MORANDO, Bernardo
MORANDO, Bernardo. – Non possediamo dati sicuri sulla famiglia di origine, il luogo e la data di nascita di questo architetto civile e ingegnere militare originario del Veneto, trasferitosi definitivamente in Polonia intorno al 1569, né abbiamo notizie della vita trascorsa in Italia prima di questa data. Anche se nelle fonti archivistiche custodite in Polonia è chiamato sia «Veneziano» sia «Padovano», Morando nacque probabilmente a Padova (Lewicka, 1959, p. 143), forse intorno al 1540 da genitori appartenenti alla famiglia dei Morando, noti fonditori e costruttori di bombarde al servizio della Serenissima o, come è stato proposto, da un membro della famiglia veronese dei Morando- Serena (Kowalczyk, 1967, p. 337).
Prima di trasferirsi definitivamente a Zamość, sposò una certa Caterina, di nazionalità ignota, da cui ebbe due femmine – Camilla e Lidia – e quattro maschi – Nicola, Andrea, Raffaello e Gabriele – rimasti tutti in Polonia.
Anche se il nome di Morando compare in diversi documenti a partire dal 1571, dei primi nove anni di soggiorno in Polonia le notizie sono scarse. Dell’ultimo periodo di vita, compreso tra il 1578 e il 1600, si ha invece una buona conoscenza, suffragata da diverse testimonianze documentarie e, soprattutto, dalle opere superstiti. Gli unici documenti autografi di Morando sono cinque lettere inviate al gran cancelliere e gran etmano della Corona Jan Zamoyski, in cui tratta questioni strettamente inerenti il ruolo e i compiti tipici di un direttore dei lavori. Non sono pervenuti, invece, disegni di progetto siglati o testi esplicativi degli orientamenti architettonici e urbanistici.
Sugli anni della prima formazione e i maestri a contatto dei quali Morando sviluppò le sue conoscenze in materia sia di arte militare sia di architettura civile, è stato ipotizzato, attraverso l’esame delle opere realizzate in Polonia, che avrebbe frequentato l’ambiente romano e la cerchia di artisti e architetti cresciuta attorno a Michele Sanmicheli (ibid.).
Morando iniziò la sua carriera a Varsavia, dove giunse verso il 1570 (Lewicka, 1959, p. 143). I primi passi come architetto li fece probabilmente lavorando per non più di un triennio al fianco di un altro connazionale, l’architetto ticinese Giovanni Battista Quadro da Lugano. Nel 1573 prese in affitto la fornace cittadina e assunse la direzione di importanti lavori non meglio precisati nel castello reale, avvalendosi della collaborazione di diversi mastri muratori italiani. Del suo soggiorno nella capitale, possediamo due sole altre notizie: la prima si riferisce a un viaggio in Francia, fatto nel 1573 partendo appunto da Varsavia, ma del quale si ignora lo scopo, e la seconda concerne una serie di interventi condotti nel 1575 a carico della cappella dei padri mansionari nella cattedrale di S. Giovanni (ibid.).
La fortuna di Morando come architetto ha inizio nel 1578, con la decisione, da parte di Jan Zamoyski, di fondare la Nuova Zamość quale capitale del maggiorascato: un patrimonio calcolato in 3830 km2, con sei città e 149 villaggi (Tarnawski, 1935), ossia la quarta parte di un immenso dominio personale che, con i vasti possedimenti in Ucraina, si estendeva per «17.000 km2, con circa venti città e centinaia di villaggi» (Guidoni - Marino, 1982, p. 452), compreso tra i territori di Leopoli (oggi L′viv, Ucraina) e Lublino e all’incrocio di importanti vie di traffico commerciale. Il primo riferimento al piano-progetto per Zamość e a Morando come suo autore è contenuto in una lettera inviata da Zamoyski al suo procuratore, Maciej Topornicki, il 3 ottobre 1579, per chiedere che «Bernardo [gli mandasse] il disegno della disposizione del terreno della cittadina» (Kowalczyk, 1986, p. 12). Ma già l’anno prima, con la decisione di Zamoyski di affidare a Morando l’incarico «per la costruzione di un castello a Skokòwka» (Tomkowicz, 1922, p. XLIV), ossia il palazzo residenziale della Nuova Zamość e di fargli sottoscrivere a Leopoli, il 1° luglio 1578, il relativo contratto, si erano gettate le basi per l’attuazione dell’ambizioso programma. Dal 1578 fino alla morte, Morando rimase al servizio dello Zamoyski, lavorando come progettista e direttore dei lavori nel grande cantiere della nuova città. Subito dopo la firma del contratto, in assenza dello Zamoyski, chiamato a partecipare alla difesa della Livonia contro gli invasori russi, si procedette alla posa della prima pietra del palazzo residenziale e alla scelta dell’area destinata alla costruzione della città (1579). Se il progetto di piano è da ascrivere interamente a Morando, la localizzazione della città, coincidente con le pianure alluvionali immediatamente a nord di Skokówka, il centro natio del cancelliere dove sorgeva il piccolo castello di famiglia, è da riferire alle decisioni di un’apposita commissione istituita dal fondatore e ai lavori di rilievo topografico di un geometra polacco, Franciszek Porowski (Miłobędzki, 1953, p. 77; Herbst, 1954, p. 12). Il decreto fondativo della nuova città fu varato il 3 aprile 1580.
La forma poligonale e asimmetrica che Morando conferì alla cinta muraria, fu suggerita dalla morfologia del sito. La forma composita prodotta – il rettangolo, che racchiudeva il palazzo residenziale, e il pentagono di contenimento dell’abitato – era incardinata a un asse coincidente con la via principale che, procedendo da ovest verso est, rilegava in una unica cadenzata sequenza la residenza di Zamoyski, una vasta area libera destinata a piazza d’armi, la grande piazza centrale detta del «mercato maggiore » e l’estremo baluardo orientale, nei pressi del quale si apriva la porta di Leopoli. La forma, le dimensioni e la localizzazione di spazi e manufatti rispondeva a uno stesso principio di organizzazione della pianta d’insieme, impostata su una doppia griglia di moduli quadrati rispettivamente di 45,5 m e 4,55 m di lato, in un rapporto quindi di 1:100 (Miłobędzki,1953, p. 73). Il piano urbanistico – e quindi il perimetro delle mura, la maglia viaria, le piazze, gli isolati e la divisione lottizzativa – fu sviluppato sulla base del modulo maggiore, mentre i volumi edilizi (residenze e edifici pubblici) furono dimensionati sul suo sottomultiplo. Morando non si limitò ad adottare un rigoroso principio d’ordine solo nel disegno del piano d’insieme ma decise di graduare l’altezza dei volumi in base alla loro funzione e per fare ciò si affidò al sistema degli ordini architettonici, articolato in altezza nel rispetto delle regole classiche codificate da Sebastiano Serlio.
Secondo la ricostruzione che è stata fatta delle parti realizzate e di quelle previste al 1605 (Zarębska, 1980, fig. 14), si può supporre che Morando abbia concepito le strade longitudinali (quelle con andamento est-ovest) come cannocchiali prospettici confluenti in una serie di poli monumentali disposti a mo’ di fondali: all’estremità occidentale dell’asse mediano collocò la residenza del cancelliere, il palazzetto della consorte, l’arsenale e il giardino; le due arterie che corrono parallele alla via principale, lambendo la «piazza del mercato del sale» a nord e la «piazza d’acqua» a sud, sboccavano rispettivamente sul complesso dell’Accademia, con l’annesso convitto per gli studenti e i professori e sull’abside della grande chiesa collegiale con il vicino palazzo del prelato mitrato e l’ospedale. Esattamente a metà della via principale si apriva la piazza maggiore porticata di 100×100 m che, con il municipio che vi si affacciava e le due piazze del mercato che la fiancheggiavano, marcava l’asse trasversale nordsud, caratterizzandolo in funzione della civitas. Sul versante orientale, come a formare un avamposto dell’abitato rivolto verso le mura, Morando destinò alcune aree alla comunità armena (chiesa, cimitero e ospedale), ai militari (casa del vice-capitano e caserma) e alla gilda.
Se la realizzazione del terrapieno esterno fu avviata già nel 1579, la costruzione di edifici e spazi pubblici e l’edificazione delle residenze private iniziarono dopo il 9 agosto 1583, data di chiusura delle numerose operazioni di permuta dei terreni con i contadini del posto e, conseguentemente, delle divisioni lottizzative. L’iter costruttivo fu preceduto dalla messa in esercizio di impianti di produzione di materiali edili – fornaci di mattoni e di calce, vetrerie, ferriere, cave – e di un porto sul fiume San, presso Krzeszów, in grado di assicurare il trasporto di ogni genere di materiale. Le fonti consentono di ricostruire una cronologia dei lavori articolata in tre fasi costruttive fondamentali. Nella prima, che va dal 1579 al 1585, si edificò il complesso residenziale del fondatore, con la cinta munita di torrette angolari e l’arsenale. La seconda, durata circa otto anni a partire dal 1586, vide il completamento del terrapieno difensivo lungo la linea delle future fortificazioni e l’avvio dei lavori della chiesa collegiale, eseguita secondo i disegni di Morando, il quale assunse in questo periodo anche la carica di scabino e successivamente quella di borgomastro (1591). Alla terza e ultima fase, che si estende dal 1594 fino alla morte di Zamoyski sopraggiunta nel 1605, sono da riferire la realizzazione del quartiere universitario (Accademia, cappella, campanile, convitto, tipografia), il completamento della collegiata, il rivestimento a mattoni dei bastioni, la trasformazione in chiave monumentale delle porte urbiche esistenti e, non ultimo, il completamento dei quattro lati della piazza maggiore.
Sono da ascrivere a Morando la definizione, in pianta e in alzato, dei due tipi residenziali di base e dei maggiori edifici pubblici, dal palazzo di Zamoyski, con l’annesso arsenale, all’Accademia, dalla chiesa collegiale al palazzo municipale, senza tralasciare le porte urbiche di Leopoli e di Lublino e le fortificazioni con i sette grandi baluardi (completate dopo la morte di Morando dall’architetto veneziano Andrea dell’Acqua). A eccezione della collegiata, giunta pressoché inalterata nelle sue forme originali, tutti gli altri edifici sono stati o demoliti o fortemente alterati, tanto da renderne difficilmente riconoscibile la facies originaria.
La linea di difese esterne faceva propri i risultati raggiunti dall’ingegneria militare europea del secondo Cinquecento. Morando operò una sintesi tra i principî e le prescrizioni dei grandi trattatisti italiani e gli obiettivi di programma, giungendo a una felice integrazione di forme e funzioni, modelli ideali e bisogni materiali.
Per la costruzione del palazzo, costruito per primo e terminato in tempi rapidi (1581-1586), il cancelliere si riservò una vasta area infra moenia. I ripetuti interventi di trasformazione di cui è stato fatto oggetto nel tempo hanno cancellato i caratteri originari d’impianto, in parte ricostruibili grazie a una veduta seicentesca della città, rinvenuta in una chiesa di Bukowina (Lewicka, 1959, pp. 145, 148; Zarębska, 1980, pp. 44 s.).
Morando concepì un edificio a pianta rettangolare allungata, articolato su due soli piani e coperto da un imponente tetto a padiglione. Un avancorpo al centro della facciata contemplava un portico al piano terra fiancheggiato da due scale affrontate, uguali e simmetriche, conducenti a un loggiato superiore sormontato da un frontone, oltre il quale, in posizione arretrata, si ergeva una torre coronata da un attico merlato. L’edificio sorgeva in posizione isolata all’interno di un ampio giardino circondato da un muro munito di un grande portale d’ingresso riccamente decorato.
La costruzione della collegiata iniziò nel 1587. Per quanto le strutture fossero ultimate undici anni più tardi, il coro e gli arredi furono completati dopo il 1600 e la chiesa potè essere consacrata solo nel 1637.
A eccezione delle opere in stucco nella nave e del frontone della copertura a tetto che la sormonta, Morando elaborò sia il progetto d’insieme sia i disegni di dettaglio della decorazione, di cui fornì pure diversi modelli. Il processo ideativo fu piegato al raggiungimento di alcuni obiettivi fondamentali: sancire, al pari delle prime chiese dei gesuiti costruite a quell’epoca in Polonia, l’affermazione delle idee controriformiste; commemorare le vittorie del fondatore della città; concepire un tempio che potesse servire da mausoleo di famiglia; e, naturalmente, essere la chiesa principale per gli abitanti della città. Sia gli ecclesiastici al seguito del cancelliere sia diversi membri dell’Accademia presero parte alla definizione del complesso programma iconografico. L’interno della collegiata è, nel complesso, piuttosto ben conservato a differenza dell’esterno dove, a seguito degli interventi del biennio 1824- 1826, furono asportati numerosi elementi lapidei, fu abbassato il tetto, modificato il frontone e ridisegnata l’intera facciata. L’impianto è di tipo basilicale a tre navi senza transetto, con due schiere di cappelle sui fianchi, aperte sulle navate laterali. Un esiguo presbiterio con abside poligonale fiancheggiato da due volumi a pianta quadrata più bassi, rispettivamente la cappella sepolcrale dell’etmano e la sacrestia con il Tesoro, compone i corpi orientali. Morando impiegò un ordine maggiore, corinzio, nella nave centrale, e un ordine minore, tuscanico-dorico, sia per le arcate longitudinali e le cappelle laterali all’interno sia per il telaio strutturale all’esterno. Lo sviluppo modulare della pianta e degli alzati, richiama i modelli italiani tardocinquecenteschi, in particolare veneti. La fattura degli elementi architettonici lapidei – intagliati, secondo i disegni di Morando, nelle cave di Mikołajewo, vicino Leopoli, e di Szczebrzeszyn, nel distretto di Zamość – è in generale piuttosto bassa, soprattutto se raffrontata alla qualità dei lavori scultorei in pietra delle note botteghe di artisti a Cracovia e a Pinczów. Nel complesso delle opere a stucco all’interno della chiesa, solo il reticolo sulla volta del presbiterio fu realizzato, tra il 1594 e il 1600, secondo i disegni di Morando. Tutti gli altri stucchi, invece, furono eseguiti in una seconda fase (1610-1630). La decorazione a stucco nel presbiterio della collegiata non solo ricorda la listellatura della volta a botte nella chiesa di S. Maria dei Miracoli a Venezia (1481-1489), progettata da Pietro Lombardo, ma anche, e soprattutto, l’elegante telaio decorativo sull’intradosso delle grandi volte a botte nelle chiese di Pułtusk (1560), Brok (1560) e Brochów (1551-1561) in Masovia, tutte costruite su disegno di Giovanni Battista da Venezia (Kozakiewiczowie, 1976, p. 226).
Posizionato secondo la tradizione in tangenza all’asse mediano nord-sud e sul versante settentrionale della piazza del mercato maggiore, il municipio fu costruito secondo i disegni e sotto la direzione di Morando tra il 1591 e il 1600. L’edificio attuale, vigorosamente enfatizzato dall’alta torre al centro della facciata, è l’esito dei lavori di ampliamento eseguiti nel periodo 1639-1651. Dell’edificio originario sappiamo solo – grazie a una dichiarazione da lui sottoscritta con la quale si impegnava a consolidare, con propri denari, il basamento della torre –, che Morando ne fu l’autore, che fu concepito come un blocco turrito e infine che, pur proiettandosi in avanti, incorporava la linea dei portici ad arcate su pilastri lungo i quattro lati della piazza. Per quanto le case che circondano la piazza del mercato maggiore siano in gran parte l’esito di lavori intrapresi a partire dal Seicento, diversi dettagli tardocinquecenteschi sono invece riferibili ai tipi edilizi definiti da Morando e imposti da Zamoyski come modelli normativi. La coppia di case-tipo progettate da Morando è situata al’estremità occidentale del lato sud della piazza. Si tratta della casa progettata per sé, ma costruita tra il 1604 e il 1610, e della casa Tellani, eretta tra il 1591 e il 1599.
Queste case occupano ciascuna la metà circa di un lotto rettangolare i cui lati sono in rapporto di 1:3 (11,5×34,5 m). La suddivisione verticale del fronte si affidava a un portico a tre arcate al piano terra, a un alto fregio fungente da fascia d’imposta di una terna di finestre riquadrate da larghe cornici con sovrapposta architrave scolpita a rilievo al primo piano e, per finire, a un attico interamente decorato. È probabile che inizialmente, seguendo le prescrizioni di Morando, la decorazione fosse per lo più di tipo geometrico e comunque piuttosto semplice, soprattutto se raffrontata ai motivi ornamentali introdotti nel secondo e terzo quarto del Seicento. Degli apparati decorativi di primo impianto sopravvivono gli stucchi sotto i portici e sull’intradosso delle botti di copertura degli androni, le paraste ai lati delle finestre dei piani attici e i cornicioni.
Delle due porte urbiche di Leopoli e di Lublino, che si aprivano rispettivamente nelle cortine sud-orientale e sud-occidentale, possediamo, relativamente alla prima, la descrizione dettagliata inserita nel contratto di appalto e, di entrambe, i rilievi ottocenteschi.
I disegni, in parte corrispondenti al testo del contratto, presentano, in entrambi i casi, un trattamento a bugnato rustico e una divisione su due livelli in altezza composti con elementi diversi: nella parte inferiore un fornice inquadrato da mezze colonne d’ordine tuscanico a sostegno di un’alta trabeazione; in quella superiore un fronte rastremato, concluso da frontone e timpano triangolari che sormontano una nicchia contenente un gruppo scultoreo.
Morando scelse i suoi più stretti collaboratori e le maestranze principalmente presso la popolazione autoctona e fra i tedeschi residenti sul posto. Pare che evitasse gli italiani per non avere possibili concorrenti.
Negli anni immediatamente successivi alla firma del contratto, i rapporti tra Morando e il suo illustre mecenate non furono particolarmente facili, sia per motivi economici non meglio chiariti sia per gli stringenti vincoli imposti dal cancelliere, al quale ogni artista, artigiano o architetto era tenuto a sottoporre perfino gli studi dei più piccoli dettagli, prima di avviarne la realizzazione. Fu solo nel 1594 che Morando, diventato uomo di corte e consigliere insostituibile del cancelliere, riuscì a ottenere un incarico stabile e, conseguentemente, uno stipendio fisso (Tarnawski, 1935, p. 282) piuttosto elevato. Prove ulteriori della grande stima che il cancelliere ebbe per Morando sono i progetti di altre due città che l’architetto padovano sviluppò per l’illustre committente: Szarogród, oggi in Ucraina (Lewicka, 1952, p. 134), e Jelitkowo (odierna Tomaszów Lubelski), nel Voivodato di Lublino (Miłobędzki, 1953, p. 86), entrambe facenti parte del dominio dello Zamoyski. Poco prima di morire, Morando ottenne il titolo di nobile, esteso a tutti i suoi figli. L’ultimo contratto da lui sottoscritto è del 1599 mentre un documento del 1601 ne parla come di un defunto. Morì, quindi, intorno al 1600, probabilmente a Zamość, lasciando in eredità somme considerevoli e un ingente patrimonio immobiliare, costituito da una casa e un lotto d’angolo sulla piazza del mercato maggiore, una fornace e una grande locanda per viaggiatori detta «la Borsa».
Il piano di Morando per Zamość sembra ispirato non tanto e solo, come più volte sottolineato, ai tentativi di omologare la città a una struttura antropomorfica, come nel caso di Francesco di Giorgio Martini, alle piazzeforti illustrate da Pietro Cataneo nel suo trattato, ai noti modelli italiani di «città fondata» (Sabbioneta, dal 1562; Terra del Sole, dal 1564) o alle ristrutturazioni urbane cinquecentesche più o meno radicali (orzinuovi, 1520; Guastalla e Peschiera, 1549) ma, in generale, alle città militari di nuova fondazione, sorte in Europa dalla metà del Cinquecento, caratterizzate dalla tendenziale regolarità sia del tracciato viario sia del perimetro poligonale della cinta murata. Ed è tale caratteristica ad avere alimentato negli studiosi la tendenza a porle costantemente in relazione, almeno sul piano concettuale, con le sperimentazioni teorico-progettuali primocinquecentesche sul tema della città ideale. Zamość si allinea a tali esperienze, ribadendo – al di là di una supposta provincialità dei caratteri complessivi, in raffronto ai modelli italiani – la forza dei contenuti culturali, religiosi, politici e militari del suo piano programmatico. Una esemplarità testimoniata dal fatto che questa città è riuscita nel tempo ad avere una «funzione catalizzatrice di altre esperienze avanzate, e la dignità di un ‘modello’» (Guidoni - Marino, 1982). La sua originalità, nel quadro delle realizzazioni del secondo Cinquecento, è da riferire all’unità organica di città e «palazzo in castello», racchiusi da un’unica cerchia di mura (Kowalczyk, 1967, p. 349), una formula anticipatoria delle sperimentazioni urbanistiche di età barocca.
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