GIUSTI, Bernardo
Nacque a Colle Valdelsa (allora nel distretto fiorentino, oggi in provincia di Siena) poco dopo il 1505, anno del matrimonio dei genitori, da Pier Francesco di Giusto, medico, e da Fiammetta di Tommaso Rinieri. La famiglia, di origine volterrana, si era stabilita a Colle negli anni Ottanta del '400, allorché il nonno del G., il notaio Giusto di Bartolomeo, era stato assunto come cancelliere di quel Comune.
Si trattava di una famiglia della borghesia provinciale, attiva nel campo delle libere professioni, che aveva dato molti funzionari all'apparato amministrativo e giudiziario dello Stato fiorentino. Dopo il felice esito della guerra di Siena (1555) i Giusti, come altre famiglie del distretto, furono ricompensati dal duca Cosimo I con la concessione della cittadinanza fiorentina.
Niente si sa sugli anni della prima giovinezza del G., presumibilmente da lui trascorsi nella città di origine, tranne il fatto che abbastanza precocemente prese gli ordini religiosi.
In seguito si trasferì a Firenze, dove, il 29 ag. 1528, fu assunto presso la Cancelleria della Repubblica come segretario della magistratura dei Dieci di balia.
Dopo la cacciata dei Medici nel maggio 1527, a Firenze era stato ripristinato l'ordinamento repubblicano in vigore fino al 1512, che prevedeva come organo di direzione della politica estera e delle operazioni militari i Dieci di balia. Dato il continuo stato di guerra e di pericolo che caratterizzò l'ultima Repubblica - accerchiata dall'alleanza di papa Clemente VII con l'imperatore Carlo V, che aveva come scopo principale il ritorno dei Medici al potere -, l'attività dei Dieci di balia fu preponderante nelle decisioni del governo fiorentino.
L'ipotesi secondo cui il G. dovette l'assunzione presso la Cancelleria ai buoni uffici del conterraneo Francesco Campana, già da anni entrato a far parte della corte medicea, non sembra fondata: il Campana entrò al servizio della Cancelleria fiorentina solo dal 1° maggio 1531. È poco probabile che un cliente mediceo potesse esercitare la propria influenza in un periodo di governo "popolare" e proprio nel cuore dell'apparato di governo repubblicano.
Nella Cancelleria dei dieci, al cui vertice era allora il letterato Donato Giannotti, il G. ebbe un ruolo subalterno: le mansioni peculiari a lui affidate, più che con la stesura della corrispondenza e la redazione dei documenti ufficiali, sembrano identificarsi con l'espletamento di incarichi di fiducia, cui l'abito sacerdotale lo rendeva particolarmente adatto: per esempio, il 20 sett. 1528 fu incaricato di recarsi in Umbria, presso il condottiero Renzo da Ceri, allora al soldo di Firenze e dei suoi alleati, a recapitargli la somma di 3000 scudi, che costituivano il compenso pattuito per la sua condotta.
Alla caduta del regime repubblicano (10 ag. 1530) le principali magistrature furono abolite e i compiti di direzione politica furono concentrati su una Balia di dodici membri; il G., al pari degli altri impiegati subalterni della Cancelleria, passò alle dipendenze dirette della Balia, mentre, al contrario, i cancellieri principali, come Silvestro Aldobrandini, Iacopo Nardi e Donato Giannotti, dovettero prendere la via dell'esilio.
In seguito il G. passò al servizio degli Otto di pratica, la magistratura che fino dalla sua istituzione, nel 1480, era stata omologa dei Dieci di balia nei periodi di predominio mediceo. Se ne allontanò nel dicembre 1531, poco dopo l'arrivo in città del duca Alessandro de' Medici, per andare al servizio di Bartolomeo Valori, designato da Clemente VII come presidente della Romagna.
Secondo gli storici, da quelli contemporanei come il Varchi a quelli moderni come il Cantagalli, concluso questo incarico il G. tornò a Firenze, passando al servizio diretto di Alessandro de' Medici prima, e poi del suo successore, Cosimo.
Secondo il Varchi, il G. fu tra i primi, la sera del 6 genn. 1537, a essere informato dell'assassinio del duca Alessandro compiuto dal cugino di questo, Lorenzo de' Medici. Il G., per incarico degli ottimati, che, guidati da Francesco Guicciardini, rivendicavano una sorta di responsabilità morale, prima ancora che politica, sui destini di Firenze, dovette recarsi a richiamare in tutta fretta il condottiero Alessandro Vitelli con le sue truppe. Si temeva infatti che, alla notizia della morte del duca, i nostalgici del regime repubblicano ne avrebbero approfittato per creare disordini in città, cosa che invece non accadde.
Poco dopo l'insediamento del nuovo duca, il G. fu convinto da Francesco Campana ad abbandonare il suo servizio e a cercare un nuovo impiego.
Dal 1542 al 1549 fu segretario del cardinale Ascanio Parisani, detto il "cardinale di Rimini" e risiedette - dal 1542 al 1545 - a Perugia, dove Parisani esercitava l'incarico di legato pontificio, e poi a Roma, ove fu tesoriere fino alla morte di questo, avvenuta nel maggio 1549. In questo periodo il G., forse grazie alla protezione del Parisani, cumulò vari benefici e dignità ecclesiastiche: protonotario apostolico, rettore della chiesa parrocchiale dei Ss. Iacopo e Cristoforo a Quarsalla e di quella di s. Giorgio a Comano; in seguito ottenne, grazie alla benevolenza di Cosimo de' Medici, il titolo di abate di Moscheta (Firenze).
Alla morte del Parisani, o poco dopo, il G. dovette tornare a Firenze ove fu assunto al servizio della Cancelleria di Cosimo I, per conto del quale cominciò a espletare numerose missioni diplomatiche: la prima di cui si ha notizia risale al 21 sett. 1550, quando ricevette l'incarico di accompagnare in Francia, in qualità di segretario di Legazione, l'oratore fiorentino Luigi Capponi.
Le relazioni tra la Toscana e la corte di Francia, nonostante il rapporto di parentela tra Cosimo I e la regina, erano improntate alla massima diffidenza reciproca, soprattutto per il fatto che, tradizionalmente, in Francia trovavano asilo e ricevevano appoggio gli oppositori repubblicani dei Medici, primi tra tutti i figli di Filippo Strozzi. Per questo motivo non esisteva in Francia una rappresentanza diplomatica stabile del governo toscano; nel settembre 1550 il duca Cosimo prese spunto dalla nuova maternità della regina Caterina de' Medici per inviare il Capponi e il G. che, con il pretesto di felicitarsi per il lieto evento, avrebbero dovuto cercare di rinsaldare le relazioni diplomatiche tra i due Stati.
Gli inviati fiorentini avrebbero dovuto seguire, inoltre, la discussione della "causa dei grani", un'annosa controversia che opponeva la magistratura fiorentina degli Ufficiali dell'abbondanza a monsignor di Langes, per l'acquisto di una partita di grano in cui non erano state rispettate le clausole del contratto. La discussione di questa causa era stata affidata al Parlamento di Parigi. I due rappresentanti di Cosimo furono accolti molto cordialmente dai sovrani, che interpretarono il loro invio come manifestazione di volontà di riavvicinamento da parte del duca di Firenze. Essi furono anche invitati a partecipare, a partire dal giugno 1551, ai negoziati per un progetto di lega tra la Francia, Venezia e il Ducato di Ferrara, alla quale si pensava anche il duca di Firenze avrebbe potuto aderire. La missione diplomatica andò incontro però a un completo fallimento, perché perdurava la diffidenza reciproca tra le due corti: la regina Caterina accusò apertamente il G. di essere una spia al servizio degli Imperiali.
Gli inviati dovettero pertanto essere richiamati e la loro missione si chiuse anticipatamente il 27 nov. 1551, senza riuscire a raccogliere i risultati sperati.
Benché il G. avesse criticato apertamente, presso la corte di Toscana, l'operato dell'ambasciatore, accusandolo di ingenuità, il fallimento della missione deve essere attribuito alle circostanze generali che indussero Cosimo de' Medici a un irrigidimento della sua politica filoimperiale, cosa incompatibile con qualsiasi tentativo di riavvicinamento alla Francia: i rapporti diplomatici tra le due corti rimasero sospesi ancora per alcuni anni.
Dall'aprile al novembre 1552 si colloca la seconda missione diplomatica affidata al G. dal duca Cosimo: dovette recarsi a Venezia, questa volta da solo, in qualità di agente.
Era un ruolo gerarchicamente inferiore a quello di oratore, ma proprio per questo motivo, liberando la persona incaricata dai molti impegni protocollari, gli consentiva una maggiore libertà di azione e la possibilità di informarsi da fonti confidenziali. Durante la permanenza del G. a Venezia, nel luglio 1552, si tenne a Chioggia un convegno degli agenti francesi presso i vari Stati italiani, per concertare le iniziative da prendere. Si discusse attorno a tre possibili obiettivi: l'attacco in Lombardia contro don Ferrante Gonzaga, massimo rappresentante della politica imperiale in Italia; l'azione contro il Regno di Napoli, profittando delle scorrerie turche lungo le coste; e infine l'intervento contro Siena, città che sotto l'apparenza di Stato indipendente era di fatto divenuta da tempo un protettorato imperiale. In realtà sembra che quest'ultimo obiettivo fosse stato scelto già prima dell'inizio del convegno e che gli agenti avessero indugiato a discutere degli altri due per meglio coprire le loro vere intenzioni.
Il G. non dovette riuscire a procurarsi molte informazioni sull'importante convegno, in cui furono gettate le basi della successiva guerra di Siena, e nemmeno a penetrare le vere intenzioni degli agenti francesi: i suoi dispacci a Cosimo sono infatti ricchi di minuziose notizie sui movimenti dell'armata turca, cosa che induce a pensare che egli fosse convinto di un prossimo attacco francese contro il Regno di Napoli, ipotesi che invece non aveva alcun fondamento. Dal canto suo Cosimo I, che in segreto aveva già stretto trattative con l'imperatore per un colpo di mano su Siena, non rivelò al G. le sue vere intenzioni e lo esortò a fare pressioni sui Veneziani perché si adoperassero per l'indipendenza di Siena.
L'insurrezione a Siena invece scoppiò appena pochi giorni dopo la conclusione del convegno, la notte tra il 26 e il 27 luglio 1552, e sfociò ben presto in una vera guerra, cui molti potentati guardavano con interesse. Nel marzo del 1553 il G. fu inviato a Livorno ad accogliere il cognato di Cosimo I, don Garzia di Toledo, per accompagnarlo a Firenze e invitarlo, da parte del duca, a mettersi a capo di una spedizione militare nelle Maremme senesi.
In ottobre, a guerra di Siena ancora in corso, il G. fu inviato a Roma per sostenere il doppio gioco di Cosimo I, che da un lato aveva già preso accordi con l'imperatore per intervenire direttamente nella guerra e dall'altro non voleva respingere subito le offerte francesi in cambio della sua neutralità. Il compito specifico del G. era quello di dimostrare al pontefice la disponibilità di Cosimo per un accordo con i Francesi. Per rendere più incisiva l'azione del G. presso il papa, il duca di Firenze non aveva palesato nemmeno a lui il carattere puramente temporeggiatore della sua missione diplomatica, cosa che invece rivelò nelle sue lettere al rappresentante imperiale Giovanni Manrique (cfr. Cosimo I de' Medici, Lettere, a cura di G. Spini, Firenze 1940, pp. 128-136).
A Roma il G. tornò nel luglio 1554: in questa occasione, oltre a compiti di minore importanza, fu al centro di un tentativo di mediazione da parte del pontefice per far riammettere a Firenze Antonio Altoviti. Questi era stato designato arcivescovo di Firenze fin dal 1549, ma la militanza antimedicea dei suoi parenti gli impediva di metter piede nella sua diocesi. Il tentativo non ebbe successo e l'Altoviti poté tornare a Firenze solo nel 1560. Altra questione di cui il G. dovette occuparsi durante questa missione fu il contrasto sorto a Roma tra la nazione fiorentina e l'ambasciatore mediceo.
Dopo una missione, di cui non si hanno informazioni precise, avvenuta nella primavera del 1559 presso l'imperatore, che si trovava a Vienna, il G. fu di nuovo a Roma nel dicembre 1560, al seguito del figlio secondogenito del suo sovrano, Giovanni de' Medici, che vi si recava per ricevere la dignità cardinalizia. Da questo momento sembra che il G. sia stato destinato in modo permanente al servizio presso il giovane cardinale, spostandosi al suo seguito tra Pisa, dove studiava, e le varie residenze medicee sparse per la Toscana.
Alla morte del cardinale, avvenuta nel dicembre 1562, il G. passò al servizio del fratello minore, Ferdinando de' Medici, a sua volta elevato alla porpora in sostituzione di Giovanni. Al seguito di Ferdinando il G. fu ancora a Roma tra il maggio e il luglio 1565. Come si evince da un organigramma stilato nei primi mesi del 1565, il G. era destinato a far parte stabilmente della segreteria del cardinale. Quando, il 9 dic. 1565, il pontefice Pio IV morì improvvisamente, il giovane cardinale de' Medici si trovava presso il confine della Toscana verso Bologna per ricevervi la cognata Giovanna d'Austria. Si profilò quindi la necessità di una celere partenza di Ferdinando e di una sua non breve residenza a Roma per partecipare alle esequie e al successivo conclave. Il G. lo precedette per predisporre dal punto di vista logistico il soggiorno romano di Ferdinando. La lettera del G. del 16 dic. 1565, con cui annuncia al duca Cosimo l'arrivo a Roma del figlio cardinale, è l'ultimo documento che lo mostra ancora in vita. Morì presumibilmente poco dopo, senza aver fatto ritorno a Firenze.
Il Del Piazzo attribuisce al G. altre due missioni diplomatiche, di cui una in Corte imperiale nel 1553 e una a Parma nel 1556, della quale non si hanno ulteriori riscontri. Durante gli ultimi anni di servizio alla corte medicea si era associato due nipoti, Pier Francesco Guidi e Pietro Usimbardi, che vi continuarono a operare anche dopo la sua morte.
Fonti e Bibl.: Numerosissime sono le lettere del G. conservate presso l'Arch. di Stato di Firenze, nel fondo Mediceo del principato; qui si indicano solo quelle che contengono dati significativi su di lui e sulla sua attività: Mediceo del principato, 28, cc. 78-79; 357, c. 481; 358, c. 323; 434, c. 170; 437, c. 222; 438, cc. 5-6; 478, cc. 43-44; 481, cc. 101, 362; 514, cc. 79, 126; 623, cc. 367, 481, 494; 623a, cc. 690, 938; 2634, cc. 361, 412; 3272, cc. 307-309, 319-320, 342-343; Carte Accolti, I, cc. 664-665; XII, cc. 27-28; Carte Strozziane, I serie, 32, cc. 34-37; 71, cc. 24-26; 86, cc. 19-20; Raccolta genealogica Ceramelli Papiani, 2423; Raccolta Sebregondi, 2667; Balie, 53, c. 281; Dieci di balia, Deliberazioni, 63, cc. 74v, 91v; Ibid., Missive, 100, c. 103; Ibid., Responsive, 132, c. 357; Notarile antecosimiano, 16188, cc. 177, 181, 198; 19903, c. 132v; 19906, cc. 142, 145v, 146; Manoscritti, 125, c. 573; 321, cc. 39, 51, 54v, 61, 71, 101, 107, 110v, 116v, 117, 122, 126v, 129, 133, 138v, 141, 143, 150v, 153, 164v; Depositeria generale, parte antica, 392, c. 8; 393, c. 8; 394, c. 50; 1514, c. 8; 1515, c. 5; Otto di pratica del principato, 167, c. 9v; B. Varchi, Storia fiorentina, a cura di L. Arbib, III, Firenze 1844, pp. 242, 256 s.; Negociations diplomatiques de la France avec la Toscane, a cura di G. Canestrini - A. Desjardins, III, Paris 1865, pp. 250, 259, 262; F. Dini, Gli Usimbardi di Colle Val d'Elsa, in Misc. stor. della Valdelsa, VII (1899), p. 197; M. Del Piazzo, Gli ambasciatori toscani del principato, Roma 1953, p. 142; A. D'Addario, Il problema senese nella storia italiana della prima metà del Cinquecento. La guerra di Siena, Firenze 1958, pp. 110 ss.; R. Cantagalli, La guerra di Siena, Siena 1962, ad indicem.