MACHIAVELLI, Bernardo
La data di nascita del M., riferibile al 1432 secondo la dichiarazione catastale del 1470, è in contrasto con le poche notizie sul padre Niccolò di Buoninsegna, che nel 1429 si dichiarava "d'anni XIV" e, ancora celibe nel 1427, risultava defunto nel 1430. Andrà pertanto accolta l'età di 52 anni che compare nel Catasto del 1480, fissata la nascita al 1428. La figura del M. visse nell'ombra del figlio Niccolò e i rari documenti che la riguardano non offrono "una soddisfacente conoscenza della sua personalità" (Bertelli, 1964, p. 785).
Ragguardevoli nella Firenze del Duecento e Trecento nel quartiere di S. Spirito, "gonfalone" Nicchio, i membri della famiglia furono marginali nel Quattrocento, nonostante molti esercitassero professioni giuridiche. Le loro case, accanto a ponte Vecchio e alla chiesa di S. Felicita, nell'omonimo "popolo", nella via di Piaza (oggi Guicciardini, ma le case furono distrutte nella seconda guerra mondiale), esprimevano coesione tra i "parenti a muro", venuti dalla Val di Pesa, dove mantenevano numerosi beni derivati da un'incerta origine signorile. Proprio il M. conservava le memorie dei diritti patronali su diverse chiese rurali, oltre a Sant'Andrea in Percussina, di cui fu investito il figlio Totto.
Martelli (1975, pp. 46 s.) ha chiarito che non fu il M. a costituirsi in giudizio contro i Pazzi, tramite l'allora sconosciuto figlio Niccolò, attore della Maclavellorum familia nella causa per i diritti sulla Pieve di Fagna, rivolgendosi il 2 dic. 1497 al cardinale Giovanni Lopez.
Sulla base di un passo dei Ricordi di Bartolomeo Cerretani, riferito al "chancelliere, figliolo d'uno bastardo de' Machiavelli", si è pensato che anche Biagio Buonaccorsi alludesse alla nascita spuria del padre nella lettera del 28 dic. 1509 a Niccolò Machiavelli, denunciato segretamente di "essere nato di padre etc." (N. Machiavelli, Lettere, a cura di F. Gaeta, Milano 1961, p. 207). L'ambiguo passaggio richiama invece la condizione del M. quale debitore conclamato delle imposizioni fiscali del Comune, da cui derivava anche l'esclusione dalle cariche pubbliche, estesa ai discendenti; ma un provvedimento di riforma nel 1498 aveva concesso ampie dilazioni.
Martelli (1975, pp. 34-37) ha dimostrato come la lettera patente di nobiltà e cittadinanza del 15 maggio 1507, che avrebbe dovuto sanare questa situazione di ambiguità, sia riferita ad altro ramo familiare.
Pur orfano, il M. giunse al grado dottorale in un anno e in un luogo sconosciuti, godendo del titolo di messer o dominus, ma senza mai applicarsi alle professioni giuridiche. L'iscrizione all'arte dei giudici e notai fu probabilmente impedita dalle inadempienze finanziarie e solo risultano consulenze e pareri per parenti e amici, spesso retribuiti con compensi in natura. Priva di riscontri la notizia del Litta secondo la quale "fu al servizio della corte di Roma", quale tesoriere pontificio nella Marca anconetana.
Di uno status modesto testimonia anche il matrimonio nel 1458 con Bartolomea di Stefano (Villari, I, p. 279) o di Alessandro Nelli (Tommasini, I, p. 78), già vedova di Niccolò Benizzi, sepolta il 12 ott. 1496; un discendente nel XVII secolo le attribuì laudi e capitoli, mai esibiti. Dal matrimonio nacquero Primavera (1465), Margherita (1468), Niccolò (3 maggio 1469, battezzato il giorno successivo in S. Maria del Fiore) e Totto (1475). Positivi i rapporti con i Nelli, in particolare con il cognato Giovanni, il quale nell'estate del 1479 accolse i nipoti nella povera tenuta di Montebuiano in Mugello, per sottrarli alla minaccia pestilenziale della città.
Mentre le dichiarazioni fiscali del padre evidenziano scarse risorse e forti indebitamenti, nel 1470 il M. godeva della consistente eredità degli zii: da Giovanni (e dal nipote Machiavello) gli pervenne tra l'altro la celebre villa dell'Albergaccio; per i beni dello zio Totto (socio dei Bardi e in commercio con le ditte medicee), ancora tra il 1497 e il 1513, il M. e i figli corrispondevano onoranze al convento di S. Croce. Il Catasto del 1480 e la decima repubblicana del 1498 evidenziano risorse patrimoniali ma una scarsa disponibilità monetaria, frutto delle numerose alienazioni di immobili. Fondamentali i ricavi dei possessi agricoli: trascurando investimenti e manutenzioni, scaricando incombenze e responsabilità sui mezzadri, tormentati da indigenza, i poderi assicuravano un modesto tenore di vita e permettevano lo scambio con altri prodotti, compresi i libri tanto appetiti dal Machiavelli.
Il M. morì il 10 maggio 1500, come attesta il Libro dei morti, e fu "riposto in Santa Croce" (Villari, II, p. 560), nella cappella "accanto alla porta che si diceva de' Guardi" (cit. in Tommasini, II, p. 900); nel convento aveva redatto i due testamenti del 1477 e 1483. Giuliano de' Ricci ricorda come, segnalando i religiosi l'introduzione abusiva di altri corpi nella tomba, il figlio Niccolò rispondesse: "Deh, lasciateli fare, perché mio padre era amico della conversazione, e quanti più andranno a trattenerlo, tanto più piacere ne avrà" (ibid.).
Martelli (1975, pp. 52-55) ha escluso che il M. potesse aver donato una tavola d'altare alle monache del convento cittadino del Paradiso; la situazione finanziaria continuava a essere malferma e Niccolò, dopo che nell'autunno morì anche la sorella Primavera, chiese di rientrare da Nantes, poiché "restono le cose mia in aria et sanza essere ordinate" (Legazioni, I, p. 441). Il padre gli aveva lasciato i beni a mezzo con il fratello Totto, il quale, scegliendo lo stato ecclesiastico nel gennaio 1510, rinunciò alla propria quota; Niccolò si dovette però sobbarcare debiti e imposte inevase dal genitore, il quale, come dimostra il Libro di ricordi, dal 1451 al 1486 aveva avviato complessi negoziati. La presenza di parenti nelle commissioni fiscali comunali aveva favorito la cancellazione delle pendenze del '51 e '55 e nel 1475 aveva ottenuto dagli Ufficiali delle grazie un ampio condono.
La condizione finanziaria pesava sul futuro dei discendenti: nell'ambiente dei giurisperiti il M. negoziò l'unione di Margherita con messer Bernardo Minerbetti; ma Primavera costrinse il M. a un triennio di trattative con messer Giovanni Vernacci, del cui figlio Francesco si era invaghita, realizzando uno dei rari matrimoni d'amore approvati dai padri.
Il M. seppe sfruttare la presenza di Niccolò di Alessandro Machiavelli nella Signoria del 1498 per avviare la carriera del primogenito; lo aveva preparato alla professione cancelleresca in un percorso educativo domestico, aperto a contatti con Marcello Virgilio Adriani e con il cancelliere della Repubblica fiorentina Bartolomeo Scala.
Sono notissimi i cinque passi del Libro di ricordi nei quali il M. scandisce il tirocinio scolastico dei figli: nel 1476 Niccolò fu affidato al maestro Matteo Della Rocca per i rudimenti del latino; l'anno successivo a ser Battista di Filippo da Poppi (o dalla Scarperia); nel 1480 "Niccolò d'anni 11, Totto d'anni 5: vanno a scuola" (Arch. di Stato di Firenze, Catasto, 994, c. 128r) per apprendere l'abbaco, "a imparare la tavola" alfabetica (Libro di ricordi, Firenze 1954, p. 103) presso la scuola di un maestro Pier Maria; ser Paolo Sassi da Ronciglione introdurrà poi il maggiore ai classici con altri rampolli di famiglie impegnate nella Cancelleria. Verso quella cerchia politica e culturale convergeva il M., scelto come protagonista dallo Scala nel dialogo De legibus et iudiciis, dedicato a Lorenzo de' Medici nel febbraio 1483; l'autore implicava l'"amicus et familiaris" in una strategia non ostile al signore e in seguito si avvicinò a Girolamo Savonarola. Forse allora emergevano vecchie propensioni del M., attestato nel 1456 e nel 1466 tra i membri della Confraternita della Pietà o di S. Jeronimo, indicata nelle Istorie fiorentine di Niccolò come centro dell'opposizione antimedicea. Tale adesione non dimostra i reali sentimenti religiosi del M., come l'assenza nel suo registro di invocazioni a santi e divinità non può essere letta quale magistero ateo per il figlio. Il dialogo filosofico-giuridico è collocato nella casa dello Scala, impedito dal maltempo e dalla gotta, mentre si scatena il carnevale. Il M. è chiamato a dar voce al tema della eternità delle leggi, in sintonia con le riforme legislative fiorentine, la recente traduzione di Marsilio Ficino dello pseudo platonico dialogo Minos e le posizioni di Matteo Palmieri; non mancano elogi per Cosimo de' Medici come per alcune norme pontificie, in una visione conservatrice che guarda a tradizioni nobiliari.
Le posizioni espresse non sembrano distanti dagli interessi del M., ricostruibili dalle notizie sulla sua biblioteca, della quale è stato identificato il volume, postillato anche dal figlio Niccolò, con le Historiarum ab inclinatione Romanorum imperii decades di Biondo Flavio (Venezia, Ottaviano Scoto, 1483: Indice generale degli incunaboli, 1756; conservato a Firenze, Biblioteca nazionale, D.7.8), acquistato dal libraio Filippo di Giunta; non sappiamo se fu il M. a guidare Niccolò nella trascrizione di Lucrezio e dell'Eunuchus terenziano, raccolti nel codice conservato presso la Biblioteca apostolica Vaticana, Ross., 884; ed è incerta l'identificazione di un manoscritto londinese contenente l'opera virgiliana.
Acquisti e fitti prestiti e scambi con privati e istituzioni, specialmente il convento di S. Croce, consentirono al M. di maneggiare opere ciceroniane (De officiis, Philippica, De oratore, Rhetorica nova), miscellanee di Aristotele e l'Etica Nicomachea commentata da Donato Acciaiuoli; tra gli storici Trogo Pompeo e Giustino, ma anche l'Italia illustrata e le Deche di Biondo; infine le Decades liviane: "Non è dato sapere, per l'opera liviana, di quale edizione si trattasse; se non fosse cioè proprio quella promessa da Niccolò di Lorenzo della Magna, libraio in Firenze, a compenso dell'indice dei luoghi che messer Bernardo si impegnò a compilare il 22 sett. 1475. Il lavoro fu condotto a termine il 5 luglio dell'anno seguente, ma non risulta se l'opera fu poi edita" (Bertelli, 1961, p. 549; per una dettagliata ricostruzione, pp. 547-549).
Imponente poi la presenza di volumi tecnici in servizio delle competenze giuridiche, che pur in assenza di una diretta professionalità, il M. aggiornava; e ancora le note dedicate a Tolomeo, Plinio, Macrobio, alla Bibbia confermano l'attenzione per gli aspetti materiali dei volumi, fatti rilegare con accurate scelte personali, e l'interesse per i prodotti delle tipografie da poco attivate in Firenze. Questa dispendiosa passione contrasta con le dure condizioni di vita imposte ai familiari, che Niccolò ricorda, pur nelle convenzioni della poesia burchiellesca, nel sonetto "A messer Bernardo suo padre": Costor vivuti sono un mese o piue, in cui lamenta scarse risorse trasferite dalla campagna e allude a conoscenze legislative inutili, come ripeterà nei ritratti teatrali di Nicia e di Nicomaco, nella Mandragola. Il rimprovero era anche per i lunghi soggiorni in contado, e in effetti nelle pagine delle ricordanze il M. si muove per lo più nei luoghi agresti, curando i boschi, litigando con villici e piccoli artigiani nell'osteria padronale, ritirandosi nelle stanze della villa per dedicarsi alle stesse letture sulle quali mediterà il figlio. La sua presenza filtra anche le analisi del Libro di ricordi del M., un registro a vacchetta, tenuto secondo le formule consuete in scrittura mercantesca; altri volumi sono perduti ("libro .b. debitori e creditori", ed. cit., p. 219; "uno mio stracciafoglio - ricordanze tengo in villa", p. 121; come il libro da cui trasse notizie del 1460 Ristoro di Lorenzo Machiavelli a fine Cinquecento). Centrali nel Libro .A., che abbraccia il periodo dal settembre 1474 all'agosto 1487, sono le attività agrarie, che assicuravano la sussistenza e ricavi monetari attraverso mercanti e bottegai, con i quali si aprono lunghi contenziosi; agli impegni economici si affiancano varie contingenze, come gli effetti della guerra dopo la congiura dei Pazzi e l'episodio di un'avventura amorosa servile. La puntuale ricostruzione svela il forte senso dell'onore della casata (fondamento per le annotazioni dei patronati religiosi), che il M. sente messo drammaticamente in discussione. La larghezza del racconto, che assume talvolta movenze di novella boccaccesca, evidenzia le doti espressive del M., il quale sviluppa gusto narrativo, spiccata capacità ritrattistica e di ambientazione scenica in molte altre pagine, dove incontri, personaggi, episodi, evocano efficaci ritratti, azioni teatrali, a tratti dialogate, e descrizioni dei luoghi cittadini e degli spazi privati. Ricca di implicazioni economiche e simboliche la vicenda del matrimonio della figlia Primavera con il figlio di Giovanni Vernacci, il quale si staglia a tutto tondo nella lunga trattativa. Forte valenza scenica e abilità di rappresentazione ha pure l'episodio della "peste" che colpì nel 1478 il M., costretto all'isolamento domestico; e nell'oscurità di vicoli e porte di servizio si muovono medici e parenti caritatevoli, e soprattutto la figura comprensiva della moglie, altrimenti evanescente e subordinata alle decisioni del capofamiglia.
Meritoria la citata edizione del Libro di ricordi, da parte di Cesare Olschki, alcuni passi della quale sono stati riprodotti in Mercanti scrittori. Ricordi nella Firenze tra Medioevo e Rinascimento, a cura di V. Branca, Milano 1986, pp. 571-578; ma oggi il testo conservato nella Biblioteca Riccardiana di Firenze (Mss., 3981) andrebbe riproposto con scrupolo linguistico e grafico, puntando a ricostruire i rapporti con una schiera di interlocutori familiari e cittadini, che fanno del M. un personaggio (nonostante i tratti umbratili, dovuti forse alla marginalità economica e sociale) pienamente partecipe degli umori e della sensibilità del proprio tempo, tanto da cogliere i grandi mutamenti che la cultura rinascimentale proponeva alle figure più vigili e reattive.
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