BERNARDO ORLANDO ROSSI
Appartenne a una famiglia parmense che ebbe grande importanza nell'età medievale ma che, nel periodo in cui visse B., da non molti anni aveva una posizione di spicco.
Il primo membro della famiglia chiaramente documentato fu Alberto, assessore del podestà di Parma Nigro Grasso (1177) e poi console nel 1196, anno in cui si cominciò a costruire il battistero cittadino. Il padre di B., Orlando di Bernardo, ricoprì in Parma l'ufficio podestarile nel 1180, nel 1182, nel 1198-1199 e nel 1201; fu anche podestà forestiero a Bologna (1200) e a Modena (1207, 1212). Durante la podesteria bolognese acquistò fama nel reprimere il brigantaggio, come attesta un'iscrizione posta su una torre da lui fatta costruire a Castel S. Pietro. Tra i meriti del padre, che dunque consolidò la posizione della famiglia in Parma, si deve ricordare quello di avere riconquistato all'autorità del comune cittadino Borgo S. Donnino. Tradizione familiare fu dunque anche l'esercizio delle armi, come dimostra il fatto che un Rossi, Ugolino di Giacomo, avrebbe comandato i fiorentini a Campaldino nel 1289. La famiglia, di originario orientamento ghibellino, appare poi articolata nel ramo degli Ugoni, saldamente fedeli al partito filoimperiale, e in quello degli Orlandi, cui appartiene B., che muterà schieramento negli anni di Federico II.
B., sulla scia di queste tradizioni, si distinse sia in campo politico sia in campo militare; ricoprì infatti l'ufficio di podestà forestiero in diverse città ghibelline: a Modena (1213), a Siena, che condusse alla vittoria contro Grosseto (1224), a Cremona, che dotò di ampie porzioni di mura (1230). Non va confuso con il Bernardino Rossi (del ramo degli Ugoni) podestà a Firenze nel 1244 (Kantorowicz, 1988, pp. 736 ss.). Non privo di doti intellettuali, durante la podesteria di Siena avrebbe iniziato a scrivere una storia della città. Inviato insieme a Orlando come ambasciatore presso Federico II, intrattenne con quest'ultimo rapporti ravvicinati e amichevoli, che contribuirono a mantenere il comune di Parma nell'orbita imperiale durante gli anni dei duri scontri tra città padane appartenenti ai diversi schieramenti. Nel 1224 aveva sposato Maddalena Fieschi, sorella di Sinibaldo, già canonico della cattedrale di Parma e quindi papa (1243) col nome di Innocenzo IV (l'imperatore aveva appoggiato l'elezione del Fieschi anche perché cognato di B. e quindi ritenuto rispettoso dell'autorità imperiale). Tuttavia nel 1238, messo imperiale in Brescia assediata dagli eserciti di Federico II, B. manifestò un comportamento ambiguo, esortando i bresciani a resistere. Nel 1233 si ricordano frizioni intercorse tra lui e Gherardo da Modena, chiamato Maletta e appartenente alla potente famiglia modenese dei Boccabadati; questi, uno dei primi Frati francescani e amico dello stesso Francesco, grande oratore e stimato per l'equità dimostrata, nonostante simpatizzasse per la parte imperiale, fu chiamato dai parmensi per ricoprire l'ufficio di podestà e per pacificare le fazioni cittadine. Le frizioni tra i due andrebbero imputate al fatto che i provvedimenti di riconciliazione messi in campo da fra Gherardo in Parma non avrebbero soddisfatto sufficientemente gli amici del cognato, papa Innocenzo IV.
Un significativo ritratto di B. ci viene offerto da Salimbene nella sua cronaca sotto l'anno 1245: "Ora, di messer Bernardo di Rolando Rossi si deve sapere che io mai vidi qualcuno che rappresentasse meglio la figura del grande principe. Ne aveva infatti l'apparenza e la sostanza. Infatti quando era in battaglia rivestito della sua armatura e con la sua mazza ferrata menava colpi a destra e a sinistra contro i nemici, questi si schivavano e si allontanavano da lui come scappando all'apparire del diavolo. E se voglio richiamare alla memoria la sua immagine, ecco che mi viene in mente Carlomagno imperatore, in quanto le gesta di lui, quali ci sono state tramandate, combaciano con quello che io coi miei occhi ho visto fare da costui" (Salimbene de Adam, 1987, p. 282). Si tratta di un ritratto propagandistico, che serve senza dubbio al cronista per difendere ed esprimere un giudizio positivo sulle imminenti scelte antimperiali di B., le quali, come si dirà tra breve, determineranno rilevanti conseguenze per le sorti della città di Parma e dell'imperatore. Collocando la figura del personaggio su un piano altissimo ‒ addirittura superiore a quello dell'imperatore amico-nemico ‒ Salimbene allontana da lui eventuali accuse di tradimento e lo celebra come esponente acquisito del vittorioso partito guelfo.
Secondo il frate cronista non si trattò dunque di tradimento, ma di una logica reazione a quella doppiezza e a quella crudeltà che Federico II in più occasioni avrebbe dimostrato anche nei confronti degli amici "a causa della sua meschinità e della sua avarizia" (ibid.). Salimbene riporta a tal proposito un episodio che nei suoi intenti avrebbe dovuto servire per comprendere e giustificare il comportamento del Rossi. Un giorno, mentre B. cavalcava in compagnia dell'imperatore, il suo cavallo improvvisamente incespicò; Federico allora avrebbe detto: "Messer Bernardo, avete un cavallo scadente, ma spero e vi prometto, che fra qualche giorno ve ne darò uno migliore, che non incespicherà"; B., commenta il cronista, "capì che alludeva all'impiccagione sul patibolo e che parlava delle forche, e s'infiammò e s'indignò il suo cuore contro l'imperatore e si allontanò da lui" (ibid., p. 832). Sarebbe dunque stata questa sinistra allusione la molla che avrebbe convinto B. a fuggire da Parma e a riparare a Piacenza, dopo avere radunato alcuni cavalieri, tra i quali figuravano Gherardo da Correggio e Ghiberto da Gente. In realtà da altre fonti sappiamo che nel convento di Fontevivo (vicino a Parma) erano stati rinvenuti, nel settembre 1245, documenti che attestavano una congiura, ordita da B., tesa a eliminare l'imperatore e il figlio Enzo. Federico II, convinto della delittuosa trama, mise al bando i congiurati fuggitivi, tra cui B., e comandò che i loro palazzi venissero distrutti. Da Piacenza B. dovette recarsi a Milano, ove fu presente alla compilazione degli statuti della congregazione della Credenza.
Nel 1247 i parmensi riparati in Piacenza rientravano in città al comando di Ugo da Sanvitale, approfittando della lontananza di re Enzo, impegnato nell'assedio di Quinzano, al quale Federico II aveva affidato la difesa di Parma. In aiuto dei parmensi rientrati corsero Rizzardo conte di S. Bonifacio di Verona, i piacentini, il legato pontificio Gregorio da Montelongo e B., arrivato al comando di mille cavalieri milanesi: erano tutti pronti a contrastare, schierandosi sul lato sudoccidentale della città, l'assedio delle forze imperiali che si stavano ammassando nell'accampamento di Vittoria. Dunque B., rispondendo all'appello del cognato papa e agli interessi maturati in sede locale, era passato alla parte avversa sacrificando un rapporto di amicizia che sembrava forte e ricambiato ("quando messer Bernardo voleva avere accesso presso l'imperatore non c'era mai nessuna porta chiusa"; ibid., p. 835), ma garantendo a sé e alla sua famiglia una posizione preminente entro il vittorioso schieramento guelfo. Nel pensiero dei suoi concittadini, infatti, rimase colui che aveva tolto all'imperatore Parma; la sua famiglia, da questo momento, militò con continuità nel partito filopapale e angioino.
Nel 1248, tornando da Fornovo verso Parma, B. cadde a Collecchio dal cavallo che aveva incespicato; fu assalito dalle truppe imperiali che si aggiravano nel Parmense per vendicare l'onta di Vittoria, fu ucciso sul posto e fatto a pezzi. La notizia della sua morte, riportata in maniera dettagliata ancora una volta da Salimbene (che tuttavia nasconde lo scempio del corpo), vanifica una serie di incertezze presenti in alcune storie della famiglia, che propongono, per il suo decesso, date variabili tra il 1251 e il 1264. Suo nipote Monte Lupo, figlio di una sorella andata sposa a un Lupi di Soragna, nel 1250 dovrà affrontare in battaglia i fuoriusciti parmensi di parte imperiale e i loro alleati cremonesi. Nello scontro di cavalleria, avvenuto in località La Grola e cioè nei pressi del luogo su cui era sorta Vittoria, il nipote di B., in qualche modo ricalcando le orme dello zio, morì combattendo valorosamente.
Fonti e Bibl.: V. Carrari, Historia de' Rossi parmigiani, Ravenna 1583; Chronicon Placentinum, a cura di J.-L.-A. Huillard-Bréholles, Parisiis 1856; Chronicon Parmense ab anno 1038 usque ad annum 1338, a cura di G. Bonazzi, in R.I.S.2, IX, 9, 1902-1904; Salimbene de Adam, Cronaca, traduzione di B. Rossi, Bologna 1987. I. Affò, Storia della città di Parma, III, Parma 1793; F. Bernini, I comuni italiani e Federico II di Svevia. Gli inizi (1212-1219), Torino 1950; E. Kantorowicz, Federico II, imperatore, Milano 1988; D. Abulafia, Federico II. Un imperatore medievale, Torino 1990; O. Guyotjeannin, Podestats d'Émilie centrale: Parme, Reggio et Modene (fin XIIe-milieu XIVe siècle), in I podestà dell'Italia comunale, I, 1, Reclutamento e circolazione degli ufficiali forestieri (fine XII sec.-metà XIV sec.), a cura di J.-C. Maire Vigueur, Roma 2000, pp. 349-403. L. Simeoni, Rossi, in Enciclopedia Italiana, XXX, ivi 1936, p. 140; R. Lasagni, Dizionario biografico dei Parmigiani, IV, Parma 1999, pp. 161-162.