pour la célébration du sixième centenaire de la mort de D. A. " IV (1921) 267-330; G. Zuccante, Figure e dottrine nell'opera di D., Milano 1921, 97-163 (ma toccano l'argomento anche le pp. 167-206, che riguardano l'ultimo canto del Paradiso); G. Scarlata, Dalla Selva all'Empireo. Saggi dottrinali sulla D.C., Palermo 1927; É. Gilson, D. et la philosophie, Parigi 1939, specialmente 49-51, 155, 209 e n. 1, 235-239, 265-266, 278-279, 293-294; A. Masseron, D. et Saint B., ibid. 1953; R. Guardini, B. von Clairvaux in Dantes Göttliche Komödie, in " Hochland " XLVI (1953-54) 55-64. Non serve al nostro scopo A. Valensin, Le christianisme de D., Parigi 1954, 132-135, ove viene asserito, ma non dimostrato, che D. " gli fa un posto a parte e gli assegna, durante il suo viaggio nell'oltretomba, un ruolo superiore a quello di Beatrice, precisamente perché devoto di Maria ".