Dovizi, Bernardo
Noto anche con il soprannome di ‘Bibbiena’, dal paese del Casentino dove nacque il 4 agosto 1470, D. apparteneva a una famiglia non aristocratica, ma fra le più influenti del luogo. Quando il fratello maggiore Piero divenne familiare dei Medici, Bernardo lo seguì a Firenze ancora fanciullo e ben presto fu introdotto nella corte medicea. Entrato ufficialmente nel 1488 al servizio di Lorenzo de’ Medici, di cui il fratello Piero era segretario, fu incaricato di accompagnare a Roma Piero, figlio del Magnifico, promesso sposo di Alfonsina Orsini. Lorenzo riteneva che l’occasione fosse propizia per rinsaldare i legami con Innocenzo VIII e in questa delicata missione D. si fece onore guadagnandosi sempre di più la stima del suo signore. Del prestigio acquisito dal giovane Bernardo sono testimonianza numerose lettere di personalità illustri, fra cui l’ormai anziano Marsilio Ficino, che ne sollecitavano il favore. Morto Lorenzo, nel 1492, D. accompagnò nuovamente a Roma Piero de’ Medici a rendere omaggio al nuovo pontefice Alessandro VI, nella prospettiva di un’alleanza contro Carlo VIII, ormai prossimo a invadere l’Italia. Del febbraio 1494 è il viaggio a Napoli con Agnolo Niccolini e Pier Filippo Pandolfini, rappresentanti ufficiali di Firenze, laddove D. rivestiva piuttosto il ruolo di uomo di fiducia di Piero de’ Medici: scopo della missione era ancora una volta la stipula di un’alleanza antifrancese fra Firenze, il papa, Napoli e Venezia. Nonostante gli sforzi degli inviati fiorentini, il negoziato fallì per la superficialità e l’incoscienza di Alfonso II d’Aragona che, di fronte alla lucida analisi politica di D., si mostrò incapace di valutare la reale portata del pericolo francese. L’ottimismo dell’Aragonese sembrò tuttavia contagiare D. quando questi si recò in Romagna dove erano stanziate le truppe napoletane guidate da Ferdinando duca di Calabria (più intento alle avventure amorose che alla guerra, come lo stesso Bibbiena narrava in una vivace lettera a Piero de’ Medici del 4 ott. 1494).
La ribellione di Firenze ai Medici coinvolse direttamente sia Piero Dovizi sia Bernardo, ma mentre il primo si ritirò a Venezia, il secondo dedicò tutta la sua attività alla restaurazione della Signoria medicea, compiendo missioni diplomatiche e seguendo le peregrinazioni di Piero e Giovanni de’ Medici, del quale ultimo, nel 1504, divenne segretario.
Stabilitosi a Roma al seguito del suo nuovo signore, D. continuò la sua attività politica seguendo da vicino le mosse del nuovo pontefice Giulio II: la lega di Cambrai e successivamente la lega Santa, che aprì nuovi spiragli a un ritorno dei Medici a Firenze. Mentre Giovanni de’ Medici venne inviato a Bologna come legato pontificio presso i rappresentanti della lega, D. rimase a Roma informando il cardinale degli sviluppi politici attraverso una fitta corrispondenza che è tuttora fonte preziosa per la ricostruzione degli avvenimenti degli anni 1511-12 e per lo studio della figura e del carattere di Giulio II, di cui il Bibbiena si sforzava di moderare l’irruenza. Mentre il pontefice spingeva per un attacco contro Bologna, dove erano tornati i Bentivoglio protetti dai francesi, il legato continuava a chiedere tempo e denaro per l’esercito, arrivando a incorrere nel sospetto di tradimento. La sconfitta dell’esercito della lega e la cattura di Giovanni de’ Medici, poi messosi in salvo, indussero Giulio II a indire un Concilio a Mantova, nominando D. suo rappresentante. Il Concilio decretò la restaurazione dei Medici a Firenze e il bando per i sostenitori della Repubblica; il 1° settembre gli eredi del Magnifico rientrarono in città accompagnati dal fedelissimo Bibbiena, che appena pochi giorni dopo ripartì per Roma in cerca di nuovi onori. Mentre si trovava in missione a Milano come rappresentante pontificio, apprese la notizia della morte di Giulio II, avvenuta il 21 febbraio 1513; durante il conclave D. svolse un ruolo fondamentale nell’elevazione di Giovanni de’ Medici al soglio pontificio: vinse l’ostilità del cardinale Francesco Soderini, prospettandogli un’alleanza matrimoniale con i Medici che avrebbe posto fine al bando per la sua famiglia e nel contempo diffuse la voce di una malattia mortale che avrebbe lasciato al cardinale Medici pochi mesi di vita (circostanza, quest’ultima, che non sembra avere riscontri oggettivi). Il giorno stesso dell’elezione di Leone X, l’11 marzo 1513, il Bibbiena venne nominato tesoriere generale, carica a cui fecero seguito poco dopo quelle di protonotario e conte palatino; infine, il 23 settembre 1513, giunse la porpora cardinalizia con il titolo di S. Maria in Portico. Come segretario particolare del papa, D. curò i rapporti con le nazioni europee a eccezione della Francia, contro cui era improntata la sua azione politica: sua fu la firma sulla bozza di un trattato segreto con la Spagna nel 1514, a lui si dovette l’anno successivo l’organizzazione di una lega antifrancese fra l’imperatore, la Spagna e la Svizzera. La discesa di Francesco I in Italia e la sconfitta degli svizzeri nella battaglia di Marignano misero in crisi la linea politica di D.; Leone X cominciò a dare maggiore ascolto a Giulio de’ Medici, che così scrisse al Bibbiena, inviato presso l’imperatore Massimiliano:
S. Santità si risolve che più presto vorrebbe e Franzesi a Milano (quando bene non fussino molto amici) che lo Imperatore o altri che dipendesse da lui […] perché con li Franzesi non si ha causa di havere suspecto come de li Todeschi; et quando pure volessino malignare si troverria a’ casi loro molti rimedi che non si potrieno trovare facilmente con Cesare. La pace fra questi due principi, che prima facie par cosa buona et desiderabile, stabilirebbe (et maxime in Italia) li stati di Cesare et del nepote, il che non torneria punto a proposito della Sede Apostolica (in Gaeta 1969, pp. 90-91).
Intanto una nuova minaccia turca offriva a Leone X il pretesto per inviare legati presso l’imperatore Massimiliano, Francesco I, Carlo d’Asburgo ed Enrico VIII Tudor. Bibbiena fu incaricato di sondare la disposizione dei francesi nei confronti del pontefice, ansioso di porre un freno alle ambizioni degli Asburgo attraverso l’amicizia con il re di Francia, già avviata dal matrimonio di Lorenzo de’ Medici con Maddalena de Latour d’Auvergne. D. si trovò a condurre non facili trattative con Francesco I, le cui richieste erano enormi. Oltre a una tassa sui beni ecclesiastici in suo favore, il re francese mirava al titolo di imperatore, e proprio D. si fece sostenitore della pretesa francese nelle complesse vicende della successione dell’imperatore Massimiliano. Leone X si trovava in una posizione delicatissima: dalla sua decisione potevano dipendere i destini della dinastia medicea. Il gioco pontificio consisteva nell’opporre a Francesco I e Carlo d’Asburgo un terzo candidato, Federico di Sassonia, per ricavare dai competitori i maggiori vantaggi per i Medici. D. aveva l’incarico di trattare con Francesco I, che peraltro gli aveva concesso il vescovato di Albi con una ricca rendita, come riconoscimento per l’appoggio ricevuto. Il piano mediceo fallì quando fu chiaro che alcuni elettori tedeschi avevano già impegnato il loro voto a favore di Carlo d’Asburgo; lo sconfitto Francesco I mantenne tuttavia la sua amicizia per D., che rimase ancora per qualche tempo in Francia. Nell’estate del 1520 fece ritorno in Italia già sofferente e, quando morì a Roma il 9 novembre, si diffuse la voce che fosse stato avvelenato per ordine dello stesso Leone X. La sua morte fu compianta da illustri letterati e poeti del tempo, come Lilio Gregorio Giraldi e Pierio Valeriano.
Il primo biografo di D., Angelo Maria Bandini, dà notizia di un suo Discorso dell’esilio dei Medici, oggi perduto, mentre si è conservato il Sommario di alcuni ricordi generali del cardinal Bibiena che si possono dare ai nuntii et ministri che negotiano per Principi e Signori (pubblicato da Giuseppe Lorenzo Moncallero in appendice alla sua monografia del 1953 sul cardinale). L’operetta, composta probabilmente nei primi anni del pontificato di Leone X, raccoglie una serie di precetti destinati agli ambasciatori per agevolarli nella loro missione e per consentire loro di mantenere il favore del signore; basato sulla diretta esperienza di nunzio dell’autore, il Sommario è caratterizzato da quell’opportunismo disincantato che improntò realmente l’azione politica del Bibbiena.
Di ben altra fama gode l’unica opera propriamente letteraria di D.: la Calandria, rappresentata per la prima volta a Urbino il 6 febbraio 1513 in occasione del carnevale, con la scenografia di Girolamo Genga, allievo di Raffaello, e l’intervento di Baldassarre Castiglione nell’organizzazione dell’apparato scenico. Il successo fu tale che ben presto la commedia fu messa in scena a Roma, nel dicembre del 1514 e nel gennaio dell’anno successivo; a Mantova nel 1520 e nel 1532, con l’allestimento di Giulio Romano; a Venezia nel 1521 e nel 1522, e poi anche a Lione e a Monaco. La Calandria fu stampata la prima volta nel 1521 a Siena da Michelangelo de’ Libri e poi, ripetutamente, a Venezia e a Firenze, con il prologo della messinscena urbinate, a lungo ascritto a Castiglione, ma la cui attribuzione a D. è ora fuori questione. Ispirandosi ai Menaechmi plautini, la commedia mette in scena le vicissitudini di due gemelli, Lidio e Santilla; a far le spese dei loro intrighi è soprattutto il vecchio e sciocco Calandro, beffato dal servo Fessenio. La commedia si segnala per il meccanismo perfettamente congegnato e per l’uso di un volgare illustre con qualche inserto di fiorentino parlato; come recita il prologo essa è «in prosa, non in versi; moderna, non antiqua; vulgare, non latina».
Nella corrispondenza di e a M. si trovano accenni a D.: in una lettera ai Dieci del 21 ottobre 1506 da Imola, M. registra uno scambio di asprezze fra D., allora stretto collaboratore del cardinale Giovanni de’ Medici, e l’emissario di Giovanni Bentivoglio, Carlo degli Ingrati (LCSG, 5° t., p. 519). Il Bibbiena è citato anche nel carteggio fra M. e Francesco Vettori: nella lettera del 23 novembre 1513, Vettori scrive del Bibbiena, da poco creato cardinale, che «ha gentile ingegno, et è uomo faceto e discreto»; nella lettera del 30 dicembre 1514 Vettori scrive di aver mostrato al papa, al cardinale de’ Medici e al Bibbiena le missive di M., «e tutti si sono maravigliati dello ingegno e lodato il iudicio». Dal punto di vista letterario è indubbia l’influenza della Calandria sul teatro di M. e in particolare sulla Mandragola. L’ariostesca Cassaria in prosa (1508) aveva fissato lo schema dell’imitazione dei modelli latini in una struttura in cinque atti; con i Suppositi lo stesso Ludovico Ariosto inaugurava il filone della contaminazione fra i classici e il modello del Decameron. L’elemento boccacciano venne ripreso da D., pur in una trama in cui forti sono i richiami plautini, e i rapporti fra la Calandria e la Mandragola sono evidentissimi non solo nella definizione dei due personaggi chiave, i vecchi stolti Calandro e Nicia, ma nelle puntuali riprese testuali (Inglese 2006, pp. 167-68). Le due commedie sono menzionate insieme nella lettera di Giovanni Battista Della Palla a M., 26 aprile 1520, da Roma: «a S.ta Maria in Porticu feci la imbasciata del suo Calandro e vostro messer Nicia [forse la proposta di una recita congiunta]; risponde cortigianerie, come gli è usato» (Lettere, p. 362). È almeno emblematico che la lettera a Vettori del 25 febbraio 1514 si chiuda con una citazione del Decameron III 5, che è anche, con una piccola variante, una frase di Fulvia nell’atto terzo, scena settima della commedia del Bibbiena: «egli è meglio fare e pentirsi che starsi e pentirsi».
Bibliografia: La Calandria commedia elegantissima per messer Bernardo Dovizi da Bibbiena, a cura di G. Padoan, Padova 1985.
Per gli studi critici si vedano: A.M. Bandini, Il Bibbiena o sia il ministro di Stato delineato nella vita del cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena, Livorno 1758; F. Nitti, Leone X e la sua politica, Firenze 1892 (rist. anast. a cura di S. Palmieri, Bologna 1998); L. Russo, Commedie fiorentine del ’500: Mandragola, Clizia, Calandria, Firenze 1939, pp. 141-95; G.L. Moncallero, Il cardinale Dovizi da Bibbiena umanista e diplomatico (1470-1520), Firenze 1953; C. Dionisotti, Ritratto del Bibbiena, «Rinascimento», 1969, 9, pp. 51-67 (poi in Id., Machiavellerie, Torino 1980, pp. 155-72); F. Gaeta, Il Bibbiena diplomatico, «Rinascimento», 1969, 9, pp. 69-94; A. Fontes Baratto, Les fêtes à Urbin en 1513 et la Calandria de Bernardo Dovizi da Bibbiena, in Les écrivains et le pouvoir en Italie à l’époque de la Renaissance, éd. A. Rochon, 2° vol., Paris 1974, pp. 45-79; F. Ruffini, Commedia e festa nel Rinascimento. La Calandria alla corte di Urbino, Bologna 1986; G. Patrizi, Dovizi Bernardo, detto il Bibbiena, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 41° vol., Roma 1992, ad vocem; G. Inglese, Per Machiavelli. L’arte dello stato, la cognizione delle storie, Roma 2006, pp. 167-68.