MARAGONE, Bernardo
Presumibilmente di origini pisane, è attestato nelle fonti pisane dal 1142 al 1186; la maggior parte delle notizie su di lui provengono dalla sua cronaca: il testo cronistico convenzionalmente noto con il titolo Annales Pisani di cui il M. è stato riconosciuto autore dalla critica a partire dalla fine del XIX secolo.
Il M. e i suoi discendenti furono esperti di diritto: niente invece è noto del padre Uberto, di cui il M. tace e che risulta di difficile individuazione: probabilmente non si trattava di un personaggio di rilievo. Il soprannome Maragone potrebbe far pensare al mestiere di marangone, ossia maestro d'ascia, e quindi far immaginare che gli antenati del M. lavorassero nella cantieristica navale.
Dagli Annales Pisani risulta che dal 1158 il M. fu per ben dodici volte provvisore, cioè giudice, del tribunale dell'uso, che si occupava di diritto consuetudinario e commerciale. Gli Annales Pisani lo ricordano anche come ambasciatore a Roma nel marzo 1151, e con il console Ranieri Gaetani alla Dieta tenuta a San Genesio dal cancelliere imperiale Rinaldo da Dassel il 10 maggio 1164, dopo la quale, insieme con un collega giurisperito, Ildebrando del fu Pagano, accompagnò in Maremma e in Val d'Era i consoli Ranieri Gaetani e Lamberto Crasso da San Casciano inviati per consolidare la sottomissione di quelle zone a Pisa.
Il M. compare nella documentazione una sola volta nell'esercizio delle sue funzioni giudiziarie, l'8 giugno 1163, e tre volte come testimone in importanti documenti per lo più di ambito giudiziario: il 19 ott. 1142 nella refuta dei consoli di Vada a quelli del vicino Rosignano Marittimo in esecuzione della sentenza pronunciata dai giudici nominati dall'arcivescovo Baldovino; il 3 genn. 1154 nella donazione dell'arcivescovo Villano allo spedalingo dell'ospedale presso il ponte di Oscione e il 21 maggio 1170 in una sentenza dei pubblici giudici, cui va aggiunta la fideiussione prestata a un privato il 18 marzo 1165. L'ultima notizia risale al 10 apr. 1186, quando un atto fu redatto "Pisis in Foriporta sub porticu domus Bernardi Maragonis", alla presenza del figlio Salem. Il M. risiedeva dunque nel quartiere di Foriporta, un'area originariamente suburbana a oriente della civitas altomedievale, ma nella seconda metà del XII secolo inglobata nelle mura cittadine e intensamente urbanizzata.
Il M. compare anche in un testo pisano coevo, la Vita di s. Ranieri di Pisa, scritta poco dopo la morte del santo, avvenuta nel 1160, da Benincasa, canonico della cattedrale pisana. Tra i vari miracoli vi è narrata la guarigione di Enrico Romella, membro dell'importante famiglia consolare degli Orlandi Gatti. Costui, ammalato, invocava il nome del santo: il M., che era presente, osservò "Tu magnam fidem habes in homine isto", e poiché Enrico voleva mandare a prendere l'acqua benedetta da Ranieri, il M. gli disse "Mitte, postquam tantam fidem habes in eo, sed non spuat ibi", al che il malato rispose "Ego fidem habeo in eo, quia que sunt eius me liberabunt" e infatti così avvenne, dopo che Enrico ebbe confessato i suoi peccati all'arciprete della canonica cattedrale. Oltre agli stretti rapporti con eminenti rappresentanti d'importanti casate, il testo mostra il carattere del M., poco propenso a credere alle virtù taumaturgiche di Ranieri e critico dei metodi da lui usati.
Dagli Annales Pisani si ricavano altre notizie, poiché sotto l'anno 1181 si legge: "Infine a qui ha fatto Bernardo di Maragone, homo buono, savio et pronto in dicti et facti et in ogni opera per honor della città in terra et in mare, il quale visse anni octanta in bona vecchiaia et vide e' figloli de sua figloli infino in terza et quarta generatione, et tutte queste cose vidde et cognove per grazia et misericordia dello omnipotente Idio, et compose et fece questo regestro insieme con Salem suo figlolo, homo dotto in legge et savio, buono et pronto in praticar et giudicar, il quale Salem tenne le vestigie di suo padre, et tanto più che lui era doctor di legge, pieno di scienzia, homo di bona progenie nato et nobile cittadino della città di Pisa. Et da qui inanzi farà solo esso Salem, aiutandolo Idio il quale vive et regna per infiniti seculi de seculi, amen" (Annales Pisani, a cura di M. Lupo Gentile, p. 73).
Il M. dunque operò non solo in città ma fuori di essa, per terra e per mare, cosa che può spiegare sia l'insolito interesse per i Paesi del Mediterraneo, sia il nome di derivazione araba del figlio, Salem, chiaro indizio di rapporti con l'Africa settentrionale. Ma il passo testimonia ancora una volta gli interessi e la formazione del ceto dirigente cittadino, che all'attività armatoriale, finanziaria e commerciale in tutto il Mediterraneo univa la proprietà immobiliare in città e nei dintorni e spesso anche la professione giuridica.
Benché gli Annales facciano riferimento a figli e nipoti del M., la documentazione ha conservato pochissime notizie sui suoi discendenti, tutti eredi della sua professione; le informazioni si concludono con il secondo decennio del XIV secolo. Di costoro, il personaggio più rilevante fu il figlio Salem, "doctor di legge" e continuatore degli Annales, attestato più volte, dal 1159 al 1196, come avvocato e testimone in sentenze oppure giudice dei diversi tribunali cittadini, in particolare nella curia della legge per ben otto volte tra il 1160 e il 1192, ma anche in quelle dei forestieri e degli appelli, e arbitro in liti tra privati. Senatore, il 29 giugno 1181 fu scelto per far parte della commissione di arbitri destinata, secondo la pace allora stipulata con Lucca, a dirimere le vertenze tra cittadini pisani e lucchesi. Anch'egli, come il padre, abitava in Foriporta, e risulta defunto il 23 dic. 1199: la sua vedova, Bona del fu Pagano, apparteneva a una casata di un certo rilievo sociale, residente in Chinzica, il quartiere a sud dell'Arno.
Nella forma in cui è pervenuto, il testo convenzionalmente noto come Annales Pisani comincia da Adamo, e con una decina di rapidissime frasi relative alla storia sacra e a quella romana giunge a Pipino, all'anno 688, e di qui prosegue in forma annalistica: otto brevi indicazioni sui Carolingi e poi sei su avvenimenti dell'Italia meridionale dei secoli IX e X. Dal 971 iniziano le notazioni, sempre annalistiche e brevissime, relative alla storia di Pisa e ad azioni dei Pisani, che gradatamente si ampliano per la seconda metà dell'XI secolo e i primi decenni del XII: il racconto annalistico si fa più ampio e articolato dal 1136 e particolarmente disteso dal 1158, allorché comincia l'indicazione delle magistrature cittadine. Il testo prosegue fino al marzo 1184, cui segue isolata una notizia del maggio 1191, interrotta a metà della frase: non è noto perciò fin dove Salem avesse continuato l'opera del padre e neppure le ragioni della lacuna 1184-91.
Il testo trasmesso mostra chiaramente di essere il risultato di un'opera di cucitura di brani diversi, poiché all'opera originale del M. - relativa al periodo federiciano a lui contemporaneo, a partire cioè dal 1158 - fu premessa pochi decenni dopo, evidentemente per offrire un quadro più completo della storia cittadina, una serie di notizie annalistiche relative al periodo precedente, delle quali sono ignoti gli autori e le epoche di composizione, pervenute peraltro anche in altre redazioni più o meno simili o ampie.
Sia il M. sia il figlio Salem facevano a pieno titolo parte del ceto dirigente pisano, del quale essi riflettevano chiaramente le aspirazioni, le idealità e le scelte politiche: la loro opera si presenta pertanto come uno dei più rilevanti esempi di cronistica cittadina del XII secolo. Gli Annales Pisani sono un testo tutto volto a esaltare e a magnificare Pisa e i suoi cittadini, con un precipuo interesse per le vicende interne della città - compresi incendi, carestie, alluvioni -, per le opere pubbliche (la fondazione del battistero, la costruzione delle mura, la fortificazione di Porto Pisano, le opere idrauliche, ecc.), per la politica estera (per esempio resoconti di ambascerie) e per le azioni militari, marittime e terrestri, narrate con molti particolari, che opposero i Pisani ai tradizionali nemici lucchesi e genovesi, ma anche ai Normanni dell'Italia meridionale e ai musulmani in Oriente, in difesa del Regno di Gerusalemme. Molto interessante, perché rara e insolita nella cronistica cittadina del tempo, è la notevole apertura "internazionale" dell'opera, per le frequenti notizie sui Paesi del Mediterraneo cui i Pisani erano interessati, dalla Sardegna all'Egitto e al Maghreb, dal Regno normanno dell'Italia meridionale all'Oltremare degli Stati crociati e all'Impero bizantino di Costantinopoli. I due autori, esperti di diritto, rivelano inoltre una grande attenzione per l'uso della documentazione, cui essi, per le funzioni pubbliche svolte, avevano facile accesso.
Per la sua genesi e la sua formazione la cronaca, redatta negli anni Ottanta del XII secolo, tra la pace con Lucca del 1181 e la morte di Federico I (1190), rivela un forte rapporto con la politica e l'azione del Barbarossa, l'imperatore cui i Pisani legarono le proprie sorti nella speranza di ottenerne ingenti concessioni e consolidare la propria posizione nel Mediterraneo e in Toscana. Gli Annales appaiono scritti proprio per narrare la storia di Pisa nel periodo federiciano come veniva vista e interpretata da coloro che di quella politica erano stati gli artefici e i promotori. Un'epoca colma di eventi favorevoli e di speranze, di successi e di affermazioni politiche e militari, in cui la potenza della città pareva essersi dispiegata al massimo grado, ma anche, all'interno, un periodo di grande e profondo rinnovamento politico, giuridico ed economico, che portò Pisa all'avanguardia tra le città italiane, allorché furono riordinate le strutture politiche e amministrative del Comune e si diede inizio a un vasto programma d'interventi urbanistici che mutarono il volto della città.
Tutti questi aspetti acquistano però un particolare risalto nella versione volgare della cronaca più che in quella latina, finora l'unica pienamente nota, benché non rispecchiante appieno le caratteristiche dell'opera. Questo testo fondamentale per la storia di Pisa nel XII secolo, in quanto in grado di fornire una serie d'importanti notizie su personaggi cittadini, magistrature, opere pubbliche, relazioni internazionali e fatti d'arme altrimenti sconosciute, ebbe una diffusione prevalentemente privata e limitata ed è pertanto pervenuto attraverso uno scarso numero di codici, per di più incompleti e lacunosi. I codici possono essere distinti in due gruppi, di cui l'uno, in lingua latina, rappresentato da tre esemplari, tramanda un testo più conciso e riassunto, l'altro, in volgare pisano trecentesco, contiene una versione più ampia e distesa.
Per quanto attiene al primo gruppo, il codice più antico, scritto da mano italiana nel XIII secolo, è conservato a Parigi nella Bibliothèque de l'Arsenal e termina con la spedizione del re di Sicilia Guglielmo II contro l'Egitto nel luglio 1174, la cui narrazione è interrotta dopo le prime righe. Sostanzialmente analogo, se pur con alcune significative differenze, è un codicetto cartaceo in 8° tardocinquecentesco di mano di Raffaello Roncioni, comprendente il periodo 970 - 29 ag. 1174: esso non fu verosimilmente esemplato direttamente sul parigino, ma su un altro simile. Del testo contenuto nel codice ora a Parigi esiste una copia fedele ma relativa ai soli anni 1162-74, di mano cinquecentesca, nell'Archivio capitolare di Pisa, in un codice cartaceo in 4°, miscellaneo, nel quale è contenuta anche la traduzione volgare.
Il secondo gruppo, in volgare, è rappresentato da un solo esemplare, un manoscritto cartaceo in 4°, della seconda metà del secolo XVI, smembrato tra due diversi archivi, il Capitolare di Pisa e l'Archivio Roncioni (presso l'Archivio di Stato di Pisa), scoperto alla fine del XIX secolo da Luigi Alfredo Botteghi. Probabilmente a motivo dello smembramento, mancano le carte relative agli avvenimenti dall'agosto 1172 al luglio 1175. Il ritrovamento della versione volgare permise a Botteghi di dare un importante contributo alla questione maragoniana, dimostrando come l'autore degli Annales Pisani fosse il M. e come il testo volgare risultasse una traduzione pedissequa di un originale perduto. Infatti la versione volgare contiene molti elementi in più rispetto al codice di Parigi, il quale invece si presenta come un estratto, in cui il racconto è sfrondato non solo degli elenchi dei magistrati ma anche di parecchi avvenimenti. Malauguratamente l'edizione in seguito approntata da Michele Lupo Gentile fu condotta sul codice parigino, erroneamente ritenuto, in quanto più antico, più vicino all'originale, le cui lacune furono colmate con i codici degli Archivi Capitolare e Roncioni.
Il redattore della versione latina, infatti, non solo eliminò quasi tutti gli elenchi delle magistrature dal 1158 al 1172 e ben diciotto rubriche, ma semplificò il testo, omettendo un buon numero di aspetti rilevanti, come l'ampio uso di epiteti laudativi per i Pisani e l'imperatore e una serie di frasi significative e rivelatrici degli ideali politici e della passione municipale dell'autore oppure interessanti particolari riferiti a singoli personaggi, di cui si ponevano in evidenza gli elementi caratterizzanti, sino a offrirne in alcuni casi veri e propri ritratti.
Il redattore della versione latina, cioè, tralasciò non solo un buon numero di eventi, ma anche di frasi e di parole, che evidentemente per lui e per i suoi lettori erano privi d'interesse, inutili o superflui: di alcuni decenni più giovane del M., questi operava in una mutata situazione politica, in cui certi fatti, i nomi dei consoli e dei magistrati, gli eventi personali e le caratteristiche di determinati uomini - contemporanei, colleghi e magari amici del M. - non rivestivano più alcuna importanza e potevano essere tranquillamente tralasciati. Esistono però discrepanze tra le due versioni, difformità nella cronologia e differenze nell'ordine delle rubriche: il redattore del testo latino, oltre a eliminare alcuni aspetti presenti nell'originale, sembra aver ordinato il testo in modo più strettamente cronologico, anche se, per quanto riguarda la datazione dei singoli fatti, la versione volgare appare di solito preferibile. Il traduttore in volgare, che operò non prima della metà del XIV secolo, era però piuttosto incolto, donde errori e fraintendimenti: egli tradusse in maniera pedissequa, ad litteram, tanto che talvolta le frasi non risultano molto perspicue e occorre ripensarle in latino.
Annales Pisani, codici ed edizioni. Versione latina: Parigi, Bibliothèque de l'Arsenal, Hist., 1110, cc. 14r-88v; F. Bonaini, Vetus Chronicon Pisanum, in Arch. stor. italiano, s. 1, 1845, t. 6, parte 2a, pp. 3-71; Annales Pisani, a cura di K. Pertz, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, XIX, Hannoverae 1866, pp. 238-266; da esso deriva direttamente il codice C.105 (sec. XVI, cc. 36r-54r, anni 1162-77) dell'Archivio capitolare di Pisa; Arch. di Stato di Pisa, Archivio Roncioni, 344 (diplomatico cartaceo, secolo XVI: cfr. L.A. Botteghi, B. M. ancora l'autore degli Annali Pisani?, in Studi storici, VII [1898], p. 159); C. Vitelli, Catalogo dei codici che si conservano nell'Archivio Roncioni, ibid., XI (1902), pp. 146 s. Versione volgare: Pisa, Arch. capitolare, C.105, cc. 59r-99v: cfr. M. Lupo Gentile, Prefazione, in Rer. Ital. Script., 2a ed., VI, 2, pp. XVI s.; Arch. di Stato di Pisa, Archivio Roncioni, 352 (diplomatico cartaceo, seconda metà secolo XVI: cfr. Vitelli, Catalogo, p. 153; Lupo Gentile, Prefazione, cit., pp. XVII s.). Annales Pisani, a cura di M. Lupo Gentile, in Rer. Ital. Script., 2a ed., VI, 2, pp. 3-74.
Fonti e Bibl.: Pisa, Archivio capitolare, C.105, cc. 64v, 73v; Diplomatico, nn. 541, 662, 688-691; Arch. di Stato di Pisa, Diplomatico, S. Lorenzo alla Rivolta, 18 marzo 1165, 10 apr. 1187, 11 febbr. 1190; Diplomatico, Olivetani, 14 nov. 1180; Diplomatico, S. Michele in Borgo, 11 ag. 1181; Diplomatico Roncioni, 22 sett. 1185, 28 marzo 1187, 12 genn. 1196; Diplomatico Cappelli, 8 genn. 1186; B. Maragone, Annales Pisani, a cura di M. Lupo Gentile, in Rer. Ital. Script., 2a ed., VI, 2, pp. 13, 22, 25, 28, 31 s., 71 s., 73; Benincasa, Vita sancti Raynerii solitarii, a cura di D. van Papenbroeck, in Acta sanctorum, Iunii, III, Antverpiae 1701, p. 446; F. Bonaini, Statuti inediti della città di Pisa dal XII al XIV secolo, I, Firenze 1854, p. 318; N. Caturegli, Regesto della Chiesa di Pisa, Roma 1938, n. 433; A. D'Amia, Le sentenze pisane dal 1139 al 1200. Contributo allo studio della diplomatica giudiziaria e della cultura giuridica in Pisa, con la trascrizione di alcune pergamene dell'Archivio di Stato, in Id., Diritto e sentenze di Pisa ai primordi del Rinascimento giuridico, Milano 1962, nn. VII, X, XII, XXV; L. Carratori Scolaro - R. Pescaglini Monti, Carte dell'Archivio arcivescovile di Pisa. Fondo Luoghi vari, III, (1281-1300), Pisa 1999, Appendice, n. 1; M.L. Orlandi, Carte dell'Archivio della Certosa di Calci (1151-1200), Pisa 2002, nn. 62, 185; S.P.P. Scalfati, Carte dell'Archivio arcivescovile di Pisa. Fondo arcivescovile, Pisa 2006, II, (1101-1150), n. 142; III, (1151-1200), nn. 30, 34, 87-88, 108, 116, 131; P. Scheffer-Boichorst, Die ältere Annalistik der Pisaner, in Forschungen zur deutschen Geschichte, I (1871), pp. 508-527; A. Schaube, B. M. doch der Verfasser der Annali Pisani, in Neues Archiv der Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtskunde, X (1885), pp. 141-161; L.A. Botteghi, B. M. autore degli Annales Pisani, in Archivio Muratoriano, II (1921), 22, pp. 645-661; M.L. Ceccarelli Lemut, B. M. "provisor" e cronista di Pisa nel XII secolo, in Legislazione e prassi istituzionale a Pisa (secoli XI-XIII). Una tradizione normativa esemplare. Atti del Convegno…, Pisa… 1994, a cura di G. Rossetti, Napoli 2001, pp. 181-199; Rep. font. hist. Medii Aevi, VII, pp. 443 s.