HOLZMANN (Holzmain), Bernardo
Non si conoscono il luogo e la data di nascita di questo orefice, figlio di Giusto, probabilmente tedesco e attivo in Toscana tra il XVII e il XVIII secolo. La sua carriera è legata alla produzione delle officine granducali fiorentine e alla figura di G.B. Foggini.
Pochi sono i dati certi riguardanti l'H.: la prima notizia risale al 1685, quando effettuò un sopralluogo in compagnia di Foggini e dei pittori P. Dandini e D. Gabbiani presso la chiesa di S. Trinita, a Firenze, allo scopo di redigere un preventivo per la fornitura di nuovi arredi sacri, destinati alla cappella Doni. Nel 1687 lavorò a Pisa, nel duomo, insieme con l'orafo granducale M. Merlini - i due sono definiti compagni "argentieri in Galleria" (Nardinocchi, p. 15) - all'arca di s. Ranieri, patrono della città, su disegno fogginiano. L'altare, che sostituiva quello cinquecentesco, fu ultimato l'anno seguente e presentato alla città in una festa di gran pompa.
E. Nardinocchi (ibid.) ipotizza una stretta collaborazione di bottega tra Merlini e l'H., conclusasi con la morte dell'anziano orafo fiorentino nel 1688 e con il passaggio del figlio di quest'ultimo, Cosimo il Giovane, alla bottega di M. Soldani Benzi. In tale occasione, nel 1692, considerate le difficoltà a operare, l'H. supplicò il granduca Cosimo III, "stante l'onore ricevuto da V.A.S. da molt'anni in qua di servirla" (Lankheit, doc. 371) di accordargli l'uso di una bottega, che venne concesso.
È documentata tra il 1693 e il 1698 la muta di sei candelieri, punzonati con le iniziali dell'H. in campo ovale, appartenente al santuario di S. Verdiana di Castelfiorentino.
Una base a sezione triangolare poggia su piedi leonini e presenta agli angoli delle volute acantiformi culminanti in testine angeliche in aggetto. Il fusto consta di un nodo a ghianda che supporta un balaustrino. Entrambi sono ornati da decorazioni vegetali di gusto classico e palesano un richiamo, mutuato da Foggini, al barocco romano. I candelieri manifestano, pur nella dipendenza dal gusto fogginiano, i caratteri peculiari dell'arte dell'H.: preferenza per le superfici scabre e per il chiaroscuro vibrante, sbalzo modulato con effetti pittorici per le parti decorative e netti contrasti d'ombra per quelle plastiche.
Poiché le officine medicee erano sin dal 1694 dirette da Foggini, è arduo stabilire oggi l'autonomia progettuale dell'H., i cui manufatti dovettero sicuramente passare al vaglio dello scultore fiorentino che sovrintendeva all'intera produzione granducale; è indubbia, invece, la sua perizia esecutiva e l'originalità della sua ricerca di cromatismo ottenuta grazie all'accostamento di superfici diversamente trattate. Fiduciario degli Operai del duomo, a partire dall'ultimo decennio del XVII secolo e nei primi anni del Settecento, l'H., definito "argentiere assai perito e diligente" (Cocchi, p. 19), realizzò numerosi interventi di restauro, "spesso travisatori" (Brunetti, p. 23), per gli arredi sacri e i reliquiari del duomo fiorentino ed eseguì la base della stauroteca della Passione, preziosa opera di C. Merlini il Vecchio (1618: Firenze, Museo dell'Opera del duomo). Nei due anni successivi i documenti registrano alcune cause civili con privati cittadini circa alcuni manufatti (Nardinocchi - Mazzanti, p. 418), a testimonianza di una perduta produzione corrente di bottega, che certamente affiancava le prestigiose commissioni granducali.
Risale al 1703 il busto-reliquiario di s. Cresci, custodito nell'omonima chiesa pievana a Valcava, e realizzato dall'H. su disegno di Foggini, il quale era stato incaricato da Cosimo III - che intendeva rilanciare il culto del santo - di ristrutturare la pieve.
Il manufatto, di rimarchevoli proporzioni e fuso a cera persa, riprende la tipologia dei reliquiari medievali; mentre il solido impianto plastico della testa e i tratti classici e composti del volto (in assenza di una tradizione iconografica specifica) rimandano piuttosto alla statuaria fiorentina del primo Quattrocento. Una lieve torsione del capo e il morbido panneggio sablé che avvolge la lorica del santo, però, spezzano la simmetria della figura, e reinventano in termini moderni il modello antico. Interprete eccellente del dettato fogginiano, l'H., nella sapiente resa di superfici tese a contrasto con il lavoro del cesello, raggiunge con quest'opera un altissimo esito formale.
L'anno seguente l'H. risulta pagato per la realizzazione, in corso d'opera, di un corredo (sempre di ideazione fogginiana) di candelieri per l'altare di S. Lorenzo, secondo le disposizioni testamentarie di A. Bassetti e su indicazione del granduca; trascorsi quasi vent'anni, nel 1722, non avendo ancora ultimato il lavoro, fu indirizzato alla lavorazione di una grande croce d'altare, di cui si conserva ancora il crocifisso (in loco), terminato nel 1726 (Paolini).
Tra il 1711 e il 1714 l'H. fu impegnato, insieme con C. Merlini il Giovane, nell'esecuzione del paliotto d'altare del santuario della Madonna all'Impruneta.
Il paliotto, la cui composizione si deve a Foggini, nacque come atto di devozione alla Vergine da parte di Cosimo III, che ne fu il committente. Il sovrano, preoccupato per la salute malferma del primogenito Ferdinando e per la scarsa fertilità dei matrimoni degli altri suoi figli, confermò con questo dono la venerazione della Madonna da parte dei Medici e pose Firenze e il suo casato sotto la sua protezione celeste.
Il paliotto si presenta severo nella forma e ricco nella decorazione: tripartito, al centro vi è un tondo lavorato a sbalzo, raffigurante Cosimo III inginocchiato dinanzi alla Vergine dell'Impruneta - opera di Merlini - affiancato da due ovali che rappresentano l'Incoronazione di Maria (ai cui piedi figurano i santi protettori di Firenze) e l'Allegoria della Toscana e di Firenze che si affidano alla Madonna, di mano dell'Holzmann. Quest'ultimo è artefice anche dello sportello del ciborio soprastante la mensa, antecedente (1698), ma armonicamente inserito, dove è narrata la leggenda del ritrovamento dell'immagine della Vergine dell'Impruneta (Mazzanti, p. 56). In quest'opera lo stile ormai maturo dell'H. si esprime al meglio: i rilievi delle scene sacre manifestano una qualità pittorica e queste, benché affollate di personaggi, sono animate da un moto centripeto, che conduce lo sguardo all'atto preminente. Gli ovali sono incorniciati da un'esuberante ornamentazione - tipica del repertorio barocco fogginiano - che intreccia racemi d'acanto con volute, conchiglie o cartelle.
Sempre nel 1714, l'H. eseguì il reliquiario del velo di s. Agata per il duomo (Firenze, Museo dell'Opera del duomo), opera mirabile per qualità formale ed esecutiva. Nel 1717 era attivo nuovamente per la chiesa di S. Verdiana a Castelfiorentino; nel 1725 i documenti lo attestano operare per la chiesa dell'ospedale Serristori di Figline Valdarno.
Alla morte, avvenuta a Firenze nel 1728, lasciò disposizioni perché i suoi allievi Giuseppe Navarri e Giovan Battista Stefani, quest'ultimo divenuto poi celebre, ultimassero i lavori incompiuti, tra cui il corredo d'altare della chiesa di S. Lorenzo.
Fonti e Bibl.: A. Cocchi, Degli antichi reliquiari di S. Maria del Fiore e di S. Giovanni di Firenze, Firenze 1903, passim; K. Lankheit, Florentinische Barockplastik, München 1962, ad ind.; G. Brunetti - L. Becherucci, Il Museo dell'Opera del duomo, II, Milano s.d. (ma 1970), pp. 23, 257-259; C. Ashengreen Piacenti, in Gli ultimi Medici. Il tardo barocco a Firenze. 1670-1743 (catal.), Firenze 1974, pp. 350 s., 362; E. Nardinocchi, B. H. argentiere in Galleria, in MCM. La storia delle cose, 1988, n. 7, pp. 14-18 (con bibl.); A. Mazzanti, Precisazioni e nuove acquisizioni sull'altare d'argento della Madonna dell'Impruneta, in Antichità viva, 1990, n. 6, pp. 54-59; E. Nardinocchi - A. Mazzanti, in Argenti fiorentini dal XV al XIX secolo. Tipologie e marchi, I, Firenze 1992, ad ind.; C. Paolini, in S. Lorenzo. I documenti e i tesori nascosti (catal.), Firenze 1993, pp. 180-182; C. Casini, La scultura dal Quattrocento al Novecento, in Il duomo di Pisa, a cura di A. Peroni, I, Modena 1995, pp. 280, 470, ill. 949-958.