GIROLAMI, Bernardo
Nacque a Firenze il 4 giugno 1521 da Raffaello e da Alessandra de' Nerli. Era il terzo maschio di numerosa prole.
Il G. aveva sei sorelle: Maddalena, Contessina, Margherita, Dianora, Camilla e Niccolosa, che andò in sposa a Francesco Della Casa, fratello del letterato Giovanni. I fratelli maggiori erano Francesco e Giuliano, i minori Giovanni e Zanobi. I Girolami, detti del Vescovo per distinguerli da un altro ramo, quelli del Testa, erano una delle più antiche famiglie dell'aristocrazia fiorentina. Di lunga tradizione repubblicana, il casato aveva avuto quattro gonfalonieri e tredici priori tra il 1296 e il 1529. La fedeltà alla Repubblica si mantenne anche durante gli ultimi anni del governo popolare.
Il padre del G. fu gonfaloniere nel 1523, nel 1528 commissario delle milizie fiorentine, e oratore presso Carlo V a Genova nel 1529. Nel 1530 fu l'ultimo gonfaloniere della Repubblica, e riuscì a scampare a una prima condanna a morte solo grazie all'intercessione di Ferrante Gonzaga. Rinchiuso nel carcere di Volterra e poi in quello di Pisa, dove morì nel 1532, probabilmente avvelenato.
Il Passerini segnala il G. dapprima tra i fuorusciti fiorentini che in Piemonte e Lombardia combatterono con Pietro Strozzi per le armi francesi. Non è noto se il giovanissimo G. abbia partecipato alla battaglia di Montemurlo (1537), ma sicuramente fu tra i fuorusciti fiorentini che raggiunsero Siena forse nel 1554 insieme con il contingente francese comandato dallo Strozzi. Nell'esercito ricoprì probabilmente la carica di capitano e, conclusa infelicemente la guerra, riparò in Francia presso la corte di Caterina de' Medici, di cui, secondo il Passerini, sarebbe stato in qualche modo parente. Presso la regina il G. sembrò godere di una stima particolare, ma su questi primi anni francesi non abbiamo altre notizie, almeno fino al 1566. Fu allora che il G. fu ammesso tra i gentiluomini di camera del re, Carlo IX, onore ricoperto anche con il successore, Enrico III. Oltre alla prestigiosa carica a corte, più in sintonia con la sua vocazione militare, il G. ottenne il comando di un corpo di armati, distinguendosi nelle guerre di religione. Le imprese così compiute gli fecero guadagnare l'onorificenza del collare di S. Michele, di cui fu insignito da Enrico III.
Mentre suo fratello Giuliano aveva ottenuto da Cosimo I di poter tornare in patria, senza tuttavia riavere i beni confiscati, il G., già proscritto come ribelle nel 1754, fu invece proscritto una seconda volta nel 1575, e continuò a soggiornare alla corte francese.
L'ambasciatore fiorentino Sinolfo Saracini e il suo segretario Curzio Picchena si dedicavano a rintracciare ed eliminare gli esuli antimedicei e tra il 1577 e il 1578 dettero luogo a una sistematica azione di soppressione degli oppositori. Sotto i colpi dei sicari medicei caddero Troilo Orsini, Antonio Capponi e Francesco Alamanni. L'obiettivo principale divenne presto il G., perché aveva denunciato l'ambasciatore e il suo segretario come i veri mandanti dell'assassinio di Troilo Orsini e perché svolgeva una funzione di coordinamento e protezione dei proscritti fiorentini: Picchena racconta che i fuorusciti, raggiunta prima Lione e poi Parigi, riuscivano a trovare protezione presso amici del Girolami.
Nelle lettere inviate negli ultimi mesi del 1578 dalla Francia il Saracini adottava un tono formale e descrittivo, scrivendo a Francesco I come fosse all'oscuro delle vicende più torbide; ben più concreto ed esplicito appare invece lo stile dei "deciferati" del Picchena indirizzati al segretario Belisario Vinta, nei quali si parla pressoché costantemente dei personaggi da eliminare e dei mezzi per farlo. Dalle lettere del segretario si intuisce che nell'agosto del 1578, ucciso Francesco Alamanni, il G. divenne il primo obiettivo dei Medici. Da allora il Picchena, regista dell'azione, strinse i tempi, cercando evidentemente di approfittare del fatto che nell'autunno successivo il re e la regina Caterina sarebbero stati lontani da Parigi. Il 25 ottobre il segretario riuscì a far prendere in affitto al sicario Filippo Eschini, detto il Valletta, una casa antistante l'abitazione e il giardino dove il G. soleva trascorrere buona parte della giornata. Dopo giorni di tentativi falliti, il Valletta riuscì a mettersi sulle tracce del G., lo seguì a cavallo per circa otto giorni, fino a che, il 9 novembre, ebbe luogo l'attentato. Mentre il G. usciva dalla casa di Orazio Rucellai, il Valletta sparò un colpo di pistola ferendo gravemente il G. alle reni, ma senza ucciderlo. L'attentatore stesso rimase ferito da Raffaello Girolami, nipote del G., che per caso aveva assistito alla scena.
Dopo essersi dato alla fuga, il sicario fu catturato il 19 novembre. Contro di lui testimoniarono Jacopo e Cosimo Strozzi, gli accompagnatori di Raffaello Girolami. Saracini scrive che il Valletta fu posto sotto tortura ed esaminato per nove ore; infine confessò svelando i nomi dei mandanti e fu giustiziato.
Il G. morì a Parigi il 22 nov. 1578, in seguito all'agguato; pochi giorni dopo, in un'atmosfera di tensione popolare, il Picchena fu arrestato e il Saracini dovette abbandonare la Francia.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 4608; Raccolta Sebregondi, 2646-2647; Ceramelli Papiani, 2404-2405; Firenze, Biblioteca nazionale, Carte Passerini, 8, c. 119r; 46, c. 70v.; 156, ins. 9, tav. 4; 219, n. 14; una parte del carteggio di Curzio Picchena è pubblicato in G. Canestrini - A. Desjardins, Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane…, IV, Paris 1872, pp. 209-222; A. Desjardins, L'ambassadeur du grand-duc de Toscane et les proscrits florentins…, Paris 1869, pp. 4 s., 8-12 e passim; L. Passerini, Marietta de' Ricci al tempo dell'assedio di Firenze…, Firenze 1945, pp. 1835 s.; J. Picot, Les italiens en France au XVIe siècle, Roma 1995, p. 117; J.F. Dubost, La France italienne XVIe et XVIIe siècle, Paris 1997, pp. 56, 148, 438.